Il tribunale di Catania spiega perché le recenti scelte dell’esecutivo sono carta straccia. Sia alla luce delle norme Ue, che Piantedosi invocava, sia sulla base della nostra Costituzione. La sintesi è: «Non convalida»
«Non convalida». Il tribunale di Catania, sezione immigrazione, offre una lunga lista di motivazioni, che spaziano dalla nostra carta costituzionale alle normative europee. La conclusione è ciò che più conta per il governo Meloni, ed è lapidaria: i giudici già ne sconfessano le recenti decisioni assunte in tema migranti.
Il caso
Il nastro del nuovo centro di Pozzallo è stato appena tagliato, e già il tribunale libera il primo ospite che ha fatto ricorso. Si tratta di un cittadino tunisino «entrato nel territorio dello stato italiano in data 20 settembre dalla frontiera di Lampedusa», che è «proveniente da un paese designato di origine sicura» e che ha «presentato in data 27 settembre la domanda di riconoscimento della protezione internazionale». Ha subito manifestato la volontà di chiedere protezione internazionale.
Non ha «prestato idonea garanzia finanziaria secondo le disposizioni del decreto del 14 settembre». In parole semplici, non ha consegnato i circa 5mila euro che il governo chiede in cambio della liberazione. Se si seguisse il decreto del governo meloniano, il tunisino che ha presentato ricorso potrebbe quindi essere trattenuto nel centro di Pozzallo inaugurato circa una settimana fa e imbastito in quaranta giorni utilizzando container.
Un decreto senza legittimità
Quando ha inaugurato quel centro, il ministro degli Interni Matteo Piantedosi ha pure fatto sfoggio della «direttiva europea nel recepimento della quale avvieremo in provincia di Ragusa la prima struttura di trattenimento di richiedenti asilo provenienti da paesi sicuri, come la Tunisia, per fare in modo che si possano realizzare velocemente, entro un mese, procedure di accertamento per l'esistenza dei presupposti di status di rifugiato».
Ma il tribunale di Catania contesta sia la nuova procedura di trattenimento che la cauzione da circa 5mila euro che andrebbe pagata per non finire in quel centro. «Ritenuto che la normativa interna incompatibile con quella dell’Unione va disapplicata dal giudice nazionale», e con una serie di altre puntuali motivazioni.
La “exit” del governo Meloni
Sulla base anche di quanto ha disposto la Corte di giustizia dell’Unione europea – argomenta il tribunale di Catania – le normative europee «ostano, in primo luogo, a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità, in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura». Insomma, non si può trattenere un richiedente protezione senza che questa misura sia dimostrata proporzionale e necessaria; mentre il governo Meloni a colpi di decreto intende farne la pratica di uso generale.
Ma quello stesso governo, così facendo, va contro l’Ue; dunque il decreto non può essere applicato in casi come quello finito per le mani del tribunale di Catania.
La faccenda dei soldi
E che dire dei circa cinquemila euro – 4938 per essere precisi – che sempre stando ai decreti meloniani apre le porte della libertà? Qui il giudice fa leva sugli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/Ue che – sempre seguendo l’interpretazione della Corte di giustizia europea – «devono essere interpretati nel senso che ostano, in primo luogo, a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità» salvo valutazioni ovviamente di necessità e proporzionalità della misura.
Vien fuori insomma che quel che Piantedosi vende come il recepimento di una direttiva europea è al contrario il suo stravolgimento.
Governo contro Costituzione
A dire il vero non serve neppure scomodare Bruxelles perché il decreto meloniano risulta incompatibile con la stessa fonte primaria italiana ovvero la Costituzione. «Alla luce del principio costituzionale fissato dall’articolo 10 comma 3 della Costituzione deve infatti escludersi che la mera provenienza del richiedente asilo da paese di origine sicuro possa automaticamente privare il suddetto richiedente del diritto a fare ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione internazionale».
Alla luce di tutti questi elementi «non sussistono i presupposti per il trattenimento del richiedente asilo». E per il decreto meloniano è subito flop.
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