In conferenza stampa da Vilnius, Giorgia Meloni ha fatto affermazioni critiche sull’imputazione coatta disposta dal gip nei riguardi di Andrea Delmastro Delle Vedove. Ma il gip ha fatto ciò che doveva.
- Da Vilnius, Giorgia Meloni, con riguardo all’imputazione coatta disposta dal gip nei riguardi di Andrea Delmastro Delle Vedove, ha affermato che «il giudice non dovrebbe sostituirsi al pm, formulando l’imputazione quando il pm non intende esercitare l’azione penale».
- La Corte costituzionale si è espressa sul punto in senso opposto, affermando tra l’altro che non c’è commistione fra le funzioni del gip e quelle del pm e che il primo esercita un’attività di controllo sull’effettivo rispetto del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.
- Il cambiamento di certi istituti processuali preannunciato in concomitanza a eventi che riguardano esponenti della maggioranza di governo non giova all’idea di una riforma “super partes” della giustizia, come ogni riforma dovrebbe essere.
In conferenza stampa da Vilnius, a margine del vertice della Nato, Giorgia Meloni ha fatto affermazioni critiche sull’imputazione coatta disposta dal giudice per le indagini preliminari (gip) nei riguardi di Andrea Delmastro Delle Vedove, sottosegretario alla Giustizia.
Com’è noto, Delmastro è stato indagato per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione al caso Cospito. Il gip non ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dalla procura di Roma.
Secondo quest’ultima, che ha riconosciuto l’esistenza oggettiva della violazione del segreto da parte del sottosegretario, mancherebbe l’elemento soggettivo del reato: Delmastro non sarebbe stato consapevole di violare la legge. Il gip non ne è convinto, e perciò ha disposto l’imputazione coatta. Ora il pubblico ministero (pm) è tenuto a formulare una richiesta di rinvio a giudizio per Delmastro.
A seguito di ciò, «fonti ministeriali di via Arenula» – fonti non meglio precisate, non c’è un soggetto che se ne assuma inequivocabilmente la responsabilità – avevano reso noto che l’imputazione coatta «dimostra l’irrazionalità del nostro sistema. Nel processo che ne segue, infatti, l’accusa non farà altro che insistere nella richiesta di proscioglimento in coerenza con la richiesta di archiviazione. Laddove, al contrario, chiederà una condanna non farà altro che contraddire se stesso».
Il comunicato rilevava pure la necessità di una riforma «che attui pienamente il sistema accusatorio». Le affermazioni della presidente del Consiglio da Vilnius vanno ancora oltre. «Il giudice non dovrebbe sostituirsi al pm – ha detto Meloni – formulando l’imputazione quando il pm non intende esercitare l’azione penale».
Insomma, ci sarebbe stata una commistione tra funzioni. Non è proprio così. Può essere utile qualche chiarimento sull’imputazione coatta, per consentire anche ai non addetti ai lavori di comprendere la disputa in corso su questo istituto giuridico.
L’imputazione coatta
L’imputazione coatta è lo strumento tramite cui il giudice per le indagini preliminari, preposto al controllo sulla richiesta di archiviazione avanzata dal pm, obbliga quest’ultimo a esercitare l’azione penale.
In altre parole, si tratta di un ordine che il gip rivolge al pm quando, in base alle risultanze degli atti di indagine sottoposti al suo vaglio, il giudice reputi che non sussistano i presupposti per l’archiviazione della notizia di reato e che, invece, vi siano elementi sufficienti per l’esercizio dell’azione penale. In questo caso, il gip dispone con ordinanza che, entro dieci giorni, il pm formuli l’imputazione e, nei due giorni successivi all’esercizio “coatto” dell’azione penale, fissa l’udienza preliminare con un decreto.
Si tratta di un istituto controverso della riforma del processo penale del 1988. La riforma ha introdotto nel nostro ordinamento regole e principi propri del processo accusatorio di origine anglosassone che postula, tra l’altro, la totale autonomia di funzioni tra l’accusa (cioè la parte processuale pubblica, che dà impulso al procedimento e raccoglie il materiale probatorio) e il giudice (organo terzo e imparziale, preposto alla risoluzione della controversia). L’imputazione coatta rappresenta una sorta di deroga a tale sistema, motivata dal fatto che l’obbligatorietà dell’azione penale necessita di controlli che ne verifichino l’effettivo rispetto. Controlli che il codice di procedura penale ha affidato al gip.
