Il senatore dem: «I prossimi tre anni devono essere il cantiere di un’alleanza che proponga al Paese un cambiamento profondo. I modelli vincenti già ci sono. E non ha senso è che il partito rimanga ingabbiato negli schemi di un congresso di un anno e mezzo fa, con correntoni o correntine»
«I prossimi tre anni devono essere il cantiere per un Nuovo Ulivo, come diciamo da mesi: un’alleanza che proponga al Paese un cambiamento profondo, che abbia come primo obiettivo la giustizia sociale, e quindi il lavoro e il salario, l’attenzione ai più deboli, la scuola e la sanità pubbliche, le opportunità per i territori in ritardo di sviluppo». Marco Meloni, capofila con Anna Ascani dell’area “neoulivista” del Pd, è sardo, di Cagliari, e più di un anno fa è stato tra i primi a sostenere l’alleanza giallorossa nella sua Regione. Com’è andata è storia nota: Alessandra Todde, del Movimento Cinque stelle, ha vinto in Sardegna, sostenuta anche dal Pd, primo partito nell’isola davanti a Fratelli d’Italia. Da quell’elezione l’alleanza sembrava una strada segnata, almeno nelle regionali, ma poi c’è stata la sconfitta in Basilicata e in Piemonte.
Ma è la strada giusta, per Meloni. «Siamo di fatto l’alternativa e l’opposto di questa destra, che ha un disegno pericoloso, disgregatore dell’ordine costituzionale e dell’unità nazionale: ora dobbiamo fare opposizione, ma alle prossime politiche dobbiamo avere l’ambizione di essere votati per la nostra proposta, non solo in termini difensivi. Per convinzione, non per paura della destra». Meloni è stato anche uno stretto collaboratore di Enrico Letta, l’ex segretario del Pd, coordinatore del partito sotto la sua segreteria, dal 2021 al 2023.
In Francia le sinistre e i liberali di Macron sono state capaci di fermare la destra di Marine Le Pen. Perché le sinistre italiane no?
Perché rispetto al pericolo della destra, in Italia non è scattata la stessa reazione. Non tutti nel centrosinistra hanno sentito la responsabilità di organizzare una coalizione unita. Discutere di questo ora non è più importante, le condizioni sono tutte cambiate. Guardiamo al futuro, a una coalizione per il cambiamento capace di vincere. Il Pd è il motore di questo processo, lo hanno detto le elezioni europee.
Un Pd cambiato rispetto alle politiche del 2022?
Oggi il Pd è plurale e unito, ed è forte nelle sue battaglie identitarie e nelle sue personalità. Ora serve che nel partito si apra, come ha proposto la segretaria, una fase nuova sia a livello centrale che territoriale. Alcune intuizioni, come le Agorà - grazie alle quali il Pd ha potuto aprirsi a movimenti e storie personali come quelle della stessa Elly Schlein – e il processo costituente, sono state la base di questo nuovo Pd, e devono essere consolidate, devono diventare la prassi di funzionamento di un partito costantemente aperto alla società. Dobbiamo essere il partito del cambiamento, dell’innovazione, della crescita e dei diritti, e mai della conservazione e dei potentati locali. Il nostro Paese ha un disperato bisogno di giustizia sociale, e di politiche pubbliche che la realizzino. Per poterle finanziare è fondamentale la crescita economica sostenibile. Per questo dobbiamo saper parlare anche all’Italia dell’impresa e del lavoro, che guarda a noi con interesse: del resto, la politica economica di questo governo e il suo isolamento in Europa non portano nessun beneficio alla crescita. La segretaria ha aperto questa riflessione e questo dialogo, che va irrobustito.
La Commissione europea eleggerà Ursula von Der Leyen con i voti di Giorgia Meloni?
Da italiano, spero di sì. Finora, agendo da leader di un partito sovranista di destra estrema più che da premier di un grande Paese fondatore, ha sbagliato tutto. Ora può solo sperare – e noi lo speriamo con lei, per il bene del Paese – che l’Italia non sia messa del tutto ai margini dell’Unione. Ma la cosa più importante è la missione della nuova Commissione: l’Europa ha davanti una legislatura in cui dimostrare che le sfide più attuali - a partire dalla transizione ecologica, dal rilancio della produttività e dal rafforzamento del ruolo internazionale dell’Ue - non sono questioni lontane o contrarie agli interessi dei suoi cittadini, in particolare i più poveri; si tratta invece di opportunità per costruire un nuovo modello di sviluppo, fatto di crescita e di equità. Serve una maggiore integrazione del mercato unico, una quinta libertà basata sulla conoscenza, una vera Unione dei capitali e dei risparmi per finanziare la transizione verde e digitale, come indicato dalle proposte contenute nel Rapporto Letta. Che vanno attuate in tempi celeri.
Lei diceva che il Pd oggi è più unito. La vittoria delle europee ha sfumato le differenze interne fra sinistra e riformisti?
Anzitutto ha dimostrato che la pluralità è una ricchezza del Pd, e che ora dobbiamo interpretare la sfida di governo a cui è chiamata una sinistra contemporanea. La coalizione che chiamiamo “Nuovo Ulivo” ha bisogno di un partito largo, di centrosinistra, nel quale convivano nettezza e radicalità delle proposte da un lato, e attitudine riformista, capacità di governo, dall’altro. Quel che non ha senso è che il partito rimanga ingabbiato negli schemi di un congresso di un anno e mezzo fa. È un assetto da superare, ma non lo si fa con nuove correnti sulle quali cominciano a esercitarsi – è un passatempo estivo ormai – improbabili ricostruzioni giornalistiche.
Per essere concreti: è in preparazione un nuovo correntone che mette insieme le aree che hanno sostenuto la segretaria con altre che invece hanno sostenuto Bonaccini?
Non mi pare, mi sembra un discorso superato dai fatti. Ho parlato delle Agorà, di rendere permanente l’apertura alla società, il “pullman digitale” di cui ha parlato in una intervista Romano Prodi. Tutto il contrario di correntoni o correntine, vecchie o nuove. Le energie migliori del Pd devono lavorare per organizzare un partito nuovo e definire un programma per il governo. Nei prossimi due anni dobbiamo contrastare con la massima determinazione, come stiamo facendo, il disegno disgregativo dell’autonomia differenziata e quello autoritario del premierato, e unire attorno ai temi del salario equo, della sanità e della scuola pubblica, tutte le opposizioni. Che sono maggioranza numerica nel paese e ora devono diventare maggioranza politica, devono diventare la “coalizione per il cambiamento” di cui l’Italia ha bisogno. Ci sono i modelli vincenti di questi mesi, e la Sardegna è il primo, insieme a molte amministrazioni comunali dell’ultima tornata elettorale.
Ma un “Nuovo Ulivo” non è una suggestione altrettanta superata, visto che cita un’esperienza vittoriosa ma passata e non riproponibile?
Un anno fa abbiamo pensato a questa espressione simbolica non per tornare indietro di trent’anni anni, ma perché quella è stata l’unica esperienza in cui il centrosinistra si è aggregato attorno a una proposta di cambiamento profondo dell’Italia, e ha vinto. Il primo governo Prodi, con un governo di politici competenti, ha modernizzato l’Italia e ci ha ancorato all’Europa unita, allontanando per i decenni successivi il rischio di una deriva argentina della nostra economia. È di una nuova proposta con le stesse caratteristiche, calata nelle esigenze di questo tempo, certamente più drammatico, che c’è bisogno.
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