- Riportiamo un estratto delle motivazioni della sentenza di condanna a 13 anni e due mesi per l’ex sindaco di Riace Domenico Lucano: viene raccontato anche il progetto di accoglienza dei migranti a Riace.
- «Un esperimento sociale dotato di una sua concretezza e funzionalità, che lui aveva realizzato con una sorta di creatività operativa di stampo anarcoide».
- Per giudici nel gestire l’accoglienza Lucano ha tenuto verso i suoi collaboratori un «comportamento omissivo, che era stato tenuto per bieco calcolo politico, dal momento che ciascuno di loro era portatore di un cospicuo pacchetto di voti».
Riportiamo un estratto delle motivazioni della sentenza di condanna a 13 anni e due mesi per il sindaco di Riace Domenico Lucano.
LA FIGURA DI DOMENICO LUCANO ATTRAVERSO LE SUE
SPONTANEE DICHIARAZIONI
Il principale imputato di questo processo, Lucano Domenico, si è sottratto, così come tutti gli altri suoi coimputati, all'esame dibattimentale, cosi impedendo al Collegio di poter ottenere dalla sua viva voce i numerosi chiarimenti che sarebbe stato opportuno ricevere su numerosissime questioni di cui si dirà ampiamente più oltre.
In conseguenza del suo rifiuto di rendere esame, è stato, quindi, acquisito- ex art. 513 c.p.p.- il verbale dallo stesso reso in data 04.10.18, in sede di interrogatorio di garanzia, avente ad oggetto le dichiarazioni dal medesimo rilasciate limitatamente agli attuali capi 17) e 21) della rubrica (per cui era stata originariamente applicata la misura cautelare) e in relazione ai quali si è limitato a contestare ogni addebito, protestando la sua innocenza.
Lo stesso ha tuttavia reso spontanee dichiarazioni in giudizio - come, del resto, era suo diritto- e lo ha fatto la prima volta il 10.07.2019 e la seconda il 12.11.2019.
Si tratta di due dichiarazioni sostanzialmente sovrapponibili, in cui ha ripetuto per ben due volte i medesimi temi legati alla sua storia personale e politica, le quali vengono trattate in questa prima parte della motivazione perché lo stesso non ha chiarito alcunché di ciò che gli viene imputato in questo processo, avendo articolato una mera narrazione di superficie, tutta puntata sulla presunta persecuzione politica che avrebbe ricevuto sia dalla sinistra che dalla destra di governo che, dopo essersi per anni serviti di lui per la questione dell'allocazione dei migranti, specie in momenti di forte emergenza - tanto da essere stato appellato come “Santo LUCANO” dalla dirigente della Prefettura di Reggio Calabria, dottoressa SURACE- era stato poi da loro abbandonato al suo destino, subendo le accuse ingiuste per cui oggi si procede, tramite le quali - a suo dire- si era chiaramente inteso azzerare i sistemi SPRAR e CAS, in linea con una nuova politica fondata sulla divisione sociale e sull'odio, che stava man mano soppiantando quella dal volto umano e dell'inclusione, che lui aveva sempre attuato nel lungo percorso della sua vita politica.
La storia
Nello specifico, lo stesso ha spiegato di essere stato coinvolto dalla questione che riguardava i migranti per un puro caso della vita, e ciò in quanto nel lontanto 1998, quando non era ancora Sindaco, nel mentre era intento a recarsi a svolgere il suo lavoro di assistente di laboratorio di chimica, era rimasto incuriosito da uno sbarco di stranieri (di etnia curda, turca e siriana) che, a bordo di un veliero, erano casualmente approdati sulle spiagge di Riace ove il vento li aveva trasportati.
