Governo e regioni discutono da giorni su chi deve fissare le nuove limitazioni, anche se sulla gravità della situazione sono tutti d’accordo. Oggi Conte presenta la linea alle camere
- La proposta del governo: scelte nazionali per coprifuoco, centri commerciali e scuola; scelte di regioni e comuni su ulteriori strette e stop alla mobilità.
- Gli enti locali vogliono che la decisione sia di palazzo Chigi la paternità della stretta. Ma il ministro Speranza: «La mia firma sui provvedimenti ci sarà comunque, purché si faccia presto». Bonaccini: sono positivo al virus.
- Nuovo appello di Mattarella: «responsabilità di proseguire nell’impegno per contrastare e sconfiggere questa malattia così grave, mettendo da parte partigianerie, protagonismi ed egoismi per unire le forze di tutti».
Coprifuoco dalle 18, chiusura dei centri commerciali almeno nei week end, studenti a casa con la didattica a distanza dalla terza media in su, mobilità interna limitata da regione a regione e zone rosse locali. Sono le proposte sul piatto del governo. Le prime tre decise a livello nazionale, le seconde da decidere a livello locale.
Nelle ore in cui le proteste diventano scontri per le strade, i presidenti di regione tentano di costringere l’esecutivo ad assumersi la paternità di tutto il nuovo giro di vite. La stretta arriverà stasera, al massimo domattina. Deve arrivare perché i dati dei contagi dicono che è necessaria. Al premier e ai ministri lo hanno spiegato sabato Silvio Brusaferro, dell’Istituto superiore di sanità, Franco Locatelli, del Consiglio superiore di sanità, e Agostino Miozzo, del Comitato tecnico scientifico. Ma fuori da quelle videoriunioni i dati arrivano ovattati. Ieri i nuovi contagi erano 29.907 contro i 31.756 del giorno prima. Sembra una buona notizia. Ma la percentuale di positivi al tampone è salita al 16,3 per cento contro il 14,7 del giorno prima, il 13,1 di una settimana fa, l’8 di due settimane, il 2,8 di quattro. Muoiono meno persone, ma le terapie intensive quasi raddoppiano. I provvedimenti sono arrivati tardi. E continuano a tardare.
Per la prima volta da settembre il nuovo Dpcm – il quarto in meno di due mesi – arriverà dopo il confronto in parlamento. Il premier aveva deciso che sarebbe andato alle camere mercoledì. Il precipizio lo ha costretto a anticipare a oggi. A mezzogiorno sarà alla camera; alle 17 al senato. Stavolta si vota. I numeri non preoccupano la maggioranza, almeno sulla carta. Preoccupa però la qualità delle strette, quelle che il ministro Roberto Gualtieri definisce «misure intermedie anche dolorose» e che dovrebbero servire a scongiurare il lockdown che invece ormai è la scelta di Francia, Germania, Gran Bretagna, Austria. In Portogallo sta a casa il 70 per cento della popolazione. Ma per tutta la giornata di ieri il governo è rimasto di qua, e le regioni di là.
Il negoziato
Le regioni sono divise. Il presidente del Veneto Luca Zaia non vuole il lockdown generale, quello della Lombardia Attilio Fontana sì purché sia nazionale. Tutti insieme provano a ributtare la palla nel campo dell’esecutivo, come hanno fatto con successo la scorsa domenica. «Più ci sono misure nazionali più diamo un senso di uniformità, sarebbero più facili da spiegare al paese», spiega il presidente della conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini alla prima riunione, la mattina, con i ministri Francesco Boccia e Roberto Speranza, e i rappresentanti di province e comuni. Lo stesso Bonaccini dopo poco comunica di essere contagiato.
Il ministro Speranza propone invece un provvedimento su due livelli: «Possiamo alzare l’asticella nazionale su alcuni punti condivisi e su alcuni territori alziamo i livelli di intervento». Ma è pronto anche a chiudere centralmente tutto il possibile. E scandisce: «La mia firma sui provvedimenti ci sarà comunque, purché si faccia presto». Con lui è il Pd, dal segretario Nicola Zingaretti al capodelegazione Dario Franceschini. Boccia media: «Il governo sarà al fianco con ogni forma di sostegno alle regioni che singolarmente chiudono alcune attività o riducono gli orari in base all’attuazione del piano condiviso sull’andamento epidemiologico». È la proposta di palazzo Chigi: stabilire alcune restrizioni nazionali ma per le strette territoriali rimandare le decisioni a regioni e comuni, sulla base degli indicatori della purtroppo famosa «fase 4». Che sono 21. La pericolosità della situazione è la risultante non solo dei principali, l’indice di contagiosità (l’Rt) e la saturazione delle terapie intensive, ma anche dei posti letto disponibili, dei tempi di attesa per tampone. «Oggi ci sono undici regioni oltre l’Rt 1,5 e due regioni oltre 2, allora alcune misure già previste dal piano che abbiamo condiviso devono scattare in automatico», insiste Boccia, «per questo non si deve prendere una decisione univoca sulla scuola ma deve dipendere dal grado di Rt in ogni regione».Stamattina il governo incontrerà di nuovo le regioni. Punta a convincerle. Ieri la riunione con i capidelegazione e i capigruppo va per le lunghe.
Il capo dello stato Sergio Mattarella, dal cimitero di Castegnato (Brescia), dove è stata rubata una croce ai caduti per il Covid, lancia un nuovo appello alla «responsabilità di proseguire nell’impegno per contrastare e sconfiggere questa malattia così grave, mettendo da parte partigianerie, protagonismi ed egoismi per unire le forze di tutti». Ma le destre respingono la «cabina di regia» proposta da Conte. «Una commissione inventata, con un delegato per partito e la guida di Speranza», si sfoga un deputato di Fratelli d’Italia. Forza Italia è più possibilista. Ma il presidente della Liguria Toti su Twitter si rammarica dei morti anziani, persone che «vanno tutelate» anche se «non indispensabili al tessuto produttivo». È una frase dal sen fuggita, ma racconta l’atteggiamento delle destre verso la pandemia.
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