Il senatore Pd: «Andava impostata con anticipo un'azione seria di contrasto all'evasione fiscale. Invece il governo è andato in direzione opposta. E fa sorridere che lunedì Meloni, come una maestrina, abbia invitato i ministri a riorganizzare i capitoli di spesa: non è un lavoro che si fa a ridosso della legge di bilancio»
Antonio Misiani, che tipo di manovra prepara il governo?
Una manovra rinunciataria e inadeguata, che arriva dopo mesi di sottovalutazione del rallentamento dell'economia e delle conseguenze dell'inflazione e dell'aumento dei tassi di interesse. Per troppo tempo ci hanno raccontato che le cose andavano bene, finché il ministro Giorgetti, tardi, ha dato la sveglia a tutti, riportando Meloni e i ministri di fronte alla realtà. Una serie di scelte andavano impostate prima, altre andavano evitate.
Quali?
Andava impostata con anticipo un'azione seria di contrasto all'evasione fiscale. Invece il governo è andato in direzione opposta, al punto che ha dovuto eliminare dal Pnrr l'obiettivo di riduzione del tax gap. E fa sorridere che lunedì Meloni, come una maestrina, abbia invitato i ministri a riorganizzare i capitoli di spesa: non è un lavoro che si fa a ridosso della legge di bilancio. Il risultato è che oggi vanno a caccia di coperture per due terzi della manovra che ipotizzano. Una situazione che può portare a scelte improvvisate e dannose. Sento aleggiare l'idea di deindicizzare le pensioni: indebolirne ulteriormente il potere d’acquisto, facendo cassa sui pensionati, sarebbe iniquo dal punto di vista sociale ma anche controproducente sotto il profilo economico, perché deprimerebbe ancor di più i consumi.
La congiuntura difficile non è colpa della destra.
Ma alcune scelte del governo hanno aggravato la situazione: penso ai ritardi nell'attuazione del Pnrr, che sono la chiave per rilanciare lo sviluppo, all'indebolimento del programma Transizione 4.0 per gli investimenti delle imprese. E al brusco stop alla cessione dei crediti fiscali legati agli ecobonus.
Per il governo il superbonus ha scassato i conti.
Sono in difficoltà, cercano capri espiatori: ieri la BCE, oggi il superbonus, domani sarà il destino cinico e baro.
Chiedete soldi per la sanità. Voi da dove li prendereste?
Il ministro Schillaci ha chiesto 4 miliardi in più per il 2024. È il minimo sindacale. Ma l'appello è caduto nel gelo più totale da parte della maggioranza. Un segnale preoccupante perché la sanità pubblica è al limite della tenuta. In Lombardia siamo al pronto soccorso a pagamento per saltare la fila. Il sistema in molti casi non garantisce più le prestazioni essenziali in tempi ragionevoli: mancano medici, infermieri. Un degrado inaccettabile. Non è questa la lezione che dovevamo imparare dal Covid.
Torna la famigerata austerità?
Non usano questo termine, per pudore, ma di fatto andiamo in quella direzione.
Insisto: questi soldi voi da dove li prendereste?
Dalla lotta all’evasione fiscale potrebbero venire molte risorse. Ridurla non è una mission impossible. I governi di centrosinistra hanno recuperato miliardi, con interventi come la fatturazione elettronica. Questo governo ha fatto l'opposto, a colpi di condoni, e di una riforma fiscale che indebolisce il contrasto all'evasione. Poi l’efficientamento della macchina pubblica: su 850 miliardi di spesa primaria corrente, ci sono parecchi spazi di razionalizzazione. Ma se non si fa un lavoro attento e programmato per tempo, il rischio è che alla fine si vada con l'accetta sulla sanità e le pensioni.
Voi proponete il salario minimo. Ma chi lo paga?
Il salario minimo non costa un euro allo Stato. Sono i datori che devono retribuire dignitosamente i lavoratori sottopagati. La nostra proposta ricalca la strada seguita da 22 paesi su 27 della Ue, abbiamo superato le 400mila firme in pochissimo tempo. Il governo dovrebbe scegliere il pragmatismo, superando i pregiudizi ideologici.
Cosa chiede il Pd?
Di concentrare le risorse su pochi obiettivi fondamentali. il primo è la difesa del potere d’acquisto dei redditi: introdurre il salario minimo, stabilizzare il taglio del cuneo fiscale, favorire il rinnovo dei contratti di lavoro a partire da quello del pubblico impiego. E un’intesa per rallentare gli aumenti dei prezzi dei generi di prima necessità. Il governo francese lo ha fatto a marzo, qui siamo ancora a carissimo amico, per non parlare della vicenda tragicomica sui carburanti. Il secondo sono le risorse da assicurare ai servizi essenziali, a partire da sanità e scuola. Il terzo, la crescita. I soldi ci sono, sono i 200 miliardi del Pnrr. Purtroppo il governo per non fare litigare i ministri ha tolto i soldi ai comuni per opere che stavano andando a gara, in alcuni casi addirittura cantierate. Una scelta sbagliata anche per l’economia. Sono tante piccole opere che potevano andare in esecuzione rapidamente a beneficio dei territori. Ora si fermerà tutto, anche perché il governo non ha dato alcuna certezza sui finanziamenti sostitutivi.
In questa penuria di risorse, il Pd chiede il raggiungimento del 2 per cento del Pil per la spesa delle armi?
È un obiettivo che l'Italia ha condiviso a livello internazionale. La tempistica però non può non tenere conto della congiuntura economica e sociale. Il senso di quello che ha detto il cancelliere Scholz è questo, ed è una riflessione condivisibile.
Cosa non va nella vendita Tim?
L'operazione che il governo ha avallato è un unicum in Europa: separazione della rete dai servizi e privatizzazione. Meloni ha enfatizzato il ruolo dello Stato ma la realtà è che con il governo sedicente sovranista il fondo americano Kkr diventerà proprietario al 65 per cento di un asset strategico del nostro paese. È necessario capire quali garanzie siano realmente previste per le scelte strategiche, l’occupazione, gli investimenti, e la tutela dei dati.
Per fare cassa il vicepremier Tajani vuole privatizzare i porti.
Ma per carità: la gestione dei servizi portuali è già affidata ai privati. Un forte regolatore pubblico è indispensabile: non lasceremo trasformare l'Italia nella Grecia che ha venduto il Pireo ai cinesi.
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