Il centrodestra contro i magistrati sui migranti, la rabbia di Santalucia. Dopo l’Ue e i poteri forti, la premier ha trovato un altro capro espiatorio
Sembra di essere tornati a metà degli anni Novanta, quando gli scontri tra Silvio Berlusconi e la magistratura erano all’ordine del giorno e il Cavaliere evocava le «toghe rosse» a sabotare il suo governo.
Giorgia Meloni, e con lei tutto il centrodestra, ha rotto ogni contegno istituzionale per percorrere la stessa strada di durissimo scontro con la magistratura. Ieri la premier ha attaccato la giudice che ha rigettato la richiesta di convalida del trattenimento di un migrante tunisino, il quale non aveva potuto versare i 5mila euro di cauzione previsti dall’ultimo decreto delegato del governo.
La decisione del tribunale di Catania – impugnabile in Cassazione come già ha dato mandato di fare il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi – applica una giurisprudenza consolidata a livello europeo rispetto all’eccezionalità dei trattenimenti e al merito della cauzione e, di conseguenza, il principio della disapplicazione del diritto interno quando in contrasto con quello dell’Unione. Pronuncia perfettamente prevedibile a livello giuridico (come già anticipato da molti giuristi dopo la pubblicazione del decreto), è invece scandalosa politicamente secondo Meloni e Matteo Salvini, che sulla vicenda si sono trovati allineati, come non succedeva da tempo, in una rincorsa di attacchi alla giurisdizione e di dubbi sull’imparzialità della giudice.
Per Meloni, la decisione è «incredibile» e ha come obiettivo di «scagliarsi contro i provvedimenti di un governo democraticamente eletto». Salvini ha rincarato la dose, attaccando la giudice a livello personale e appigliandosi a un articolo del Giornale che ha scandagliato la pagina Facebook della magistrata in cui erano condivisi dei contenuti a favore della ong Open Arms e contro le decisioni dell’allora ministro dell’Interno ai tempi del governo Conte I.
Per il leader della Lega «le notizie sull’orientamento politico del giudice che non ha convalidato il fermo degli immigrati sono gravi, ma purtroppo non sorprendenti». Per questo il partito presenterà una interrogazione al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per chiedere «conto del comportamento del giudice siciliano in parlamento, perché i tribunali sono sacri e non possono essere trasformati in sedi della sinistra».
Parole pesantissime, che bucano qualsiasi separazione tra poteri dello stato e aprono un conflitto inevitabile con la magistratura. Una volta rotto l’argine da parte dei due leader, infatti, un profluvio di dichiarazioni sono arrivate da esponenti del centrodestra – da Flavio Tosi e Maurizio Gasparri di Forza Italia a Sarah Kelany di FdI a Fabrizio Cecchetti della Lega – attaccando la giudice e parlando di sentenza politica.
La risposta delle toghe
La diretta interessata, Iolanda Apostolico, magistrata non iscritta a gruppi associativi, ha scelto di rimanere fuori dalla polemica, limitandosi a commentare che «il mio provvedimento è impugnabile con ricorso per Cassazione. Non devo difenderlo, non rientra nei miei compiti. Non si deve trasformare una questione giuridica in una vicenda personale».
In sua difesa è intervenuto il segretario nazionale dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia. «Serve rispetto reciproco», è la sintesi del suo pensiero, «la giurisdizione non è un pezzo del governo, siamo un organo di garanzia autonomo e indipendente, tuteliamo i diritti fondamentali». E ancora «Un magistrato può avere le sue idee ma quando esercita la giurisdizione lo fa nel rispetto delle norme, se viene meno questa convinzione viene meno la tenuta del sistema».
L’Anm di Catania, invece, ha definito «gratuiti e irriguardosi, oltre che non rispettosi delle sfere di attribuzione funzionale» gli attacchi di politica e stampa alla magistrata e le dichiarazioni di Meloni «infondate» e dai «toni scomposti, lontanissimi da quelli che dovrebbero informare una corretta dialettica tra poteri».
Il cambio di strategia
Lo scontro frontale con le toghe segna un cambio di strategia da parte del governo che, dopo l’Europa e i poteri forti, ora ha scelto la magistratura come nuovo nemico. Se all’inizio della legislatura era stata la stessa Meloni a frenare il ministro Nordio, polemico con i giudici sulle intercettazioni e l’antimafia, ora è lei a indicarli come target.
La tecnica, tuttavia, è sempre la stessa: individuare un avversario a cui addossare la responsabilità di un sabotaggio delle iniziative del governo. Nessuna ammissione di errori politici o tecnici (il rischio di disapplicazione del decreto era già stato ventilato), solo l’evocazione di una grande congiura ai danni del centrodestra.
«Giorgia Meloni la smetta di alimentare lo scontro istituzionale che danneggia il paese. La smettano di cercare un nemico al giorno per nascondere le proprie responsabilità», ha detto a Repubblica la segretaria del Pd, Elly Schlein.
Se la tesi del complotto contro il governo può polarizzare il dibattito e dare respiro all’esecutivo in difficoltà nella gestione dei migranti, il rischio è che diventi una strada senza uscita. Accusare di sentenza politica la decisione di un giudice e farlo da palazzo Chigi, infatti, apre a un conflitto senza vincitori – come insegna la parabola di Berlusconi – che mette in crisi la separazione dei poteri e l’indipendenza della giurisdizione. La magistratura, già in allarme per l’iniziativa del governo di separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, avrà ulteriori argomenti per sostenere che l’esecutivo punti a sottoporre i giudici al controllo della politica.
Alzando in questo modo il livello dello scontro e facendo saltare ogni contegno istituzionale senza attendere gli esiti del ricorso contro la decisione catanese, Meloni offre buoni argomenti ai suoi avversari politici ma soprattutto ottime ragioni all’Unione europea (proprio in virtù delle norme Ue il decreto è stato disapplicato) per dubitare della bontà della strategia italiana in materia di immigrazione.
Nel mezzo, il guardasigilli Nordio. Dovrà rispondere all’interrogazione della Lega e si trova stretto tra due vasi di ferro: da una parte il governo di cui fa parte, dall’altra il potere giudiziario, della cui indipendenza nella giurisdizione proprio lui deve essere rispettoso.
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