Primo Di Nicola, senatore del Movimento 5 stelle, già a dicembre chiese a Giuseppe Conte di indicare Mattarella come candidato ufficiale del partito. Ma il suo leader è stato sordo, così i parlamentari autonomamente hanno iniziato a votarlo nel segreto dell’urna
È partito tutto dai senatori del Movimento 5 stelle. I primi sedici voti arrivati per rieleggere Sergio Mattarella durante la prima votazione di lunedì 24 gennaio erano i loro. Così come quelli arrivati durante i giorni seguenti, che sono cresciuti con il passare della settimana anche grazie ai voti del Pd e di una parte di Forza Italia. Ora lo si può scrivere senza essere smentiti. E lo può dire il regista di questa operazione Primo Di Nicola mentre fuma nel cortile di Montecitorio. Giornalista, senatore Cinque stelle, è a tutti gli effetti uno degli architetti del risultato ottenuto oggi, insieme ad altri esponenti del Partito democratico.
Ma se quest’ultimi hanno lavorato dietro le quinte, cercando di convincere i piani alti del partito, i Cinque stelle sono andati direttamente nella cabina elettorale firmando le schede con il nome di Mattarella. E Di Nicola ha lavorato settimane per arrivarci parlando con i referenti di quasi tutti i partiti, soprattutto al Senato.
Tutto inizia quasi due mesi fa, a dicembre, durante un’assemblea del gruppo M5s del Senato. In quella circostanza Di Nicola interviene e fa l’analisi della situazione: «C’è un’emergenza sanitaria, il parlamento non è riuscito a darsi un governo politico, è un momento delicatissimo per eleggere un nuovo presidente della Repubblica perché questi partiti non hanno nessuna vocazione disinteressata, quindi era prevedibile» che nei giorni delle Camere riunite in seduta comune «si sarebbe giocato in maniera pesante e scomposta», dice Di Nicola.
Gli antichi riti da prima Repubblica, quando le elezioni venivano precedute da lunghi veti tra i partiti in campo, potevano tornare in auge. «Una cosa rischiosa soprattutto per il Movimento 5 stelle, che è una forza politica che non è abituata a fare queste cose, mentre per gli altri partiti sono tattiche normali». Per loro avrebbe significato «l’omologazione». Lo ha detto apertamente durante l’assemblea del gruppo. Dopodiché ha chiesto al suo leader, Giuseppe Conte, di rendere la rielezione di Mattarella la linea ufficiale del partito.
Conte non ascolta
La richiesta «è assolutamente caduta nel vuoto». Così il senatore, appoggiato da altri del suo gruppo, ha iniziato a lavorare per portare a termine l’operazione anche se non condivisa da Conte. «Si sapeva che l’elezione era una scadenza fissata, con la pandemia in corso, eppure si è arrivati molto in ritardo». Solo dopo otto votazioni in sei giorni si è arrivati al bis. «Se i partiti avessero avuto un minimo di intelligenza e decoro istituzionale non andava ripetuta questa esperienza in una situazione così drammatica per il paese», aggiunge Di Nicola.
Ufficialmente il Movimento 5 stelle è stato nei fatti «sordo» a questa richiesta. La linea di Conte è risultata ondivaga, l’unico vero obiettivo del presidente dei Cinque stelle era di frenare un eventuale trasloco del presidente del Consiglio, Mario Draghi, al Quirinale, come invece auspicava il segretario Pd Enrico Letta.
Ad un certo punto, però, solo dopo la terza votazione, quando i voti per Mattarella nel segreto dell’urna hanno continuano a crescere Conte ha capito che i suoi grandi elettori avevano preso un’altra strada e ha provato a intestarsi il merito dell’operazione. Durante la settimana a Montecitorio ci sarebbe stata anche un’accesa discussione con Conte. Di Nicola non conferma e dice: «Preferisco non commentare».
