Il giudice della Corte d’appello chiede la proroga e la presidente la accoglie: «Sono note le condizioni di estrema difficoltà dell'ufficio nel suo insieme, acuitesi per effetto della ulteriore scopertura dell'organico con ulteriore rallentamento delle attività». Il «carico è non più sostenibile». Il ministro Nordio però non assume
Troppo lavoro alla Corte d’Appello di Reggio Calabria e poco organico, così il giudice non è riuscito a scrivere in tempo le motivazioni della sentenza su Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace condannato a un anno e sei mesi per falso lo scorso 11 ottobre. La fotografia dello stato del comparto giudiziario emerge ancora una volta dalla richiesta di proroga fatta pervenire da uno dei consiglieri della Corte d’appello alla presidente Olga Tarzia e che Domani ha potuto leggere. Per sapere come mai i giudici hanno deciso di ridurre drasticamente la pena in uno dei casi più dibattuti d’Italia (in primo grado si trattava di oltre 13 anni) serviranno altri 90 giorni, ma la situazione rimane grave per tutti i processi ancora in corso.
L’appello di Muscolo
Gli ultimi dati resi noti risalgono all’anno scorso. All’apertura dell’anno giudiziario a gennaio 2023 il presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria Bruno Muscolo ha espresso tutto il suo scoramento per la carenza di personale in un territorio «pervaso dalla ‘Ndrangheta»: 7783 i procedimenti penali pendenti, di cui 197 di Direzione distrettuale antimafia, 27 dei quali con un numero maggiore di dieci imputati. A cui si aggiunge il rischio per l’improcedibilità fissata dalla riforma Cartabia, ovvero il termine massimo entro cui i giudizi di impugnazione (Appello e Cassazione) devono concludersi. Nata per evitare il “fine processo mai”, senza personale diventa un rischio per l’efficacia dell’azione giuridica: «Se si considerano le gravi ed allarmanti carenze di organico registrate negli uffici di secondo grado e, in particolare, in questa Corte d’Appello, gli effetti di questo istituto possono essere dirompenti, nel senso che potranno sopravvenire numerose pronunzie di improcedibilità per l’obiettiva impossibilità di celebrare i giudizi nei termini stabiliti».
Il problema è nazionale, ma il ministro della Giustizia Carlo Nordio non sembra intenzionato ad assumere. A novembre 16 presidenti delle Corti d’Appello su 26 hanno sottoscritto una lettera al ministro per le carenze del personale amministrativo e dell’ufficio del processo: «Signor ministro ci vediamo costretti a segnalare la grave scopertura dell’organico del personale giudiziario, che non solo è di grave ostacolo al raggiungimento degli obiettivi Pnrr, ma a breve non consentirà il regolare funzionamento degli uffici giudiziari. Siamo arrivati a una scopertura che arriva al 30% con punte che superano il 50% per alcuni profili che si stanno progressivamente rarefacendo, quali quelli di dirigente amministrativo, di assistente e di cancelliere».
Il ministero, ha raccontato il Fatto Quotidiano alla fine dell’anno scorso, dovrebbe assumere 300 direttori amministrativi, i “capi” dei funzionari degli uffici giudiziari che si rapportano con i vertici delle procure, dei tribunali e delle Corti d’Appello, dichiarati “idonei” dopo un concorso del 2021, ma tutto è fermo nonostante manchino 500 direttori amministrativi su circa 2044 posti indicati dalla pianta organica.
Una situazione critica
Il giudice del caso Lucano, preso dai numerosi «altri procedimenti» anche «a carico di imputati sottoposti a misura cautelare oltre che dagli ordinari e straordinari adempimenti più specificamente propri del ruolo» ha dovuto procedere a chiedere la deroga. Visto che il numero «delle udienze (anche straordinarie) il numero di detenuti in gestione, è in continuo aumento, con conseguente moltiplicazione degli incombenti», e che infine, «ancor più a monte, sono note le condizioni di estrema difficoltà dell'ufficio nel suo insieme, acuitesi per effetto della ulteriore scopertura dell'organico con ulteriore rallentamento delle attività ed alimentazione» del lavoro. Il «carico di lavoro ormai è non più sostenibile».
Tra Pedigree e Handover, tra la cosca Serraino e il clan Pesce, la Corte d’appello reggina ha dovuto affrontare anche il processo contro Mimmo Lucano. Le accuse per l’ex sindaco erano di peculato, frode, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e truffa. È rimasta solo una condanna per falso, e sono andate in prescrizione le accuse di falso per un mancato pagamento Siae, e di abuso d’ufficio per l’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti. Da 13 anni e 2 mesi la pena si è ridotta a un anno e sei mesi. I dettagli arriveranno ad aprile, perché la presidente ha dato ragione allo scrivente: Lucano può aspettare.
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