In un’intervista rilasciata a La Stampa l’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti, ripercorre il suo mandato: dagli accordi con la Libia al codice di condotta delle ong e spiega che non è partito da lui l’ordine di effettuare intercettazioni ai giornalisti
In un’intervista rilasciata a La Stampa Marco Minniti interviene sul caso delle intercettazioni eseguite dalla procura di Trapani a danno di alcuni giornalisti italiani e sul suo mandato al Viminale.
Le intercettazioni
Minniti, ex ministro dell’interno e ora a capo della Med-Or di Leonardo spiega: «Quelle intercettazioni destano giusti e forti interrogativi. E ha fatto bene la ministra Cartabia a ordinare un’ispezione a Trapani». Afferma che l’ordine di intercettare non è partito dal suo ministero: «La polizia giudiziaria, da qualsiasi ministero provenga, dipende solo ed esclusivamente dal magistrato. In Italia esiste la separazione dei poteri e ne sono orgoglioso. Solo chi non conosce il nostro paese può pensare che da noi possa esistere un magistrato che si fa dare ordini da un ministro».
Riguardo alla nota del 12 dicembre 2016 scritta dall’ufficio immigrazione del dipartimento di pubblica sicurezza che suggerisce le linee di azione dell’indagine di Trapani dice: «Nelle stesse ore in cui veniva diramata la nota io ero al Quirinale: stavo giurando come nuovo ministro dell’Interno. Non avrei mai potuto essere così rapido e aggiunge che «gli uffici hanno comunque una loro autonomia e non dipendono dai ministri».
Le ong e i migranti
Racconta di non aver mai incontrato Bija, il rappresentante della Guardia costiera libica accusato di avere stretti legami con i trafficanti. «Io ho trattato sempre con rappresentanti istituzionali. Il memorandum tra Italia e Libia era stato firmato dai due capi di governo Paolo Gentiloni e Sarraj. Sottolineo che quel memorandum è in vigore e agisce anche oggi» dice.
Nega le accuse secondo il quale le sue scelte politiche abbiano “criminalizzato” la percezione delle ong e spiega che durante il suo mandato al Viminale non è stato chiuso nessun porto a differenza di come accaduto con Salvini. Riguardo ai codici di condotta siglato con le ong che salvano vite in mare dice: «Se le ong assumono un ruolo rilevante nella gestione delle emergenze umanitarie è normale che si coordino con il Paese. Se un magistrato ritiene utile un’ispezione con la polizia giudiziaria, è giusto che possa farlo».
L’ex ministro dell’Interno schiva la domanda riguardo se siano accettabili o meno i respingimenti verso la Libia, dove i migranti vengono rinchiusi in dei veri e propri centri detentivo alla mercé della violenza dei trafficanti e delle forze di sicurezza: «Quando ero ministro siamo riusciti per la prima volta a portare in Libia l’Onu e a consentire che ispezionasse i campi. Nello stesso tempo abbiamo avviato con Onu e Conferenza episcopale italiana i corridoi umanitari proprio per svuotare quei campi. Un lavoro progressivo, passo dopo passo. Che sarebbe proseguito se nel 2018 non avessimo perso le elezioni e il governo successivo non avesse cambiato politica».
La ricostruzione libica
Spiega che il governo Conte ha perso peso politico in Libia e «ha cercato di utilizzare l’immigrazione contro l’Europa. Una conseguenza dell’ideologia del sovranismo nazionalista». Oggi l’Italia e l’Europa devono svolgere un ruolo importante nella ricostruzione della Libia, aiutando il nuovo governo. Nello specifico, secondo Minniti l’Europa: «Dovrebbe finanziare la ricostruzione della Libia e creare nuovi corridoi umanitari in grado di svuotare i campi profughi. Garantendo gli afflussi concordati con gli Stati e punendo quelli illegali». Ancora una volta, la prerogativa è la redistribuzione dei migranti, una mossa politica che Minniti chiama «riformismo».
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