Le armi di distrazioni di massa stanno funzionando. In piena sessione di bilancio, si parla poco di economia nonostante un provvedimento debole e deludente. E intanto arriva la quarta rata del Pnrr
La manovra economica, questa sconosciuta. La sessione di bilancio è iniziata da un pezzo, eppure il dibattito guarda altrove, un po’ di premierato di qua, un po’ di piano Mattei di là. Poi arriva il ministro di turno, in questo caso Guido Crosetto, e lancia il diversivo del complotto dei magistrati contro il governo. Comunque la si voglia vedere per il governo è un successo.
Mini correttivi
Ieri la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha avuto altri motivi per gioire: è passata all’incasso della quarta rata del Pnrr, da 16 miliardi e mezzo di euro; la quota totale arrivata dall'Ue è di 102 miliardi di euro. «Siamo gli unici ad averla già incassata, le risorse arriveranno interamente a terra e lo faranno nei tempi previsti», ha esultato la premier.
Poco prima c’era stato l’incontro con i sindacati a cui ha promesso una correzione della manovra. Non ci saranno decurtazioni all’assegno previdenziale per le categorie di dipendenti pubblici, compresi medici, infermieri e insegnanti, al contrario di quanto previsto. Saranno poi esclusi dalla penalizzazione i lavoratori che andranno in pensione di vecchiaia (a 67 anni) dal 2024.
Non è stata accolta comunque la richiesta di Cgil e Uil di una cancellazione dell’articolo sulle pensioni: il taglio ci sarà per chi sceglie la via della pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini (un anno in meno per le donne). Sul decreto Anticipi, collegato alla manovra, Palazzo Chigi ha deciso di intervenire con degli emendamenti, tra gli altri, sul bonus psicologo e sull’introduzione del codice identificativo per gli affitti brevi, due contentini dati a Forza Italia che si è battuta su questi temi.
Nel dibattito pubblico è stato appena un bagliore di manovra, che resta occultata, lontana dai riflettori: non potrebbe essere altrimenti, essendo debole e deludente. Per il resto prevale la linea del silenzio di un testo “dimenticato”. L’intuizione di non far presentare emendamenti ai senatori della maggioranza è stata finora vincente, almeno sotto il piano della comunicazione. E pazienza se le prerogative dei parlamentari ne escono umiliate.
Ci ha visto lungo il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, primo teorico di questa strategia, subito accolta a braccia aperta da Meloni. A chiudere il dossier ci ha pensato la benedizione dello stratega numero uno di Palazzo Chigi: il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, molto più di un semplice delegato all’attuazione del programma.
Fine manovra
Tra fine e inizio novembre, in genere, era tutto un impazzare di emendamenti bizzarri e costosi alla legge di Bilancio, presentati dai parlamentari che finalmente trovavano il loro sfogatoio. Era la manovra, baby. Solo che gira e rigira, la pioggia di proposte costringeva a parlarne, entrare nel merito. Meglio evitare.
Così, le audizioni sono andate avanti senza pathos, le organizzazioni ascoltate erano consapevoli che le istanze non sarebbero state raccolte dal parlamento. Le indicazioni giacciono nei cassetti, a futura memoria. A svettare nel confronto politico delle ultime settimane, c’è «la madre di tutte le riforme», Meloni dixit, ossia la revisione della Costituzione, che è al momento la madre di tutte le armi di distrazioni di massa.
Ma in mezzo c’è tanto altro, come il piano Mattei, descritto per mesi come la rivoluzione nei rapporti con i paesi del Mediterraneo. Il decreto è solo una cornice della governance, senza scadenze precise e senza un obiettivo. Che dire, poi, dello «storico accordo», nella versione governativa, siglato con l’Albania per l’esternalizzazione dei migranti.
Un patto scritto sull’acqua, di cui si sanno solo le intenzioni, nonostante fosse stato annunciato come già tutto pronto. I contenuti reali saranno comunicati in un futuro disegno di legge di ratifica. Poi, quando la strategia della distrazione era a corto di argomenti, è stato agitato lo spauracchio della sicurezza con un apposito disegno di legge, che indica la strada di una svolta securitaria all’urlo di più pene per tutti.
Il governo ha quindi cercato appigli ovunque, compreso la riscoperta dell’armamentario anti-magistrati con l’ossessione del complotto delle toghe, sfoderata dal ministro Crosetto. «Ogni giorno ne inventano una», dice a Domani il segretario di +Europa, Riccardo Magi.
C’è poi un piano tecnico, che viene esaminato. «La comunicazione di Meloni è molto identitaria, parla della famiglia, della carne sintetica e tutte cose del genere», dice a Domani Giovanna Cosenza, docente di Semiotica e Storytelling all’università di Bologna. Dunque, osserva Cosenza, «sposta il dibattito sui temi tipici della sua parte politica. Dal decreto rave fino a oggi, la storia della comunicazione è stata sempre legata ai valori politici fondamentali, mentre gli atti concreti finiscono con un dietrofront e le questioni economiche sono finite in secondo piano». La previsione della docente è perentoria: «Arriviamo così fino alle Europee, perché le opposizioni girano a vuoto. Come una ruota affossata nella sabbia».
Vana opposizione
E dire che opposizioni e sindacati hanno provato a mettere al centro le critiche alla manovra. Il Pd ha lanciato la manifestazione di piazza del Popolo per denunciare l’assenza di misure economiche del governo. La risposta di partecipazione è stata buona, solo che Schlein dal palco ha dovuto, appunto, parlare di premierato per rispondere all’iniziativa annunciata dal governo in quelle ore sulle riforme istituzionali. La leader dem ha provato pure a battere sulla legge di Bilancio, ma la questione è stata fagocitata dai diversivi.
Ancora più singolare la situazione vissuta dal sindacato, che ha proclamato lo sciopero generale per bocciare senza appello la manovra, chiedendo un profondo cambiamento dell’impianto del provvedimento.
Solo che, questa volta per merito di Matteo Salvini, per giorni il dibattito si è concentrato sul diritto allo sciopero più che sul contenuto dell’agitazione, proclamata dai leader sindacali Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri. Ancora ieri, i due segretari hanno rilanciato: «Il governo non ascolta». Sceglie la linea del “suono del silenzio”.
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