- Matteo Salvini nel 2016 aveva definito la magistratura «un cancro da estirpare» e chiamava i pm «str… che mal amministrano la giustizia». Processato per vilipendio, è stato assolto nel 2021.
- Il leader della Lega però fa grande ricorso ai magistrati, a cui si rivolge spesso per depositare le sue querele: l’ultimo caso è quello dell’europarlamentare Guy Verhofstadt, che ora chiede a Sassoli l’immunità.
- È lunghissima la lista dei denunciati dal leader della Lega negli ultimi anni: dallo scrittore Roberto Saviano, a Ilaria Cucchi, fino a Vauro. Peccato che abbia (quasi) sempre perso.
Per usare le sue parole di qualche anno fa, «qualcuno usa gli stronzi che mal amministrano la giustizia». Per questa affermazione il leader della Lega, Matteo Salvini, è andato a processo per vilipendio, per poi essere assolto per tenuità del fatto. Salvini in pubblico protesta contro l’attivismo dei pm italiani, in particolare quando si occupano di lui e del partito, definisce la magistratura «un cancro da estirpare», e chiede una riforma della «giustizia “alla Palamara”», ma poi in privato dà mandato ai suoi avvocati di fare ricorso a quella stessa magistratura che definisce «schifezza» contro giornalisti, opinionisti, suoi colleghi politici. Nonostante le sue uscite in pubblico, il leader della Lega ha la querela facile e non sembra avere troppa sfiducia nel lavoro dei magistrati italiani.
Contro Verhofstadt
L’ultimo caso è la denuncia contro Guy Verhofstadt, capogruppo dell’Alde al parlamento europeo. Il 13 febbraio 2020, dopo la notizia del rinvio a giudizio di Salvini per il caso Gregoretti, l’europarlamentare belga aveva pubblicato un post su Twitter, in cui scriveva: «Via libera a processare Matteo Salvini per sequestro di persona nel caso dei migranti soccorsi dalla nave Gregoretti. Brava Italia! Giustizia deve essere fatta. Speriamo che lo stesso avvenga anche per la sua massiccia corruzione con tangenti petrolifere russe».
È proprio quest’ultima frase a non andare giù a Salvini. Il riferimento è all’affaire Metropol, quando nell’ottobre del 2018 l’ex portavoce del leader leghista ha incontrato nell’hotel di Mosca degli intermediari russi per un’operazione che, se fosse giunta a compimento, avrebbe fruttato agli uomini vicini alla Lega qualche decina di milioni di euro. Sulla vicenda è ancora in corso un’inchiesta della procura di Milano con l’accusa di corruzione internazionale.
Appena ventiquattro ore dopo il tweet di Verhofstadt, il 14 febbraio 2020, il leader del Carroccio si è rivolto ai magistrati della procura di Trento, con il pm Pasquale Profiti che inizia a indagare per la presunta diffamazione ai danni dell’ex ministro dell’Interno. L’europarlamentare belga in questi giorni si è rivolto al presidente del parlamento europeo, David Sassoli, chiedendo di comunicare all’aula la sua richiesta di difesa dell’immunità di europarlamentare. Al momento però non ha avuto ancora risposta.
Quella del 2020 non è stata l’unica dura presa di posizione del capogruppo dell’Alde, che si era già espresso con toni e parole quasi identiche nei confronti del leader della Lega e dei suoi alleati del fronte sovranista in Europa. Il 20 maggio del 2019 si è rivolto a Salvini, alla francese Marine Le Pen, all’austriaco Heinz-Christian Strache, al britannico Nigel Farage e al premier ungherese Viktor Orbán, affermando che «stanno costantemente complottando e sono pagati da Putin per distruggere l’Europa». Per questa affermazione, come per le altre dichiarazioni che Verhofstadt allega nella sua richiesta a Sassoli, non è stato avviato nessun procedimento giudiziario e il capogruppo dell’Alde non riesce a spiegarsi perché Salvini lo abbia querelato solo per quel tweet. La denuncia nei confronti di Verhofstadt è solo l’ultima di una lunga serie.
La più famosa è forse quella contro lo scrittore Roberto Saviano che lo aveva definito «ministro della malavita», facendo riferimento a un saggio di Gaetano Salvemini sull’Italia di inizio 1900 di Giovanni Giolitti: la querela è del luglio 2018, quando Salvini era ministro dell’Interno, e fu scritta proprio sulla carta intestata del Viminale. E poi c’è quella (archiviata dai giudici) contro Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, che definì il Capitano «uno sciacallo che parla sotto l’effetto del mojito» dopo le sue proteste per le condanne in primo grado dei carabinieri imputati per la morte del fratello. E poi ci sono vignettisti come Vauro, querelato per un’immagine satirica sulla legittima difesa in cui l’ex ministro era raffigurato con cellulare in mano e giacca della Polizia, in cui era scritto “Quando scambiò la pistola per il telefonino”.
Si sono perse le tracce di quella annunciata contro il giornale di gossip Chi, che nel 2015 aveva dato la (falsa) notizia dell’allora compagna di Salvini, la conduttrice Elisa Isoardi. Ma l’elenco è ancora lungo, c’è stato l’annuncio del partito, poi finito in nulla, di chiedere i danni al sondaggista Nando Pagnoncelli per le rilevazioni giudicate faziose, quella alla presidente dell’Arci di Lecce per la frase «la merda ha più valore di lui», oppure quella a un sindacalista della Cgil che aveva definito la decisione di sospendere il codice degli appalti un «disegno lucido che regala alle mafie e alla corruzione spazi enormi di agibilità». Senza contare il fatto che ogni procedimento comporta anche spese per gli avvocati. Chissà se paga lui o è il partito a sostenere le crociate di Salvini contro chi lo critica.
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