La Corte costituzionale
La critica principale mossa all’istituto dell’imputazione coatta – critica sottesa anche alle affermazioni di Meloni – è che, attraverso essa, sarebbe l’organo di controllo giurisdizionale a esercitare sostanzialmente l’azione penale, e ciò contrasterebbe con l’articolo 112 della Costitutzione, secondo cui tale azione compete al pm. Al giudice sarebbe cioè attribuito un potere talmente incisivo da tradursi non solo nella violazione del principio di separazione delle funzioni proprio del modello accusatorio, come detto, ma anche nella lesione delle prerogative spettanti al pm.
La Corte costituzionale è di orientamento diverso rispetto a questa posizione. La sentenza della Cassazione a Sezioni Unite del marzo 2022 richiama alcune pronunce della Corte che chiariscono bene la questione. In particolare, la Cassazione cita le sentenze in cui si afferma la necessità del controllo del gip sull’operato del pm: «Il principio dell'obbligatorietà dell’azione penale esige che nulla sia sottratto al controllo di legalità del giudice».
Controllo che deve «necessariamente riguardare l’integralità dell’indagine» e non limitarsi alla notizia di reato esaminata dal pm, ciò anche in quanto l’imputazione coatta ha la finalità – tra le altre – di arginare eventuali prassi di esercizio solo “apparente” dell’azione penale. Perciò è stata prevista «la possibilità per il giudice per le indagini preliminari di chiedere ulteriori indagini o di restituire gli atti per la formulazione dell'imputazione».
L’assenza di commistione fra le funzioni del gip e quelle del pm è stata sostenuta dalla Corte costituzionale anche in un’altra pronuncia. «Al giudice per le indagini preliminari – afferma la Consulta – è demandato solo l’atto d’impulso, che non fuoriesce dalla funzione di controllo, mentre il concreto promovimento dell'azione, che si esplica nella formulazione dell'imputazione (…), resta di competenza del pubblico ministero». Questo passaggio potrebbe costituire una replica all’obiezione avanzata da Meloni sul tema.
A sostegno della distinzione fra le due funzioni, peraltro, non può escludersi che il pm, qualora non concordi con le motivazioni del gip, precisi nel corso del dibattimento che l’imputazione è stata formulata in quanto richiesta dal giudice, ma a suo giudizio non sussistono elementi per arrivare a una affermazione di responsabilità penale.
Pro e contro
A favore dell’imputazione coatta si è pronunciato, in un’intervista, l’avvocato Franco Coppi. «Nel nostro sistema costituzionale – ha detto – vige l’obbligatorietà dell’azione penale. Perciò è previsto che il pm sottoponga il suo operato al controllo del giudice. Se il giudice ritiene che vi sia un’ipotesi di reato, come fa a far finta di niente? Vorrebbe dire che si limita a ratificare ciò che chiede il pm, e non è questa la sua funzione. Così come accetta una richiesta di archiviazione può anche rifiutarla».
Di diverso avviso è l’avvocato Giandomenico Caiazza, presidente dell’Unione camere penali, secondo cui «l’imputazione coatta disposta dal gip contro la volontà del pubblico ministero è da sempre una delle norme più irrazionali e insensate del nostro codice di procedura penale per le ragioni che sono state ben espresse dal ministero». Ma al contempo, rileva Caiazza, «è una norma che esiste dalla fine degli anni Ottanta. Ce ne accorgiamo solo ora?».
Riforma “super partes”?
L’osservazione finale dell’avvocato Caiazza consente di introdurre un altro tema. Vale a dire il collegamento, creato dal citato comunicato di via Arenula, tra la riforma di un istituto processuale voluta dal governo e la vicenda in cui è coinvolto un esponente della maggioranza, nel mentre esponenti del governo stesso criticano l’iniziativa assunta da un giudice nei riguardi di quest’ultimo.
Il guardasigilli, Carlo Nordio, ha fatto presente che da anni si esprime in senso avverso all’imputazione coatta. La presidente Meloni, da Vilnius, ha escluso che la riforma abbia un intento «punitivo» nei riguardi della magistratura, pur riconoscendosi nelle fonti di palazzo Chigi che hanno accusato i giudici di «schierarsi in maniera faziosa nello scontro politico in vista delle elezioni europee».
Resta il fatto che preannunciare la revisione di certi istituti in concomitanza di eventi giudiziari che interessano la propria parte politica non giova all’idea di una riforma “super partes” della giustizia, come ogni riforma dovrebbe essere. Non proprio un buon inizio per il disegno di legge di prossima discussione in parlamento.
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