Era rimasto sconvolto e attratto da quella variegata umanità fatta di dolore, miseria e sofferenza e così nel pomeriggio di quella stessa giornata si era recato presso la Casa del Pellegrino, che era una struttura della Curia Vescovile, dove quelle 250 persone circa erano state ospitate e aveva così deciso di collaborare con la Croce Rossa e con Monsignor Giancarlo Bregantini ( che all'epoca era Vescovo di Locri) e che era stato uno dei più ferventi sostenitori di quelle politiche di inclusione, che poi lui stesso aveva metabolizzato e fatte proprie, trasformandole in un tratto qualificante della sua missione politica e del suo percorso umano.
Quello sbarco occasionale di migranti riaccese in lui la vecchia passione per la liberazione del popolo curdo, riconnettendolo alle radici profonde della sua stessa vita (legate al ricordo della madre, che in passato si era prodigata ad accogliere in paese un gruppo di rom, di cui era col tempo diventata arnica) e alle sue letture giovanili di Pier Paolo Pasolini (che parlava della necessità di ripartire dalle periferie, come " non luoghi" a cui legare la rinascita dei posti e delle coscienze), così proiettandolo idealmente verso una battaglia politica sempre più fondata sull'inclusione e sulla fratellanza, che si alimentava della costruzioni di ponti, con mescolanza di varie culture, piuttosto che su sterili divisioni, facendogli intuire la ricca potenzialità di tutta quella diversità di gente e di popoli, perché quello era l'unico modo per ripopolare i borghi ormai quasi desertificati- quale era ormai diventato anche quello di Riace - ed era anche una straordinaria occasione per dare una nuova opportunità alle persone del posto, di modo che quella che era una terra da cui di norma si partiva, potesse finalmente diventare un luogo in cui ritornare.
Si era così prodigato fin dal 1999 ( quando era ancora un consigliere di minoranza) per far in modo che il sindaco dell'epoca potesse accedere al bando pubblico indetto dal Pna ( Programma Nazionale di Asilo), così contribuendo ad attuare quella politica di accoglienza ed integrazione, che sarà successivamente realizzata dallo Sprar (in cui quel primo organismo ebbe a trasformarsi) e che egli ebbe a propugnare con convinzione anche nelle successive tornate elettorali del 2004, del 2009 e del 2014, quando per ben tre volte ricoprì il ruolo di primo cittadino di Riace.
Quel suo impegno cosi intenso in quel settore diede una nuova prospettiva al mondo intero, poiché da quel piccolo centro del versante jonico si iniziò a dare una lezione universale, che generava curiosità a livello internazionale, tanto che pian piano inziò a svilupparsi il cosiddetto turismo dell'accoglienza, dove tra fattorie didattiche, botteghe artigiane e mescolanza di lingue e di gente, quel piccolo borgo che stava per spegnersi iniziò a ripopolarsi lentamente, dando una nuova prospettiva economica agli abitanti del posto, che si integravano perfettamente con chi veniva da tanto lontano.
Un esperimento sociale
Era cosi nato un esperimento sociale dotato di una sua concretezza e funzionalità, che lui aveva realizzato con una sorta di creatività operativa di stampo anarcoide: ed, infatti, in pieno dissenso con le linee guida dello Sprar - che prevedevano brevi tempi di permanenza dei beneficiari nei progetti- lui aveva mantenuto quelle persone all'interno del sistema, perché guardava ai singoli come uomini e non come numeri, non dimenticando la dose di sofferenza e di dolore che si erano lasciati alle spalle, abbandonando la loro terra, la loro casa e a volte anche i loro affetti. Riteneva, quindi, che non si potesse limitare la loro permanenza nei rigidi tempi previsti dalla burocrazia e che se anche ciò comportava la contestazione di un reato, egli non ne coglieva il senso, perché per lui l'integrazione non significava solo accoglienza, ma anche attivazione di un percorso di inclusione nel tessuto sociale, che abbisognava di un maggiore tempo di decantazione, anche perché spesso si aveva a che fare con bimbi molto piccoli in età scolare o con persone che avevano bisogno di sostegno psicologico per le gravi e pesanti violenze subite.
Stesso discorso creativo ed "elastico" era stato poi da lui attuato quando era divenuto sindaco, con riferimento ad altri addebiti che gli venivano mossi.
