«Si ordina a tutti i soggetti regolari sul territorio, indipendentemente dal contratto di lavoro, di procurarsi un alloggio idoneo, essendo vietata ogni fattispecie di occupazione di immobili e terreni, e non essendo consentito il bivacco con o senza utilizzo di tende e altri alloggi di fortuna».

Con queste parole scritte di proprio pugno e messe nero su bianco il 31 maggio scorso, Giuseppe Castiglione, sindaco di Campobello di Mazara, comune di diecimila anime in provincia di Trapani dove ha trovato “accoglienza” prima dell’arresto il boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, ha ordinato lo sgombero dei migranti, in parte lavoratori nelle imprese agricole locali, che erano ospitati da qualche giorno all’interno dell’ex oleificio «Fontane d’oro» di Mazara, proprio in seguito all’interessamento dello stesso sindaco e della prefettura di Trapani. Uno sgombero che è arrivato il 12 giugno, puntuale di prima mattina, quando sono cominciate le operazioni di smontaggio di otto delle 20 unità abitative che erano state donate dall’Unhcr al Comune di Campobello di Mazara e temporaneamente occupate dai migranti sfollati dall’ex cementificio Calcestruzzi Selinunte di Castelvetrano.

Già, perché il 24 maggio scorso centinaia di militari tra polizia, carabinieri e guardia di finanza su mandato della prefettura di Trapani erano entrati invece all’interno di un altro insediamento informale, l’ex cementificio che si trova al confine tra i comuni di Castelvetrano e Campobello, sottoponendo a sgombero le 62 persone che vivevano lì dentro.

E, dunque, le stesse istituzioni locali avevano dovuto provvedere, nel frattempo, a trovare una temporanea sistemazione alloggiativa per i migranti, ma non per tutti, soltanto per metà degli abitanti del ghetto. Infatti, 31 persone in possesso di un permesso di soggiorno valido avevano trovato accoglienza temporanea all’interno dell’ex oleificio, mentre le altre erano finite in strada dopo l’identificazione da parte dell’ufficio immigrazione di Trapani; e per tre di loro sprovvisti di documenti, ma che non avevano commesso reati, invece, sono state aperte le porte di uno dei Centri di permanenza per i rimpatri esistenti oggi in Italia, quello di Ponte Galeria, nello specifico, che si trova alla periferia ovest di Roma accanto alla discarica di Malagrotta.

Ora, l’ordinanza del sindaco Castiglione che era stata inviata a tutti i comandi provinciali delle forze dell’ordine, aveva disposto di intervenire entro l’11 giugno al fine di «evitare gli stessi problemi che hanno interessato l’ex cementificio Calcestruzzi Selinunte, comportando gravi problemi di degrado e di microcriminalità e minando la sicurezza pubblica e la vivibilità del territorio stesso», si legge negli atti comunali.

Nessun razzismo

Il primo cittadino di Campobello, contattato da Domani, assicura che «non si tratta di razzismo, ma di voler combattere i fenomeni di spaccio di droga e prostituzione che avvengono all’interno di questi luoghi, mettendo in pericolo le vite dei più giovani». Castiglione spiega che «la struttura dell’ex oleificio Fontane d’Oro, in passato sottratta alle disponibilità della criminalità organizzata, è stata assegnata dall’agenzia dei beni confiscati al comune e destinata all’alloggio dei lavoratori stagionali migranti impiegati a settembre nella raccolta delle olive. E non agli spacciatori».

Precisa il sindaco: «Soltanto per dare il tempo di trovare una adeguata soluzione abitativa i circa 40 migranti in regola con i permessi di soggiorno sfollati dall’ex cementificio sono stati temporaneamente ospitati dove si trovano le unità abitative donate da Unhcr per il campo stagionale. Il fenomeno che ci troviamo a gestire oggi non ha nulla a che vedere con l’attività agricola locale. Così ho ritenuto di adottare il provvedimento di sgombero, concordandolo con sua eccellenza il prefetto di Trapani».

