Dario Nardella (eurodeputato Pd, ndr), al ministro Fitto è stata assegnata una delega importante, le riforme, la coesione e il Pnrr. La destra italiana esulta.

Non c’è molto da esultare. La coesione è una delega importante, ma la verità è che Fitto è entrato papa in Commissione ed è uscito cardinale. Ma non per colpa sua, per responsabilità della premier.

Cioè?

Il comportamento di Meloni nei confronti dell’Unione ha pesato. Alla fine non c’è il portafoglio dell’economia che inizialmente era destinato a Fitto. Che non è un primo vicepresidente, ce ne sono sei tutti allo stesso livello.

L’Italia è uno dei paesi più in ritardo nella spesa dei fondi. Nonostante questo, il governo Meloni è stato “premiato”?

Infatti è una doppia sfida per l’Italia. Non solo Fitto dovrà fare gli interessi di tutta l’Europa e dell’Italia, ma il governo Meloni dovrà dimostrare di essere all’altezza spendendo tutti i soldi bene e nei tempi. Anche perché i paesi del Nord Europa hanno sempre criticato i fondi di coesione, portando a esempio negativo l’Italia.

La Commissione si butta a destra?

Noi socialisti e democratici, e anche noi del Pd, siamo preoccupati di una Commissione molto spostata a destra, con 14 popolari, il commissario Fitto di Ecr e solo quattro socialdemocratici. In più è una Commissione frammentata. L’ambiente è spezzettato in quattro portafogli. Il nostro gruppo sarà durissimo nel fare un esame a tutti i commissari Ppe e Ecr, quindi anche a Fitto.

La Commissione vira a destra: non è un problema ai socialisti?

Si, al di là del tema Fitto, il tema più grande è l’impostazione politica che von der Leyen ha dato a questa Commissione. Rischia di non avere visione, spostata a destra, accentrata nelle mani della presidente. Noi dobbiamo rappresentare un vero contrappeso.

Un vostro no è possibile?

Dipenderà da quello che diranno i commissari. Quanto a Fitto, più sarà in grado di dimostrare di essere indipendente dal governo Meloni, come richiedono i trattati, e di essere un vero europeista, più avrà la nostra attenzione.

Gli chiedete l’abiura delle politiche del governo Meloni?

Certo. Dovrà nettamente prenderne le distanze.

Vi sembra possibile che lo faccia?

Sta a lui. Il Fitto europeo deve essere l’opposto del Fitto italiano.

Un eventuale no dei Verdi non sarà imbarazzante per i socialisti?

Capisco la loro contrarietà. Ma temo che un loro no isolato li marginalizzi. Ed è un favore alla destra.

Von der Leyen tenta la politica dei due forni?

Von der Leyen sembra il Giolitti europeo. Ma la politica dei due forni è pericolosa: in parlamento senza Ecr la maggioranza assoluta c’è. Ma senza i socialisti no.

Forse dà per scontato il vostro sì.

Ma non siamo disposti a tutto. Ci sono temi non negoziabili.

Il Pd voterà la Commissione del rilancio del ruolo di Meloni in Europa?

Nessun rilancio, la nomina di Fitto è un fuoco di paglia. Per avere il consenso del parlamento dovrà dimostrare di essere il più europeista di tutti, quindi il più antisovranista di tutti. Se Meloni pensa di continuare a trattare Fitto da suo ministro, alzare il telefono e imporgli la linea, fa un grave errore. Per questo considerare la nomina un successo del suo governo è solo propaganda.

Il Pd è compatto?

Siamo tutti d’accordo sulla necessità di conciliare l’interesse dell’Italia con le posizioni della sinistra europea.

Mario Draghi ha fatto la sua relazione al parlamento. Sarà il programma della Commissione?

Lo spero, per molti aspetti. Draghi ha lanciato una sfida chiara in tre punti: competitività, decarbonizzazione e difesa europea. Ma per realizzarli non c’è altra strada che il debito comune europeo. E ieri in parlamento i posti di FdI vuoti sono un segnale eloquente. Credo che von der Leyen debba farci i conti da subito.

M5s non vota la Commissione e non apprezza Draghi. Un altro guaio per il centrosinistra italiano?

Non legherei il voto europeo all’alleanza italiana. Anche se ci sono sfide europee che sono anche italiane, come quelle della politica estera. Sull’Ucraina, noi del Pd abbiamo già fatto un passo verso una mediazione nel parlamento europeo sulla questione dell’uso delle armi fuori dai confini. Ora anche i Cinque stelle debbono fare un passo.

Intanto in Italia Salvini scatena la battaglia contro i giudici.

Salvini dimentica che, come tutti i cittadini, ha il dovere di rispettare la legge e il diritto internazionale. Ma è il vecchio metodo del vittimismo. Lo assumono i governi in difficoltà. Lo hanno già agitato in molti, da Meloni a Sangiuliano, ora è il turno di Salvini contro i magistrati “di sinistra”. Ma è un’arma di distrazione dai veri problemi che non riescono a risolvere: la manovra, la perdita di potere d’acquisto delle famiglie, la crisi demografica, il disastro della sanità.

Dalla premier in giù, tutti contro i magistrati. Un’intimidazione?

Ci provano, non è la prima volta. È molto grave: i magistrati applicano la legge. Punto. In più la solidarietà del governo a Salvini, e anche dall’interno della Lega, sembra più formale che sostanziale.

La campagna delle regionali sarà uno scontro sull’immigrazione?

La destra usa il caso Salvini per trascinarci su questo terreno. Il Pd sull’immigrazione deve mantenere un approccio pragmatico, da forza di governo.

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