Non capiva, infatti, come potesse essere stato accusato di abuso di ufficio (per la questione dei lungo permanenti), nonchè dei delitti di truffa e, persino, di associazione a delinquere, per il fatto di aver destinato fondi Sprar - seppure in modo non autorizzato- all’acquisto di beni strumentali alla realizzÈazione di un frantoio o per rendere possibile il turismo dell'accoglienza. In fondo lui non si era intascato personalmente quelle somme, ma le aveva destinate ad «attività che erano utili per il territorio e per i rifugiati», il tutto compiuto in modo «per nulla consapevole», in quanto «trascinato da quell'emotività».
Se, quindi, quello che lui pensava fosse un'eccellenza veniva scambiata per reato, allora era senz'altro un qualcosa di disumano, per cui non provava alcun pentimento («io mi battevo ed ero molto elastico come sindaco per quelle che erano le mie responsabilità rispetto alla dilatazione della permanenza. … Èuna cosa crudele questa! Io mi rifiuto ... È una cosa disumana questa! Allora sono felice di aver fatto quello, se me lo contestano quel reato»).
Questo suo percorso politico, da tutti celebrato come virtuoso e conosciuto in tutto il mondo, era stato in ultimo interrotto in modo brutale a seguito delle varie visite dei funzionari dello Sprar e del Cas, che ebbero luogo a far data dal 20 e 21 luglio 2016, e dalle quali ebbe inizio la sua parabola discendente, fatta di attacchi personali e di indebite negazioni, dal sapore squisitamente politico e persecutorio, come quella attuata dall'allora prefetto Michele Di Bari, che gli aveva opposto un secco rifiuto per impedirgli di conoscere l'unica relazione positiva che era stata redatta a suo favore da alcuni funzionari prefettizi, ma la cui lettura era stata per lui paragonabile a
quella di "una favola", perché in essa veniva descritto un mondo ordinato e coeso, fatto di integrazione e di valori umani ed universali, che era in totale contrasto con tutte le gravi criticità riscontrate dagli altri funzionari che li avevano preceduti.
La posizone dei giudici
Le spontanee dichiarazioni di cui si è appena detto sono state succintamente richiamate in questa sede perché costituiscono l'unica versione di cui si dispone e che Lucano Domenico ha inteso fornire in merito agli addebiti che gli sono stati mossi.
Attraverso esse è senz'altro emersa una pura passione che lui ha nutrito per anni per quel mondo nuovo che ha saputo creare, ispirandosi agli ideali utopici della Città del Sole di Tommaso Campanella, che egli ha inteso reinterpretare con un misto di genialità e di intuito politico «illuminato», di cui occorre dargli merito, e che giustamente hanno ricevuto così tanta eco e apprezzamenti internazionali.
Va tuttavia rilevato che il processo di cui ci si occupa ha un diverso orizzonte rispetto a quello di cui si è prima detto, perché esso si fonda su tutt'altro e, precisamente su numerose vicende appropriative di denaro pubblico che lui in parte ha solo vagamente sfiorato nel suo eloquio fluido e appassionato, il che peraltro è avvenuto solo quando è stato invitato dal presidente del Collegio a dare maggiore concretezza alle sue dichiarazioni, dal momento che le accuse su cui doveva confrontarsi erano ben diverse dal percorso umano e politico che lo aveva caratterizzato.
Cionondimeno, Lucano ha preferito glissare su ogni cosa, proiettando ogni sua azione all'interno di un movente di natura ideale, che avrebbe animato la sua condotta, e che - a suo dire avrebbe avuto lo scopo di aiutare i rifugiati e la gente del territorio.
Non ha però spiegato nulla della falsificazione dei rendiconti di cui egli stesso, assieme ad altri, si è reso indiscusso protagonista (per come si trae con chiarezza dalle intercettazioni ambientali captate presso la sede di Città futura), grazie alle quali ha distratto denaro pubblico, in misura assai rilevante, per acquistare per fini di privato interesse, anche a lui riferibili, tre case destinate al turismo dell'accoglienza ed un frantoio, per rimodernare altri immobili con ricche finiture, sempre da destinare ai predetti fini turistici, distraendo, infine, rilevanti importi per sovvenzionare costosissimi concerti estivi (che servivano ad esaltare la sua immagine di politico).
