La premier ha mandato una lettera al Corriere della Sera in cui chiede di ritornare a un dialogo meno acceso, ma torna ad accusare il Pd. E dimostra che quella di Donzelli era una mossa condivisa
La premier Giorgia Meloni ha inviato una lettera al Corriere della Sera in cui per la prima volta interviene sul caso Cospito e lo scontro parlamentare che vede al centro i suoi fedelissimi Andrea Delmastro e Giovanni Donzelli.
«A monte: sicuramente i toni si sono alzati troppo, e invito tutti, a partire dagli esponenti di Fratelli d’Italia, a riportarli al livello di un confronto franco ma rispettoso», ha detto, «Tuttavia, non ritengo vi siano in alcun modo i presupposti per le dimissioni che qualcuno ha richiesto».
Poi ha ricordato le parole del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che ha spiegato che i documenti rivelati da Donzelli non erano tecnicamente segreti: «Peraltro, le notizie contenute nella documentazione oggetto del contendere, che il Ministero della Giustizia ha chiarito non essere oggetto di segreto, sono state addirittura anticipate da taluni media».
E aggiunge, «trovo singolare che ci si scandalizzi perché in Parlamento si è discusso di documenti non coperti da segreto, mentre da anni conversazioni private - queste sì da non divulgare - divengono spesso di pubblico dominio».
Infine attacca di nuovo il Pd, di fatto avallando l’accusa di Donzelli: il fatto che andando in carcere a trovare Cospito, i deputati dem abbiano sostenuto il terrorismo e la mafia.
«Trovo paradossale che non si possa chiedere conto ai partiti della sinistra delle loro scelte, quando all’origine delle polemiche di questi giorni si colloca oggettivamente la visita a Cospito di una qualificata rappresentanza del Partito democratico, in un momento in cui il detenuto intensificava gli sforzi di comunicazione con l’esterno».
Conclude chiedendo a «tutti, politici, giornalisti, opinionisti» di abbassare i toni, «perché non ci si debba domani guardare indietro e scoprire che, non comprendendo la gravità di quello che stava accadendo, abbiamo finito per essere tutti responsabili di un’escalation che può portarci ovunque».
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