Intanto, dalla prefettura di Trapani, fanno sapere a Domani che «sono state già sensibilizzate tutte le rappresentanze del mondo agricolo, sindacati e padronali, perché si occupino della questione, anche in vista della nuova stagione di raccolta delle olive che comincia a settembre». E ancora: «sono persone con un permesso di soggiorno, molte di loro lavorano, come da verifica effettuata attraverso il centro per l’impiego, e sarà dunque compito dei Comuni e delle rappresentanze sociali trovare una soluzione dopo lo sgombero», hanno rassicurato dallo staff della prefetta di Trapani, Filippina Cocuzza.  

I muscoli dello stato

Le versioni fornite dalle istituzionali locali, tuttavia, stridono con quanto sostengono una decina di associazioni di volontariato in una lettera di denuncia che è stata scritta l’8 giugno, e fatta recapitare anche alla regione Sicilia, in cui si legge che «le persone sgomberate dell’ex cementificio e orientate a Fontane d’Oro sono state lasciate di fatto sole dalle stesse istituzioni locali che hanno deciso l’ulteriore precarizzazione delle loro vite».

E, inoltre, ricordano le associazioni: «ad eccezione dei volontari della Croce Rossa che hanno distribuito i pasti una volta al giorno, le persone sgomberate sono state lasciate prive di un minimo sostegno e non ci risulta che i servizi sociali dei due comuni coinvolti, Campobello di Mazara e Castelvetrano, siano stati allertati e chiamati sul posto, a fronte di condizioni socio sanitarie così gravi, in particolare (ma non solo) per le donne lì presenti».

«Appare perlomeno singolare che in un contesto di questo tipo si impieghino centinaia di militari per sgomberare questi insediamenti informali», dice Richard Brodie dell’Arci Porco Rosso di Palermo, associazione che da anni porta avanti da queste parti un progetto di tutela ed assistenza sociale delle persone che vivono ai margini della società, ma raccolgono le pregiate olive della zona che sono esportate e vendute in tutto il mondo, a peso d’oro. Alcuni di questi braccianti stagionali lavorano saltuariamente anche nei terreni di boss come Giovanni Luppino, l’autista di Messina Denaro che, proprio alle spalle dell’ex oleificio “incriminato”, possiede alcune proprietà.

«In questi anni come operatori sociali abbiamo una costruito una rete di tutela lì dove lo stato non c’è. Cerchiamo di regolarizzare queste persone, di indirizzarli alle strutture di accoglienza e ai servizi del welfare territoriale, di trovargli lavoro», dice ancora Brodie: «L’impressione è che in queste terre le istituzioni stiano mostrando i muscoli nei confronti dei più fragili, dopo l’eco mediatico che hanno avuto questi luoghi a causa delle ben note vicende giudiziarie».

C’è chi come Yaya, che ha 28 anni ed è di nazionalità gambiana, dopo aver vissuto diversi anni nel ghetto di Campobello, oggi grazie a un supporto socio-legale che lo ha aiutato a regolarizzarsi, vive a Palermo, dove lavora per l’Arci come operatore sociale, aiutando tanti suoi amici stranieri in difficoltà. E c’è una donna tunisina nata in Italia che è stata accompagnata fuori regione per la mancanza di comunità a doppia diagnosi (cioè dipendenti e vittime di tratta) per donne in Sicilia.

«È a persone di questo tipo che abbiamo offerto negli ultimi quattro anni differenti tipologie di supporto; molto spesso l’intervento delle associazioni è avvenuto a fronte di una totale assenza delle istituzioni, in un territorio, come quello di un ghetto, quanto mai complesso», conferma Giulia Giancuzza dello sportello Sans-Papiers dell’Arci di Palermo. Lì dove oggi lo stato mostra i muscoli nei confronti più fragili e in passato più di qualcuno all’interno delle istituzioni, locali e nazionali, ha chiuso un occhio al cospetto dei più forti. I mafiosi. 

© Riproduzione riservata