«Tra le istituzioni e all'interno delle istituzioni la collaborazione, la ricerca di punti comuni, la condivisione delle scelte sono essenziali per il loro buon funzionamento e per il servizio da rendere alla comunità». Alla fine il monito del Quirinale è arrivato, dopo quarantotto ore di fuoco di fila del governo nei confronti dei giudici, dopo la sentenza che ha smontato il “modello Albania”. Le parole di Sergio Mattarella, pronunciate durante la cerimonia inaugurale del Festival delle Regioni e delle Province autonome, sono generali e astratte, ma è impossibile non cogliere una lezione sui corretti rapporti tra poteri dello Stato. Del resto, il governo ha rotto l’argine, facendo saltare qualsiasi buona creanza istituzionale.

Nel suo intervento si è colto anche un altro monito critico, che appare riferito allo scontro al calor bianco tra maggioranza e opposizione per la nomina dei giudici costituzionali: «Vi sono dei momenti nella vita di ogni istituzione in cui non è possibile limitarsi ad affermare la propria visione delle cose - approfondendo solchi e contrapposizioni - ma occorre saper esercitare capacità di mediazione e di sintesi», «poiché le istituzioni appartengono e rispondono all'intera collettività e tutti devono potersi riconoscere in esse».

Un invito, dunque, a sedersi al tavolo delle trattative e che suona rivolto in particolare alla maggioranza di centrodestra, decisa al muro contro muro anche se per eleggere il giudice serve una maggioranza qualificata. La tensione, tuttavia, in questi giorni è tutta incentrata sulla vicenda dei migranti.

A dare il via libera definitivo agli attacchi è stata proprio Giorgia Meloni che, dopo un giorno di silenzio, ha usato i social per rilanciare un articolo del Tempo, in cui viene pubblicata la mail critica nei suoi confronti scritta da un magistrato che la premier definisce «esponente di Magistratura democratica.

Nessun altro commento, ma un modo eloquente per esplicitare la sua linea: la magistratura di sinistra vuole mettere in difficoltà l’esecutivo, prendendo decisioni che sabotano la sua iniziativa politica. Tanto che immediatamente si sono levate richieste da parte del forzista Maurizio Gasparri di una ispezione in Cassazione dove il magistrato opera.

Giovanni Donzelli, responsabile dell’organizzazione di FdI e da sempre colui cui il partito affida l’interpretazione autentica del pensiero di Meloni, ha invece pubblicato un video in cui dice che «Meloni è un problema per le toghe rosse, non è ricattabile, e ha la colpa grave che vuole riformare la giustizia i magistrati secondo Marco Paternello non sono abbastanza compatti nel combatterla» e «ci hanno dato dei complottisti, ma nemmeno nei nostri incubi peggiori avremmo immaginato questo».

Nel fuoco di fila di dichiarazioni soprattutto da parte di esponenti di FdI, si è inserita la segretaria del Pd Elly Schlein. In una intervista alla Stampa ha dichiarato che «Se Meloni e i suoi ministri vogliono prendersela con i giudici vadano in Lussemburgo, sotto la sede della Corte di Giustizia europea».

Proprio questo, infatti, rischia di diventare il punto oggi. In serata, si svolgerà l’annunciatissimo consiglio dei ministri che approverà quello che dovrebbe essere un decreto legge proprio sui “paesi sicuri” oggetto della sentenza che ha fatto esplodere lo scontro. Il nuovo provvedimento dovrebbe avere come finalità quella di anticipare – con legge ordinaria e non più con un decreto ministeriale - i prossimi regolamenti Ue sulle procedure di frontiera, che dovrebbero proprio riformulare la classificazione dei paesi ritenuti sicuri. Eppure, qui si annida il rischio di contrasto non solo con l’Unione europea, ma prima ancora con il Quirinale che dovrà firmare il decreto.

La questione è tecnica: la sentenza che non ha convalidato il trattenimento dei migranti in Albania poggia su una recentissima sentenza della Cedu. Anche con un decreto legge che stabilisse regole diverse, i giudici italiani dovrebbero comunque disapplicarle in forza delle normative europee attualmente vigenti. Tradotto: o la definizione di “paese sicuro” cambia a livello europeo, oppure i giudici italiani continueranno a muoversi come già hanno fatto. Con il rischio in più che questa strada giuridica rischia di essere mal digeribile anche dal Colle, oltre che possibile oggetto di ricorsi in Corte costituzionale.

Sul fronte del Quirinale, la scelta è ovviamente quella del silenzio: un testo di decreto formalmente ancora non esiste e in queste ore, come del resto accade spesso, sarebbero in corso contatti tra gli uffici tecnici del Colle e di palazzo Chigi. I giuristi dovranno lavorare di cesello e limare ogni dettaglio, vista la delicatezza del caso: Sergio Mattarella difficilmente firmerà un testo che possa essere in contrasto con la normativa comunitaria e questo lo sa bene anche la premier. Il presidente, inoltre, ricopre anche il ruolo di vertice del Consiglio superiore della magistratura e il clima di scontro tra governo e giudici non contribuisce certamente alla serenità complessiva.

Le parole di Nordio

A dimostrare che ormai non c’è più margine per abbassare i toni è stato però soprattutto l’intervento del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che nei giorni scorsi ha parlato di «sentenza abnorme» e accusando le toghe di assumere scelte che spetterebbero alla politica e in alcune intervista ha ribadito il concetto. Tanto che le opposizioni, in testa la segretaria dem Elly Schlein, hanno chiesto le sue dimissioni: «Parole gravissime che lo rendono incompatibile con il ruolo che ricopre».

Non certo parole diplomatiche, quelle del titolare di via Arenula, anche alla luce del ruolo che ricopre e che sono riuscite a mettere d’accordo l’Anm con l’Unione camere penali, che solo fino a qualche giorno fa si trovavano su fronti opposti nel commentare la riforma della separazione delle carriere.

Giuseppe Santalucia a Skytg24 si è detto «basito», il diritto «va applicato dai giudici, la magistratura non ha compiti di ausilio governativo ma di rispetto dei diritti e delle garanzie delle persone». Poi ha aggiunto che «non cerchiamo alcuna contrapposizione con l’esecutivo, ma viviamo una grande preoccupazione per gli attacchi rivolti ad alcuni uffici giudiziari per il semplice fatto di aver deciso secondo legge e diritto».

Man forte forse insperata è arrivata anche dai penalisti guidati da Francesco Petrelli, che ha bollato come «senza fondamento» la polemica sulla sentenza, perché i giudici si sono «limitati a applicare la normativa europea di riferimento, in linea con le indicazioni vincolanti della Corte di Giustizia dell'Unione Europea». Dunque, per gli avvocati, il giudice non ha «svolto alcuna particolare attività interpretativa, né si è sostituito al potere esecutivo o a quello legislativo». Anche rispetto all’iniziativa del decreto legge i toni sono critici: «non si tratta di questione che possa essere risolta dal governo per decreto e sarebbe invece opportuno che la politica si riappropriasse correttamente del proprio ruolo, richiamando alle sue responsabilità l'Europa, senza perdere di vista la tutela dei diritti fondamentali della persona».

Dunque, gli avvertimenti al governo sono arrivati in modo esplicito da un soggetto tecnico come l’avvocatura: procedere con il decreto in cdm rischia di essere l’ennesimo boomerang.

© Riproduzione riservata