- Il braccio di ferro del governo italiano verso la Francia non sembra aver portato a un risultato brillante sul piano politico.
- L’atto di forza dell’Italia ha evitato l’accoglienza dei 243 naufraghi sulla Ocean Viking, ma comporterà 3.500 migranti in più di cui farsi carico, dato che la Francia ne ha sospeso l’accoglienza, cui si era impegnata in un accordo con altri Paesi europei nel giugno 2022.
- La prova di forza italiana è criticabile anche sul piano giuridico. in casi precedenti, i giudici affermarono nei riguardi dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che tenere le persone in mare, in violazione di norme interne e internazionali, non può essere giustificato da una finalità politica.
Le persone a bordo della Ocean Viking sono finalmente sbarcate, concludendo le proprie peregrinazioni nel porto di Tolone. Ma non si è ancora conclusa la contesa fra il governo italiano e quello francese, che anzi pare destinata ad esacerbarsi.
Martedì 8 novembre, in serata, Giorgia Meloni esprimeva «il sentito apprezzamento» per la decisione della Francia di farsi carico dei 243 migranti sulla nave. Ma il vanto, più o meno espresso da parte del nostro governo, dei risultati della linea dura sui migranti induceva il governo d’oltralpe a cambiare atteggiamento, dichiarando «inaccettabile il comportamento italiano» sulla Ocean Viking, perché contrario al diritto del mare e allo spirito europeo.
Nella giornata di giovedì 10 novembre, il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, ha dichiarato che il suo paese avrebbe accolto i 234 naufraghi a bordo della Ocean Viking, ma avrebbe sospeso l’accoglienza di 3.500 migranti cui si era impegnata in precedenza.
Può essere utile fornire gli elementi necessari per comprendere questa vicenda.
Il Regolamento di Dublino
Il regolamento di Dublino (604/2013) «stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide». In altre parole, definisce quale paese debba prendere in carico l’istanza di protezione di un richiedente asilo e l’accoglienza di quest’ultimo.
La normativa si fonda sul principio che la competenza per l’esame della domanda ricada sul primo paese d’ingresso nell’Unione europea (Ue). Questo principio può essere derogato solo in ipotesi limitate. Il regolamento – noto anche come Dublino III, approvato nel 2013, che ha sostituito il precedente regolamento (343/2003), a sua volta derivante dalla Convenzione di Dublino, trattato internazionale siglato nel 1990 ed entrato in vigore nel 1997 – ha alcuni difetti: tra gli altri, l’eccessivo onere a carico dei paesi di frontiera, a svantaggio di paesi costieri come Grecia e Italia, e la mancanza di meccanismi obbligatori di redistribuzione dei migranti.
La solidarietà dei Paesi UE
Nel tempo si è provato a ovviare a questi difetti. Non riuscendosi a modificare il regolamento – da ultimo, nel 2018 – si è proceduto a intese per ricollocamenti volontari. Nel giugno 2022, ventuno tra stati membri e stati terzi associati (Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Germania, Grecia, Spagna, Finlandia, Francia, Croazia, Irlanda, Italia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein) hanno adottato un accordo di durata annuale per il rafforzamento di un sistema di solidarietà.
Il meccanismo contenuto nell’accordo prevede un volume totale annuo di ricollocazioni di migranti. Ciascuno stato dovrebbe presentare il proprio impegno all’accoglienza, quantificato numericamente in base alla rispettiva popolazione e al proprio Pil.
Gli impegni di solidarietà sono temporanei e volontari, e tale volontarietà consente agli stati membri di esprimere preferenze, ad esempio, sulle nazionalità dei migranti da accogliere, nel rispetto comunque di alcuni criteri: tra gli altri, la priorità dei più vulnerabili e, riguardo agli stati a cui offrire la ricollocazione, la preferenza per quelli che affrontano l’onere degli sbarchi.
In alternativa all’accoglienza mediante redistribuzione, gli stati possono manifestare la solidarietà attraverso il versamento di contributi finanziari o la fornitura di aiuti materiali oppure la realizzazione di progetti nei paesi terzi, finalizzati a contenere i flussi migratori. Si prevede che ogni stato rispetti «il contributo indicativo minimo previsto, affinché l'obiettivo non venga ridotto eccessivamente nel caso in cui un numero limitato di stati membri partecipi alla ricollocazione, in modo tale da affermare la precedenza della ricollocazione rispetto ai contributi finanziari». La Commissione individua i paesi destinatari dei fondi necessari a sostenere il peso migratorio.
Il meccanismo di solidarietà prevede il ricollocamento annuo di circa 10mila persone. La Francia si era impegnata ad accoglierne 3.500 entro l’estate del 2023, ma a seguito dei recenti avvenimenti ha sospeso quest’impegno. Invece, ha rafforzato quello relativo al contrasto dei movimenti secondari – migranti che si spostano dal paese di primo arrivo, ove dovrebbe essere esaminata la loro istanza di asilo, a un altro paese dell’Ue, in violazione del regolamento di Dublino – con maggiori controlli alle frontiere.
In conclusione, l’atto di forza posto in essere verso la Francia in questi giorni ha evitato l’accoglienza dei 243 migranti sulla Ocean Viking, ma comporterà 3.500 migranti in più di cui farsi carico. Non proprio un risultato brillante per il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e per il governo in generale, il cui indirizzo è comunque dato da Giorgia Meloni, presidente del Consiglio.
Il braccio di ferro
Il braccio di ferro non sembra aver portato a un buon esito sul piano politico. Ma occorre valutare la prova di forza anche sul piano giuridico, ed è possibile farlo attraverso quanto affermato dal Tribunale dei ministri nei riguardi dell’ex vertice del Viminale, Matteo Salvini. Nel caso Open Arms, i giudici hanno qualificato la privazione della libertà personale dei migranti soccorsi, in attesa dello sbarco, operata dall’allora ministro dell’Interno, come una «forzatura», tesa a «indurre le autorità dell’Unione europea a cooperare più efficacemente alla redistribuzione dei migranti in tutti i paesi dell’Unione».
Tuttavia, «gli obblighi assunti con l’adesione a convenzioni internazionali, le norme di diritto internazionale consuetudinario, la giurisprudenza sovranazionale formatasi in materia e, ancor prima, i principi fondamentali statuiti dalla Costituzione italiana a tutela di diritti fondamentali delle persone, e delle persone soccorse in mare in particolare», non possono essere disattesi o violati. In buona sostanza, i diritti delle persone non possono essere messi in secondo piano rispetto alla «linea di indirizzo politico» del governo.
Già in precedenza, nel caso Gregoretti, conclusosi con il non luogo a procedere verso Salvini, il tribunale dei ministri era arrivato alle medesime conclusioni, affermando che «la linea politica promossa dal ministro dell’Interno» – fare pressione nei riguardi degli altri stati dell’Ue per ottenere la redistribuzione dei migranti – poteva essere realizzata nel rispetto delle norme, con il tempestivo sbarco e poi con lo smistamento in altri paesi, «secondo gli accordi eventualmente raggiunti a livello europeo». In altre parole, tenere le persone in mare non può essere giustificato da una finalità politica perseguibile anche portandoli a terra, e operando solo successivamente eventuali azioni di convincimento verso stati dell’Unione.
In un altro articolo abbiamo suggerito al ministro Piantedosi di tenere conto di precedenti pronunce dei giudici. Il processo contro Salvini per il caso Open Arms è ancora pendente.
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