Il responsabile economia dem: «Il ministro si dimetta. Sul Mes ha perso la faccia davanti alla Ue. Restiamo unitari, gli elettori lo chiedono, con i Cinque stelle abbiamo governato insieme e bene»
Al Senato è appena stata votata la fiducia alla manovra, ma il dibattito in aula, o per meglio dire gli scontri non solo tra maggioranza e opposizione, sono stati soprattutto sulla clamorosa bocciatura della ratifica del Meccanismo europeo di stabilità, il fondo salva stati, votata giovedì sera alla Camera.
Senatore Antonio Misiani (responsabile economia Pd, ndr), con il no al Mes davvero, come dicono le opposizioni, l’Italia rompe con l’Unione?
Quel no è un rigurgito di antieuropeismo che fa molto male alla credibilità e alla forza negoziale del nostro paese.
Quali sono le conseguenze?
Dal punto di vista tecnico non entrerà in vigore la riforma del Mes, privando l’Europa di uno strumento potenzialmente molto utile per difendere i risparmiatori nelle crisi bancarie. Almeno per il momento. Dal punto di vista politico è un atto di autoisolamento che il governo di destra e soprattutto il nostro paese pagheranno caro.
In che modo?
I danni prodotti dall’euroscetticismo della destra li abbiamo già visti nel negoziato sul Patto di stabilità. L’esecutivo italiano per mesi ha oscillato fra vecchi fantasmi ideologici e la necessità di fare i conti con il governo del paese e questo ha indebolito la posizione dell’Italia. Che si è messa da sola in un vicolo cieco, per poi finire al traino di Germania e Francia e ingoiare un accordo peggiore della proposta iniziale della commissione europea.
L’Italia avvisa che è pronta a fare saltare il sistema dell’Unione, o è un’esagerazione?
Io da italiano spero che non sia questa la linea del governo, e mi auguro che i prossimi mesi non portino ulteriori colpi di testa. Certo, di fatto la campagna elettorale per le europee è già iniziata, con tutto il suo carico di condizionamento negativo sulle scelte del governo. E questo non può che preoccuparci.
Fin qui in molti sostenevano che Ursula von der Leyen parlava la stessa lingua di Giorgia Meloni.
Meloni parla due lingue diverse. Quando è a Bruxelles si atteggia a statista, quando torna in Italia invece avalla scelte irresponsabili e autolesionistiche come il voto contrario alla ratifica del Mes. Ma è un giochino che non potrà durare a lungo.
È finita la favola di una Meloni moderata in avvicinamento ai popolari europei?
Noi non ci avevamo mai creduto, speriamo che si ricredano anche gli opinionisti – tanto implacabili col Pd quanto indulgenti con la Meloni – che, in buona fede o più spesso per opportunismo, hanno accreditato questa narrazione farlocca.
La Lega sconfessa il suo ministro?
Salvini è in campagna elettorale, sta difendendo uno spazio politico di destra estrema ed euroscettica. Meloni ha scelto di inseguirlo in nome di una versione riveduta e corretta del vecchio detto, rovesciato: pas d’ennemi à droite.
Chiedete le dimissioni di Giorgetti, e lui ha detto che non ha bisogno dei consigli della sinistra. Ma ha confermato il suo sì al Mes. È un ministro in dissenso, dunque.
Ho rispetto per Giorgetti. Ma la sua situazione è insostenibile: da ministro, è a favore del Mes. Ma è vicesegretario di un partito, la Lega, che il Mes lo ha bocciato. Giovedì Salvini gli ha tagliato la faccia. In Europa prima che in Italia. Al suo posto, rassegnerei le dimissioni.
Ora Giorgetti con che credibilità e mandato potrà tornare a trattare sui tavoli europei?
È una questione che gli stiamo ponendo tutti. Ma credo che se la pongano soprattutto a Bruxelles.
Anche nelle opposizioni vi siete divisi. Come fa Conte a votare no al Mes dopo aver sfidato Meloni davanti al gran giurì per aver sostenuto che il Mes lui lo aveva ratificato senza mandato e «con il favore delle tenebre»?
È una domanda che va rivolta innanzitutto a lui. Anche perché quanto è accaduto in parlamento, con l’ormai famoso fax sventolato da Giorgia Meloni in aula, ha permesso di ricostruire la verità dei fatti. E i fatti sono che il 9 dicembre 2020 il M5s votò per autorizzare il governo a firmare il trattato Mes, cosa che poi avvenne appunto con il fax inviato da Di Maio il 20 gennaio 2021. Conte dovrebbe essere coerente con queste scelte. E invece ha rincorso Fratelli d’Italia e la Lega su una posizione populista. Che non regge.
La domanda è per il Pd, l’ha posta Renzi al Senato: potevate mandare sotto il governo, quindi farlo cadere, ma il M5s lo ha salvato?
In realtà i numeri per affossare il Mes Fratelli d’Italia e la Lega li avevano anche senza il M5s. Rimane il dato politico: su un passaggio di grande difficoltà per la maggioranza Conte e i suoi hanno votato con i deputati di Salvini e Meloni.
E il Pd come può immaginare un’alleanza con chi dice l’opposto sul Mes e sull’Ucraina?
Noi continueremo con ostinazione a cercare di unire tutte le forze di opposizione attorno a obiettivi condivisi. Certo, alcuni temi di politica estera sono un elemento di divisione con M5s: dobbiamo lavorarci insieme. Su tante altre priorità, però, come il salario minimo, la sanità, il Pnrr, le posizioni sono comuni. E quando ci siamo mossi insieme, in parlamento e nel paese, abbiamo messo la destra in difficoltà.
Perché siete così sicuri che non rispondere agli attacchi di Conte paghi?
Perché è una scelta di responsabilità verso la parte del paese che non si riconosce nella destra e chiede un’opposizione unita. Numeri alla mano, gli elettori che non hanno votato a destra sono la maggioranza. Elly Schlein ha ragione: saranno premiate le forze che lavorano per l’unità, non quelle che ogni giorno cercano di distinguersi.
Ma se al governo ci fosse stato il centrosinistra, sarebbe saltato il governo. Che garanzia potete dare date a chi vi vota?
Con Conte abbiamo già governato insieme, aiutando l’Italia a superare una delle fasi più drammatiche della storia del dopoguerra. Una coalizione con M5s e le altre forze di opposizione non è solo possibile: è necessaria.
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