Né ha fornito alcuna plausibile giustificazione in merito alle elevate somme, della portata di migliaia di euro, di cui - per suo tramite- disponeva la sua compagna Tesfahun Lemlem, che faceva numerosi viaggi all'estero ogni anno ( ad alcuni dei quali egli stesso aveva partecipato) e che viveva in una casa riccamente arredata con i fondi dello Sprar, che lui le aveva consentito di avere, in piena dissonanza con le suppellettili modeste e usurate che venivano invece destinate ai migranti, nonostante fossero presenti in atti numerose fatture (non veritiere, per come si dimostrerà) che documentavano acquisiti di mobilio effettuati per loro, ma di cui essi, purtroppo, non ebbero mai a beneficiare.
Né, inoltre, ha detto alcuna parola sulle ragioni di fondo per le quali Zurzolo Rosario (legato alla gestione del progetto Eurocoop di Camini e alle stesse logiche perverse dell'accoglienza da lui poste in essere in Riace), ha versato mensilmente a sua figlia, per svariati mesi, i soldi dell'affitto di una casa in Roma, risultando essere suo debitore per motivazioni che sono apparse più che opache (per come si trae dalle intercettazioni in atti).
Ed ha poi ancora pervicacemente taciuto sulle motivazioni per le quali l'Associazione Città Futura- che egli aveva contribuito a costituire e di cui era dominus indiscusso, seppure nell'ombra-, riceveva ogni mese un cospicuo bonifico dalle isole Cayman (noto paradiso fiscale), rimasto privo di ogni giustificazione; così come nessuna spiegazione convincente ha inteso fornire circa le ragioni per le quali aveva tollerato che i suoi più stretti collaboratori avessero posto in essere numerosi reati - di cui egli era a piena conoscenza la cui commissione aveva ugualmente supportato di buon grado, con il suo comportamento omissivo, che era stato tenuto per bieco calcolo politico, dal momento che ciascuno di loro era portatore di un cospicuo pacchetto di voti, a cui lui non aveva inteso rinunciare, per come sarà dimostrato a tempo debito dalla lettura delle sue stesse parole, che si traggono dalle numerose conversazioni presenti in atti.
Il calcolo politico
Si tratta solo di alcune delle domande più impellenti che sono suggerite dalle carte di questo processo e che questo Collegio avrebbe voluto formulare nei confronti suoi e degli altri protagonisti di queste vicende, ma che sono rimaste senza alcuna risposta, dovendosi prendere atto del suo e degli altri legittimi, quanto ostinati silenzi, che potranno essere riempiti solo dall'eco delle loro stesse parole che si traggono dalle varie intercettazioni di cui si dispone e dai numerosi documenti di cui si darà conto di qui a breve, che hanno purtroppo tratteggiato un mondo privo di idealità, soggiogato da calcoli politici, dalla sete di potere e da una diffusa avidità.
Tutto ciò per evidenziare, ancora una volta, il doppio piano obliquo della narrazione che dovrà essere fatta fino alla fine di questo processo, dove ripetutamente, da parte di alcune Difese, si tenterà di dare una doratura ideale e di superficie a condotte che hanno invece un grave spessore illecito, e dove si cercherà anche di aggiungere la fosca coloritura di una persecuzione politica che starebbe dietro ad ogni cosa, quando invece risulterà evidente che questo tipo di argomentazione verrà a più riprese utilizzato come comodo alibi per intorbidire le acque, nel vano tentativo di nascondere una realtà ben più misera e desolata, che invece si staglia nettamente sullo sfondo, senza alcuna possibilità di una sua lettura alternativa, che nessuno ha inteso fornire e che, a onor del vero, neppure si intravede.
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