«Vogliamo che il criterio di stabilità abbia una sua importanza ma non vogliamo neanche che un qualsiasi paese sia costretto a seguire un programma di austerity». La sintesi delle consultazioni dei governi italiano e tedesco contestuali alla firma del Piano d’azione, il trattato diplomatico fratello minore del Trattato del Quirinale sottoscritto con la Francia, è tutta in questa frase del cancelliere Olaf Scholz.

La conclusione positiva della trattativa sul testo, in discussione da quando a palazzo Chigi c’era ancora Mario Draghi, è passata infatti quasi in secondo piano rispetto al negoziato sulla riforma del patto di stabilità europeo, su cui pende ancora la spada di Damocle del veto italiano. Ma l’impressione è che, nonostante i passi avanti siano piuttosto limitati, Giorgia Meloni possa contare su un collega berlinese che si è mostrato meno rigido di quanto ci si aspettasse alla vigilia dell’incontro.

Scholz, da parte sua, ha bisogno di alleati in Europa – dove si ritrova molto più solo dell’inquilina precedente della cancelleria Angela Merkel – e deve trovare la quadra in casa dopo che il suo bilancio per il 2024 è stato terremotato dalla decisione della Corte costituzionale di Karlsruhe, che ha vietato la ricollocazione dei fondi stanziati per il Covid in spese di transizione green.

Senza dimenticare che i conti nazionali e le linee guida sul patto di stabilità europeo sono in mano al falco più rigido del governo, Christian Lindner, alla ricerca di riscatto di fronte ai sondaggi disastrosi del suo partito liberale. Una combinazione pericolosa per il cancelliere, che a questo punto si ritrova tra l’incudine e il martello: Lindner spinge per veder nero su bianco la sua linea dura in patria e in Europa, Meloni però è rimasta una delle migliori e inaspettate amiche di Scholz.

In un panorama in cui in Europa il tradizionale asse francotedesco è in un periodo di sofferenza per incompatibilità caratteriali e debolezza interna del presidente francese, mentre il rapporto con Joe Biden è buono, ma del futuro non c’è certezza, tanto di guadagnato. Meglio quindi non tirare troppo la corda e rimandare ulteriormente le trattative quando non c’è accordo.

Un nuovo rinvio

Chi si aspettava una soluzione dall’incontro delle delegazioni ministeriali (con Meloni hanno viaggiato i ministri degli Esteri, dell’Impresa e dell’Economia) è rimasto deluso. Di fronte alle domande dei cronisti, Meloni e Scholz si sono limitati a lodare i «passi avanti nella direzione giusta» delle trattative.

«Essendo i nostri punti di partenza diversi, la nostra franchezza nell’affrontarli e la chiarezza sta dando i suoi frutti» ha detto la premier in conferenza stampa. «Lavoriamo tutti ad alta pressione» e «siamo vicini come mai prima d'ora a un risultato» ha confermato Scholz.

E quindi, nessuna insistenza su austerity e Mes, anche di fronte a esplicita richiesta. Anzi, Meloni e il cancelliere si sono scambiati soprattutto vicendevoli apprezzamenti e attestati di stima: la cooperazione è strettissima soprattutto nella politica estera e nella transizione energetica.

I due capi di governo non hanno problemi a sottolineare quanto siano sovrapponibili le posizioni di Roma e Berlino nel conflitto ucraino – dossier su cui la coerenza della premier a differenza di quella dei suoi alleati è parecchio apprezzata in Germania – e nella crisi mediorientale.

Meloni e Scholz sono riusciti addirittura a giocare di sponda durante la riunione del G20 a cui hanno partecipato insieme: se il cancelliere ha impersonato il poliziotto buono e si è preso l’onere di riaprire il dialogo con Vladimir Putin potendo contare su una solida tradizione diplomatica tra Mosca e Berlino, la premier ha potuto mostrarsi netta, chiedendo al presidente russo come mai non si limitasse a ritirare le sue truppe per dare seguito al proprio (presunto) desiderio di pace.

Stesso discorso per quanto riguarda la guerra tra Hamas e Israele: Tel Aviv ha tutto il diritto di difendersi, ma restando nell’alveo del diritto internazionale. E poi, la politica energetica: il trattato appena firmato prevede la realizzazione di una nuova pipeline che trasporti gas e idrogeno dall’Africa settentrionale verso l’Italia e poi, attraversando le Alpi, in Germania.

Convergenza inaspettata

Ma se la collaborazione in termini di politica estera era già nelle dichiarazioni degli ultimi mesi, la conferenza stampa ha certificato anche la sovrapposizione delle posizioni di Roma e Berlino sull’immigrazione. Scholz aveva già fatto un passo verso Meloni rinunciando al rifinanziamento dei progetti di salvataggio in mare approvati quest’anno dal Bundestag, poi si era espresso in maniera positiva sull’accordo con l’Albania per la realizzazione di due Cpr fuori dai confini nazionali. Ieri, il cancelliere ha ribadito che per gestire l’arrivo dei migranti è necessario lavorare sul rapporto con i paesi d’origine e di transito, parole che devono essere state musica per le orecchie di Meloni. Il Wir schaffen das – ce la facciamo – slogan di Merkel durante l’ondata migratoria del 2015, è ormai acqua passata.

In un rapporto armonico con una certa tendenza di Berlino di mostrarsi accomodante anche con le posizioni di Roma meno condivisibili – almeno sulla carta – per un governo progressista manca dunque soltanto la convergenza sui termini del nuovo patto di stabilità. Un dossier su cui però, almeno per il momento, «molti hanno interesse a buttare la palla in tribuna» dice una fonte parlamentare vicina alla questione. In fondo, sia Scholz che Meloni hanno bisogno di amici europei.

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