- Mentre nel 2017 in Italia la procura di Locri iscrive Mimmo Lucano nel registro degli indagati per abuso d’ufficio, concussione e truffa aggravata, in giro per i convegni del mondo il “modello Riace” è considerato una pratica di accoglienza da studiare e imitare.
- Il suo “metodo” per integrare i profughi e i richiedenti asilo ospitati nel “Villaggio Globale”, cuore della piccola Riace, è stato già raccontato in un film da un grande regista: “Il volo” di Wim Wenders.
- Vita e morte di un metodo dell’accoglienza dei migranti. La versione di Lucano, che svela le lacune delle regole. Dalla forza mediatica all’ingenuità delle scelte, fino alla decisione di correre con de Magistris.
Mentre nel 2017 in Italia la procura di Locri iscrive Mimmo Lucano nel registro degli indagati per abuso d’ufficio, concussione e truffa aggravata, in giro per i convegni del mondo il “modello Riace” è considerato una pratica di accoglienza da studiare, da raccontare, se non proprio da imitare. Il suo “metodo” per integrare i profughi e i richiedenti asilo che venivano ospitati nel “Villaggio Globale”, cuore della piccola Riace – una cittadina della Locride, meno di tremila abitanti distribuiti fra il paese in collina e quello che cresce sghembo giù, Riace marina, con qualche sbrego di troppo al paesaggio – è stato già raccontato in un film da un grande regista. Nel 2009 infatti Wim Wenders si trasferisce a Riace per girare Il volo. Il cortometraggio fa il giro dei festival: peraltro è l’ultimo film interpretato da Ben Gazzara, doppiato da Giancarlo Giannini, e nel cast c’è anche Luca Zingaretti.
Lucano è stato condannato a oltre 13 anni di carcere. «Sentenza lunare», hanno commentato i suoi difensori Giuliano Pisapia e Andrea Daqua, «che contrasta totalmente con le evidenze processuali» e con «quanto emerso nel corso del dibattimento, durato oltre due anni, che aveva evidenziato una realtà dei fatti ben diversa da quella prospettata dalla pubblica accusa». L’anno dopo il film, nel 2010, Lucano è terzo nella World Mayor, concorso organizzato da City Mayors Foundation sui migliori sindaci del mondo. Nel 2016 la rivista Fortune lo piazza fra i cinquanta uomini più influenti della terra.
Nel 2017, e siamo all’anno dell’inizio delle indagini, Lucano riceve il premio per la Pace Dresda. L’anno dopo, siamo nel 2018, viene arrestato con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Arresti domiciliari, e per di più obbligo di dimora via dalla sua città (che poi sarà revocato). Ministro dell’Interno è il leghista Matteo Salvini, quello di «prima gli italiani», il governo è quello di Giuseppe Conte, quello dei decreti Salvini. I deputati e i senatori Cinque stelle, che in quel periodo hanno uno sterminato consenso in Calabria, la pensano per lo più alla stessa maniera dei colleghi del carroccio.
Dai tempi di Minniti
Ma in realtà, come Lucano racconta nel documentario Non rimarrò in silenzio, visibile sul sito di Domani, e nel libro Il fuorilegge (Feltrinelli), la sfortuna giudiziaria di Lucano risale al governo precedente, guidato da Paolo Gentiloni, a quando al Viminale c’è Marco Minniti, calabrese anche lui, uomo d’ordine del Pd, quello di Sicurezza è libertà, il libro che riassume la sua visione del mondo (oggi Minniti ha lasciato il parlamento ed è a capo della Fondazione Med-Or, di Leonardo, che promuove relazioni fra stati e programmi aerospaziali, di difesa e di sicurezza, ma questa sarebbe un’altra storia).
Sindaco di Riace per tre mandati, dal 2004 al 2018, diventa presto un simbolo. Prima per aver accolto gli immigrati che il ministero degli Interni gli chiedeva di prendere in consegna. Così ricostruisce com’è iniziata, molto prima: «Il prefetto Mario Morcone mi chiama e mi dice che deve mandarmi 500 persone perché il ministro dell’Interno Roberto Maroni non vuole che i rifugiati vadano al nord. Signor prefetto, dico io, ma Riace superiore ha 500 abitanti. Tutti questi pullman, come li prenderà la gente? Ma comunque mi sono dato da fare. Ho fatto un protocollo d’intesa con i comuni di Caulonia e di Stignano, abbiamo ripartito le persone. Lo stato mi chiede numeri altissimi, e li chiede a me perché sa che sono sensibile a quella richiesta. Però poi mi punisce. Il colonnello che mi interroga mi dice «sindaco li poteva tenere o no?».
Poi dunque diventa famoso per aver rifiutato di seguire le linee guida dello stesso ministero perché gli sembrano disumane. «Si è preteso che accogliessi le persone e dopo sei mesi, o un anno, le cacciassi», ha spiegato lo scorso settembre, «e io ho disatteso queste pretese. Anzi non le ho neanche disattese, ho spiegato che se come sindaco mi fossi attenuto a queste regole dopo sei mesi un bambino, per esempio, lo avremmo mandato via dalla scuola.
