Maysoon Majidi e il fratello Rajan sono stati minacciati, picchiati, hanno subito pressioni dal regime iraniano e, per questo, racconta il padre Ismael, hanno deciso di fuggire da casa loro, «non si sentivano più al sicuro».

Ma la figlia, Maysoon, attivista curdo-iraniana per i diritti umani e i diritti delle donne, laureata in regia teatrale, arrivata in Italia dopo una traversata di quattro giorni dalla Turchia, è stata arrestata, con l’accusa di aver aiutato il capitano dell’imbarcazione. Voleva chiedere asilo in Europa, in cambio rischia da sei a sedici anni di carcere, per accuse che il padre, professore in Iran, definisce prive di fondamento: «Se l’Italia vuole trovare i trafficanti di esseri umani, sa dove sono, non deve accusare persone innocenti», dice, spiegando che ha dovuto vendere tutto ciò che aveva per pagare il viaggio ai figli, in cerca di un luogo sicuro. Reclusa nel penitenziario di Reggio Calabria, l’attivista 28enne si trova in condizioni di salute mentale e fisiche precarie. Per la prima volta nell’udienza del primo ottobre, all’ennesima richiesta dell’avvocato di concederle gli arresti domiciliari, il giudice non ha rigettato tout court e si è riservato cinque giorni per decidere.

Martedì 1 ottobre si è tenuta la terza udienza, come sta in queste settimane in cui è in corso il processo?

È da più di 9 mesi che non mi sento bene, non solo in queste settimane, ma da quando Maysoon è stata arrestata, come penso sia normale per un padre. Ho avuto due ictus e sono dovuto andare in ospedale. E ogni volta che vedo il video di mia figlia in tribunale mi sento peggio.

Come descrive sua figlia?

Maysoon da quando è nata ha un’energia speciale. Ha cominciato a parlare presto, alla scuola primaria ha cominciato a scrivere e a dipingere. Scriveva anche poesie. Alle superiori è diventata responsabile della rivista scolastica del suo istituto e ha vinto anche un concorso letterario a livello nazionale. All’università ha poi deciso di studiare teatro e cinema. In quel periodo è diventata attivista.

Perché Maysoon e il fratello Rajan hanno deciso di partire?

Siamo una famiglia politicamente attiva. E così i miei figli, anche se non ero molto sereno della direzione che avevano preso. All’università sono scesi in piazza per un referendum in Kurdistan e sono stati minacciati e picchiati dagli agenti del regime e della sicurezza dell’università (una sorta di polizia morale e politica all’interno degli atenei, ndr). Maysoon è stata percossa e ricoverata in ospedale. Una volta arrivati nel Kurdistan iracheno, hanno continuato la loro militanza politica e, avendo le autorità irachene rapporti con il regime iraniano, non li hanno protetti. È per questo che hanno deciso di fuggire anche da lì, non si sentivano più sicuri.

Penso che il loro sogno non fosse quello di vivere da rifugiati in un altro paese. A loro piaceva vivere in Iran, ma le pressioni politiche e le minacce li hanno costretti a fuggire. Spero che, quando Maysoon verrà liberata, continuino entrambi a studiare. E che prima o poi tornino.

Ci racconta del viaggio? Riusciva ad avere contatti con i suoi figli?

Sapevo della loro decisione, ma non mi hanno avvisato quando sono partiti per non farmi preoccupare. Me l’hanno detto solo una volta arrivati in Turchia. Hanno raccolto i soldi per il viaggio in vari modi: Maysoon ha lavorato per un periodo e sono stati aiutati da amici e dalla famiglia.

Con la cifra che avevano raccolto, Maysoon e Rajan sono riusciti ad arrivare nella città di Van in Turchia tramite i trafficanti. Ricordo che mio figlio mi ha chiamato e mi ha detto che avevano problemi e bisogno di più soldi. Ho dovuto vendere la mia macchina, svalutandola. Ma quei soldi non sono mai arrivati a miei figli, purtroppo ci hanno truffati. Hanno perso tutto il denaro e, arrivati in Turchia, non avevano veramente più niente. Zero. E ho provato a far avere loro qualcosa per sopravvivere, 200 o 300 dollari. Hanno avuto problemi anche con la polizia turca. Ogni mese dovevano cambiare casa per essere al sicuro. Hanno trovato un altro trafficante che, per il viaggio verso l’Italia, ha chiesto inizialmente 18mila dollari. Poi sono riusciti ad abbassare la cifra a 17mila. Ho dovuto vendere anche casa mia per pagare i trafficanti. Sono poi riusciti ad arrivare in Italia e, come sappiamo, mio figlio è stato liberato mentre Maysoon è stata arrestata.

Come ha vissuto la decisione dei suoi figli di partire e il viaggio?

Fino al momento in cui si sono imbarcati per fare il viaggio dalla Turchia all’Italia abbiamo avuto contatti quotidiani. Sapevo tutti i dettagli. Poi, durante la traversata per cinque giorni hanno spento i cellulari, non sapevo più niente. Ho vissuto momenti di forte stress, come ogni genitore. Ho avuto paura di perdere i miei figli, e non era la prima volta. Già in un’altra occasione hanno rischiato la vita mentre attraversavano il confine a piedi, quando alcuni uomini hanno sparato nella loro direzione. Ero molto preoccupato, e il mare può essere anche più pericoloso.

Quando sono arrivati in Italia, dopo 24 ore Rajan è stato liberato e mi ha detto che Maysoon era in carcere. Non ci credevo, pensavo che fosse successo qualcos’altro. Qualcosa con la criminalità, con i trafficanti che avevano preso i loro soldi, pensavo l’avessero uccisa.

Non avevo nessuna prova che fosse in carcere ed ero molto preoccupato, perché non parlavo con lei da due settimane. Finché non ho parlato con l’avvocato e ho capito che Maysoon era viva.

Cosa chiede all’Italia?

Ho mandato una lettera alle organizzazioni per i diritti umani e ringrazio chi sta lavorando per la liberazione di Maysoon. Spero che il giudice prenda una decisione giusta e che non venga influenzata dalla politica. Il mio desiderio è che mia figlia venga liberata il prima possibile. Ma ho un messaggio molto importante per l’Italia. Se il governo italiano vuole trovare i trafficanti di esseri umani, non deve accusare persone innocenti, sa già chi sono. Conosce chi trae profitto da questa cosa e sa chi c’è dietro. Se vogliono possono arrestarli.

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