«Sarebbe un buon risultato fare dieci missioni in un anno» spiega Giacomo Franceschini, responsabile del gruppo operativo. La responsabile alla comunicazione Cecilia Strada: «Siamo al completo per la prima missione. Abbiamo delle posizioni aperte sul nostro sito per costruire un pool di candidati per le partenze successive»
Una nuova nave salperà per salvare vite umane. Sarà la nave di “ResQ-People Saving People”, un'organizzazione non governativa (ong), formata – scrivono sul loro sito – da «persone, proprio come te, stanche di restare a guardare» e che credono «nell’importanza di colmare il vuoto che si è creato nel Mediterraneo». L’imbarcazione di ricerca e soccorso prenderà il nome dell’associazione: “ResQ People”. È lunga 39 metri, potrà ospitare a bordo almeno 150 persone oltre all’equipaggio e ha già solcato il Mediterraneo per soccorrere i naufraghi con il nome di Alan Kurdi per conto dell'organizzazione tedesca Sea-Eye. La Ong si pone l’obiettivo di fare la prima missione di ricerca e salvataggio in mare entro fine luglio.
Il progetto
L’associazione ResQ nasce a Milano nel dicembre 2019, è formata da persone che svolgono diversi lavori: giuristi, avvocati, giornalisti e operatori umanitari. «Abbiamo deciso di metterci all’opera dopo aver constatato l’assenza di discontinuità tra il Conte uno e il Conte due: non c’era alcun soccorso europeo né alcun soccorso italiano nel Mediterraneo centrale», dice Luciano Scalettari, presidente dell’associazione.
Il progetto è stato presentato a luglio 2020. Due ex magistrati, Gherardo Colombo e Armando Spataro, sono tra i soci fondatori dell’associazione. Il primo ricopre il ruolo di presidente onorario. «La prima reazione è stata molto positiva, evidentemente favorita dalla presenza di personaggi noti. In poco tempo siamo passati da 120 a 450 soci. Abbiamo subito ricevuto una donazione cospicua di 100.000 euro dall’Unione buddhista, che ha confermato il suo sostegno sia per il 2021 che per il 2022» aggiunge Scalettari.
Le raccolte fondi attraverso donazioni di enti, crowdfunding o eventi sono la forma principale di finanziamento delle Ong. I soldi raccolti finora hanno consentito di acquistare la nave e di essere in mare per qualche mese, ma per rendere la missione duratura ci vorranno altri fondi. Si stima che ogni mese di navigazione costi 150.000 euro, una cifra che comprende tutte le spese: lo stipendio dell’equipaggio, il carburante della nave, il cibo necessario per i giorni di navigazione. Per raccogliere fondi ResQ sta organizzando una serie di iniziative dal vivo in giro per l’Italia insieme alla rete di 70 associazioni sostenitrici del progetto.
Diritto al soccorso
ResQ, insieme ad altre ong, ha anche spinto affinché nascesse il Comitato per il diritto al soccorso in mare, un ente terzo presieduto da Luigi Manconi, e di cui fa parte anche lo scrittore Sandro Veronesi, che ha l’intento di contribuire al formarsi, nell’opinione pubblica italiana ed europea, di un costante orientamento di sostegno all’attività di salvataggio in mare.
Un’altra finalità importante del comitato è quello di agevolare le relazioni tra istituzioni e ong con l’obiettivo di ricostituire condizioni minime di operatività e di collaborazione, sia con le autorità competenti (in primo luogo ministero dell’Interno e ministero dei Trasporti), sia con gli organismi pubblici dell’attività di ricerca e salvataggio (Guardia Costiera).
La nave
Giacomo Franceschini – responsabile del gruppo operativo dell’ong con una lunga esperienza di lavoro in organizzazioni umanitarie alle spalle – racconta che l’attività più difficile di questi mesi è stata proprio la ricerca della nave: «Per sceglierla ci siamo rivolti a una rete di broker internazionali, cercando nel mercato dell’usato viste le nostre modeste finanze. Siamo arrivati a testare 25 navi. Nessuna di queste era stata costruita in origine per essere una nave di ricerca e soccorso, ma sono state adattate a tale scopo. Le navi riconvertibili al soccorso in mare sappartengono a quattro categorie: rimorchiatori d’altura, supply vessel, stand-by vessel, special purpose vessel».
Le prime sono così chiamate perché hanno lo scopo di accompagnare le navi in partenze verso il mare aperto oppure per guidarle verso le manovre di attracco; le supply vessel sono utilizzate per il rifornimento di piattaforme di petrolio o gas offshore; le stand-by vessel sono invece navi di emergenza e salvataggio adatte a evacuare il personale dalle piattaforme in caso di emergenza. Infine, le special purpose vessel – categoria a cui appartiene l’imbarcazione di ResQ – sono navi utilizzate per missioni particolari come la ricerca oceanografica.
«Si tratta di un’imbarcazione già attrezzata per il soccorso in mare e dotata dell’annotazione supplementare “rescue”. L’annotazione consiste nella dotazione di equipaggiamenti supplementari quali salvagenti e scialuppe di salvataggio, oltre a quelli previsti per l’equipaggio» dice Franceschini. Proprio la mancanza di un numero di salvagenti uguale al numero delle persone salvate è stata oggetto di fermo amministrativo di alcune navi di soccorso da parte della guardia costiera italiana recentemente.
«L’annotazione “rescue” non è necessaria per il soccorso in mare però in questo momento ci sembra essere fondamentale per mantenere relazioni buone con le istituzioni – chiarisce Franceschini – Anche se è impossibile fare calcoli: se ci sono 200 persone da salvare si salvano tutte, a prescindere dal numero di salvagenti presenti sulla nave».
Tra l’acquisto e il varo di una nave si perfezionano alcune operazioni. Infatti, prima della partenza, è necessario che la nave sia inserita in una classe (una certificazione che dura cinque anni) e che rispetti una serie di adempimenti (regole sulla sicurezza a bordo, su antinquinamento, sui documenti necessari a imbarcarsi, ecc.) disciplinati dallo Stato italiano.
A oggi, anche per gli addetti al mestiere non è facile comprendere tutte le regole che una nave di soccorso deve rispettare per operare, come spiega Franceschini: «Ci barcameniamo tra normative esistenti complicate e normative non esistenti che vengono pretese ad hoc come se si volessero creare complicazioni».
Il gruppo operativo di ResQ ha programmato di riuscire a fare una missione di salvataggio al mese. «Abbiamo programmato 10/15 giorni per ogni missione e altrettanti giorni per il rifornimento, la manutenzione e i cambi dei volontari dell’equipaggio. Anche se questo è l’ideale. Sarebbe già un buon risultato fare dieci missioni in un anno» aggiunge Franceschini.
L’equipaggio di ResQ sarà composto da 18 persone, 9 appartenenti al personale marittimo che assicura il funzionamento della nave, e altre 9 che si occuperanno del soccorso pratico alle imbarcazioni alla deriva. Il capo missione sarà Juan Matias Gil, un operatore umanitario spagnolo di 41 anni, coordinatore di Medici senza Frontiere e capo missione di molte operazioni umanitarie internazionali in passato. «Siamo al completo per la prima missione. Abbiamo delle posizioni aperte sul nostro sito per costruire un pool di candidati per le partenze successive» spiega Cecilia Strada, responsabile della comunicazione di ResQ.
Infatti, è grazie a un grande supporto della società civile che le ong suppliscono all’assenza di una missione europea di salvataggio dei profughi nel Mediterraneo.
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