Ma che senso ha fare progetti così su persone che hanno già perso tutto? Se lo avessi fatto non sarei incorso in un reato penale. Ma la mia coscienza?». Per far lavorare gli accolti a Riace nasce un frantoio, le esperienze dell’agricoltura biologica. Sulla carta «forse non corrispondeva tutto» ammette, ma il sindaco non si è arricchito – vive frugalmente spesso grazie all’aiuto di amici – «ma nell’accoglienza non basta essere abili ragionieri».
Il villaggio mediatico
Le televisioni scoprono il Villaggio Globale, Lucano diventa un personaggio anche mediatico. Insultato dalla destra – quella radicale è arrivata fino alla Locride a fargli manifestazioni contro – è osannato invece della sinistra del civismo, meno dai partiti, tranne quelli della sinistra radicale. La trasmissione Propaganda Live (La7) condotta da Diego Bianchi ne segue il calvario giudiziario e lo consacra come personaggio. Nel 2019 Lucano tenta di nuovo l’elezione, sarebbe la quarta, ma Riace passa alla Lega. Vengono cancellati i murales e tutti i simboli del “modello Riace”. Però il nuovo sindaco dura poco: si scopre che era ineleggibile.
Le formazioni della sinistra lo corteggiano per candidarlo alle europee, e lui invece sceglie di accettare la proposta di Luigi de Magistris, sindaco di Napoli uscente che tenta la sorte alle regionali calabresi. Lucano fa il pugno dalla finestra dei domiciliari e si fa fotografare con la bandiera di Rifondazione comunista.
C’è generosità ma anche tanta ingenuità nelle sue scelte politiche, nella sua postura in direzione ostinata e contraria, negli attacchi alla prefettura da cui è convinto sia nata la sua disgrazia giudiziaria. Ma bisogna stare attenti: il suo accento molto calabrese, il carattere fragile, il sorriso disarmante e lo stile ruspante rischiano di confondere.
Le radici di un modello
Perché l’improvvisazione di Lucano non è improvvisata. Giovane della sinistra extraparlamentare negli anni Settanta, conosce il comunista Peppino Lavorato, protagonista delle lotte nella piana di Gioia Tauro, e a sua volta maestro di Pietro Valerioti, altro combattente contro la mafia degli agrumeti e che viene ucciso nel 1980. Poi nella Locride arriva Monsignor Giancarlo Bregantini. Per Lucano è un’illuminazione. Racconta: «Quando arrivò, trasferito dal suo Trentino, era stato appena scomunicato il mio professore di religione, Natale Bianchi, un attivista dei Cristiani per il socialismo.
Le parrocchie avevano diramato un comunicato dove era scritto: scomunicato per comportamenti sovversivi. Perché nella sua parrocchia aveva scritto: «Cristo non si è fatto i cazzi suoi». Parlava dell’omertà. Quando arriva Bregantini esordisce così: «Non uno ma cento, mille Natale Bianchi». Poi nel 1997 a Badolato c’è il primo grande sbarco dei curdi. Il giovane Lucano accorre ed impara come si organizza la loro accoglienza da Dino Frisullo (pacifista, è morto nel 2003) e dal professore Tonino Perna, pioniere delle Ong in Italia.
Tonino Perna, oggi vicesindaco di Reggio Calabria, è ancora al suo fianco. Come Monsignor Giancarlo Bregantini, oggi arcivescovo metropolita di Campobasso-Boiano, dopo una vita spesa contro la ’ndrangheta. Bregantini è stato chiamato a deporre al processo contro Lucano e ai giudici raccontato la sua versione del modello Riace: «Ricordo con commozione quello che avveniva a Riace. Ho accompagnato Mimmo Lucano e l’ho incoraggiato, gli ho dato consigli e sostegni. Ho visto la positività dell’esperienza e il consenso attorno a lui in paese.
Con grande premura ho mobilitato la comunità diocesana e accompagnato Lucano attraverso diverse fasi». Sempre al suo fianco, fino a ieri in aula, anche padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, pacifista, anche lui sentito dai giudici: «Per me Riace rimane un modello e ringrazio Lucano per aver fatto questa scelta. A vedere come un antico borgo della Calabria stava rinascendo con l’accoglienza, tanti altri borghi potrebbero fare la stessa scelta per rinascere. Senza fondi ha continuato in modo eroico ad aiutare i migranti di Riace, anticipando quello che dovrebbe essere fatto dal governo sui temi dell’accoglienza Per me Riace resta un modello da imitare».
La sentenza di ieri ha fatto ritrovare la strada giustizialista ai leghisti, da Salvini in giù, di recente folgorati sulla via del garantismo. Ma persino il nuovo segretario del Partito democratico, un partito sempre tiepido sulle scelte di Lucano, ora, davanti alla sentenza di condanna abnorme, esprime «solidarietà e vicinanza nei confronti di Lucano, siamo molto esterrefatti per la vicenda e la pesantezza della pena».
© Riproduzione riservata