Il Pd chiede che dopo la conta nasca una nuova maggioranza e un «patto di legislatura», oppure meglio votare. Oggi alla Camera il primo passaggio per il premier, Senato ancora in bilico. Ma dopo il voto si apre la trattativa per un nuovo raggruppamento di senatori
- Pd e M5S fanno appello «alla luce del sole ai costruttori». Attenzione sui movimenti interni di Italia viva, dopo il ritorno a casa dem del deputato a Vito De Filippo, anche la collega renziana Michela Rostan annuncia il sì a Conte. Ma resta il «mai più» con Renzi.
- Oggi la fiducia alla camera, martedì al senato. Poi tre settemane per «un nuovo patto di legislatura». Serbe una vera quarta forza altrimenti la maggioranza sarà «politicamente debole».
- Gli sherpa di palazzo Chigi trattano a oltranza. Ma i senatori in dubbio restano al coperto perché, spiega uno di loro, «stiamo al “vedere cammello”».
In parlamento ci sono «forze democratiche, liberali, europeiste pronte a convergere» nel tentativo di far ripartire il paese, dice Nicola Zingaretti, evitando «il salto nel buio» di una crisi di governo. La direzione del Pd prende atto dello stallo in cui annaspa il governo e la sua maggioranza. I numeri continuano a oscillare. Ma la convinzione dei democratici è che la maggioranza sulle comunicazioni del presidente del Consiglio ci sarà, oggi alle 12 a Montecitorio e domani a palazzo Madama. Ieri i numeri ballavano anche alla Camera. Quanto al Senato, a ieri il pallottoliere dava 152 sì certi, che bastano rispetto ai meno di 130 no delle opposizioni. Da palazzo Chigi filtra l’obiettivo quota 158, in modo da dimostrare «che Iv non è determinante».
Ma per il Pd «il problema non è numerico ma politico», finché la maggioranza – a ora composta da M5s, Pd e Leu – non avrà una vera “quarta gamba”, una quarta forza, e non stringerà un nuovo «patto di legislatura» sarà «politicamente debole». «Se si crea un nuovo gruppo si va avanti, se no si va al voto», spiega un deputato di rango vicino al segretario.
Tre settimane dopo il voto
Dopo le defezioni dei centristi di destra, questa «quarta forza» è ipotizzabile solo con una formazione di ex M5s e di futuribili ex renziani. Ieri la deputata Iv Michela Rostan, dopo il collega Vito De Filippo, ha annunciato il ritorno al Pd. Si spera in altre fuoriuscite. Appelli in questa direzione arrivano anche da M5s: la pregiudiziale contro Renzi resta, dice il ministro Stefano Patuanelli, ma «il giudizio negativo è su lui, non su Iv». A sera, su Canale 5, Zingaretti insiste: «Non è uba caccia, è un appello perché non sono tempi normali e la gente non ha capito perché Renzi ha voluto aprire una crisi di governo. Alla luce del sole, stamattina ho fatto appello alla responsabilità perché ci si permetta di andare avanti, bisogna dare sicurezza e fiducia a questo paese».
Conte ha fatto sapere di aver passato la domenica a casa a preparare le sue comunicazioni. Gli impegni dell’Italia (G20, Cop26, G7) e la sfida della pandemia. Un «vasto programma» in vista del dopo: passata la fiducia, serviranno due o tre settimane per capire se l’operazione politica può rilanciare la legislatura. Non importa sotto quali insegne, ma anche su questo si gira a vuoto: dal Maie, il simbolo Italia 23 non ha prodotto l’effetto sperato. Da Iv, il senatore socialista Riccardo Nencini esclude di ritirare il simbolo Psi al gruppo di Renzi. La sua scelta di offrirsi come “costruttore” gli ha procurato le critiche di padri nobili come Rino Formica, ma anche di Claudio Martelli e Mauro Del Bue.
La “quarta forza” resta dunque solo un’ipotesi. Per verificarla non resta che parlare con i possibili aspiranti, una decina in tutto. Il senatore Mario Giarrusso, ex M5s ora al gruppo Misto, uno che detesta Renzi, ieri è stato visto dalle parti di palazzo Chigi. Altri restano al coperto perché, spiega un componente del governo che partecipa alle trattative, «stiamo al “vedere cammello”». Ma di cammelli, cioè di cose da offrire, Conte non ne ha molti: ha dinanzi a sé una navigazione incerta, come incerta è una sua futura forza politica. In più il premier non vuole passare per un nuovo voto di fiducia, dunque non vorrebbe cambiare troppe caselle al suo governo. Si tratta sui posti, e su una nuova legge elettorale che dia alle forze più piccole la possibilità di eleggere parlamentari. Ma qui c’è uno scoglio: la legge proporzionale arenata alla Camera prevede una soglia del 5 per cento, perfetta per azzoppare quello che resterà di Italia viva (ma anche Leu chiede il 4). Morale: le trattative non quagliano e i singoli senatori si guardano con sospetto, l’uno aspettando la mossa dell’altro.
I dubbi di Nannicini
Ma il senatore Gregorio De Falco, ex M5s oggi nel gruppo misto, si dispone a votare sì a Conte. L’ultima volta aveva votato no. «Non chiedo posti», e rimanda alla risoluzione approvata lo scorso 13 gennaio in cui il governo si impegna «a favorire la creazione di test point» per i tamponi rapidi, con il coinvolgimento della rete del volontariato. Su questa posizione sarebbero «almeno due colleghi non di maggioranza».
Ma per due o tre che arrivano ci sono quelli che potrebbero disertare. Forse persino dal Pd. Ieri il senatore Tommaso Nannicini ha affidato a Facebook molti interrogativi: «Come si concilia un passaggio parlamentare di mera conta dei voti sul Conte bis con la richiesta di una svolta?», meglio «dopo il passaggio alla Camera, permettere al presidente Conte di gestire in maniera trasparente consultazioni sotto l’egida del presidente della Repubblica, per capire se esistono i margini politici per ricostruire un accordo nell’attuale maggioranza o per costruirne una allargata, mettendo al primo posto le esigenze drammatiche dell’Italia». Meglio le dimissioni e un nuovo governo, insomma. Eventualità che per palazzo Chigi è considerata extrema ratio.
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