Giovedì 27 gennaio, solo alla quarta votazione, Conte fa inviare ai grandi elettori questa indicazione di voto: scheda bianca ma lasciando anche la possibilità di esprimersi in libertà di coscienza. Che in quelle ore, con i voti già arrivati per Mattarella (125 alla terza votazione), altro non significata dire di votare il capo dello stato uscente.
«La crescita del voto ha fatto capire chiaramente che all’interno del M5s c’erano quei voti, c’è stato un atto di sensibilità e intelligenza», dice Di Nicola, «peccato però che non l’ha portata ufficialmente sui tavoli, e intanto gli altri partiti continuavano a parlare delle candidature più improbabili».
Parlamentari ribelli
Il Movimento 5 stella «ha un leader che è Giuseppe Conte, il suo ruolo è indiscusso», ci tiene a dire Di Nicola. «Certo è che quello che è successo, con i grandi elettori che hanno bypassato l’immobilismo dei loro leader che continuavano a trattare su cose improbabili è stato un bruttissimo segnale perché son state oggettivamente messe in discussione le leadership dei partiti». I parlamentari, dice, «si sono di fatto ribellati».
La goccia che ha fatto traboccare il vaso, secondo Di Nicola, è stata la giornata di venerdì. Prima «è stata bruciata la massima carica del Senato», la presidente Elisabetta Casellati candidata goffamente dal centrodestra e fermata dagli stessi parlamentari che avrebbero dovuto sostenerla.
E la sera è stata «messa nel tritacarne un’altra alta carica istituzionale», quella di Elisabetta Belloni, capo dei servizi segreti. Matteo Salvini parlando con la stampa ha annunciato che stava lavorando a una candidatura femminile e soprattutto dal suo partito, la Lega, hanno iniziato a uscire indiscrezioni sul nome di Belloni. Italia viva ha subito detto no, Fratelli d’Italia si è accodata. Pezzi del Pd pure. Così l’ipotesi è stata accantonata in poche ore.
Insomma, la preoccupazione era che questo modus operandi sarebbe andato avanti ancora molto a lungo e, soprattutto, «che la candidatura di alcuni nomi avrebbe aperto delle forti instabilità istituzionali». E di conseguenza al governo. I parlamentari quindi non vedevano «l’ora di vedersi sottoposto il nome di Mattarella per rieleggerlo».
Un dato significativo è riscontrabile nella votazione dove è caduta la Casellati. Alla quinta votazione Pd, M5s, Leu e Iv, con l’obiettivo di evitare franchi tiratori, hanno deciso di non far entrare i propri grandi elettori in aula. Si sono presentati alle cabine sono i parlamentari del centrodestra e del gruppo misto. Anche in quella occasione, con molti meno votanti, Mattarella ha ottenuto 46 preferenze. Insomma, il segnale che anche dalla destra, soprattutto in Forza Italia, era maturata la soluzione Mattarella come la più adeguata.
È statala paura del voto anticipato a portarvi a farlo? «C’è del vero, ma mai come in questo caso questa preoccupazione è stata esagerata. Mancano pochi mesi all’acquisizione del famoso vitalizio, ma in realtà è già possibile riscattarlo versando volontariamente i contributi dei pochi mesi che mancano. Una cosa chiara a tutti i parlamentari».
La sconfitta dei leader
Il parlamento ha voluto Mattarella, «ha disobbedito», e i leader non hanno fatto altro che prenderne atto. Una sconfitta per quasi tutti i vertici, da Matteo Salvini a Conte. «Vedere quasi tutte le leadership dei partiti presenti in parlamento superate dai grandi elettori pone dei problemi, non è un segnale di buona salute». E pone problemi anche per il futuro.
Di Nicola ci tiene a dire che non sono stati dei franchi tiratori: «Data la situazione c’è stata l’esigenza di farlo» per «mettere fine» a quello a cui abbiamo assistito durante l’elezione del tredicesimo presidente della Repubblica.
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