- Gli ultimi rilievi dei giudici contabili sui ritardi del piano hanno suscitato malumori nel governo. Il ministro Fitto ha presentato un emendamento per limitare i poteri della Corte.
- Fitto sembra dimenticare che la Corte già adotta quest’approccio. Inoltre, sopprimere i controlli della magistratura contabile sul Pnrr contrasta con disposizioni europee.
- Un governo che cancella i controlli sul suo operato svolti da un organo di rilievo costituzionale, lo fa con la spregiudicatezza che chi detiene il potere non dovrebbe mai permettersi di usare.
È scontro tra governo e Corte dei conti, dopo che quest’ultima ha riscontrato ritardi nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). «Sarebbe auspicabile un approccio costruttivo della Corte», ha affermato Raffaele Fitto, ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr, evidentemente contrariato dai rilievi. Ma il contrasto istituzionale non si limita alle parole. L’esecutivo ha presentato un emendamento alla legge di conversione del decreto sulla pubblica amministrazione per limitare i poteri della Corte ed evitarne così i controlli in itinere su investimenti e progetti del Pnrr.
Per comprendere meglio il tema, sono necessari alcuni chiarimenti sulle competenze dei giudici contabili circa il piano e sulle conseguenze della loro estromissione.
La Corte dei conti e il Pnrr
La Corte dei conti esercita un controllo sulla gestione dei fondi del Pnrr svolgendo in particolare valutazioni di economicità, efficienza ed efficacia circa l'acquisizione e l'impiego delle relative risorse finanziarie. Essa riferisce almeno semestralmente al Parlamento sullo stato di attuazione del piano, ai sensi del decreto legge del 2021 che ha disciplinato la governance del piano stesso (n. 77).
I controlli della Corte dei conti sul Pnrr sono regolati da un decreto-legge del 2020 (n. 76), a seguito del quale la Corte ha istituito il collegio del controllo concomitante, e consistono nel monitoraggio in corso d’opera circa l’assegnazione e la gestione delle risorse per i progetti del piano. Il controllo concomitante - introdotto per la prima volta da una legge del 2009 (n. 15), riattivato all’epoca della pandemia e poi finalizzato anche alle verifiche sul Pnrr – può avere vari esiti. Nel caso in cui siano riscontrati rilevanti ritardi nella realizzazione di piani e programmi, erogazione di contributi o nel trasferimento di fondi, la Corte ne dà comunicazione al ministro competente, affinché adotti gli atti necessari, nonché all’amministrazione per l’accertamento delle connesse responsabilità dirigenziali.
Ma il controllo concomitante non è solo preordinato «a misure di riparazione del danno o all'indicazione di correttivi». Esso è volto anche a consentire interventi «mirati anche alla prevenzione», così da evitare problemi successivi (sezioni riunite della Corte, deliberazione n. 29/CONTR/09). In questo senso, può dirsi che l'obiettivo di tale controllo sia pure quello di esercitare un'azione acceleratoria e propulsiva dell'attività amministrativa.
I ritardi sul Pnrr
Già nei primi giorni di maggio (delibere n. 17/2023/CCC e n. 18/2023/CCC), con riguardo all'attuazione degli investimenti relativi alla sperimentazione dell'idrogeno per il trasporto stradale e all'installazione di infrastrutture di ricarica elettrica, il Collegio del controllo concomitante aveva evidenziato criticità circa il raggiungimento dei traguardi previsti per il semestre in corso. I rilievi avevano suscitato i malumori del governo. Malumori che si sono rafforzati a seguito del Rapporto 2023 sul coordinamento della finanza pubblica, presentato dai magistrati contabili il 25 maggio scorso. Nel documento la Corte ha riscontrato che, nei primi quattro mesi del 2023, sono stati spesi 1,2 miliardi sul totale dei 32,7 miliardi previsti per quest’anno. I giudici hanno constatato una «vischiosità» di attuazione e segnalato che le tre missioni del Pnrr inerenti a digitalizzazione, transizione energetica e infrastrutture registrano stati di avanzamento pari al 16%; nel caso delle missioni 4 e 5, cioè istruzione e inclusione, la progressione del piano è al 5%; mentre per la missione 6, relativa alla salute, l'avanzamento dei programmi di spesa è all'1%. Con riferimento a questo quadro di ritardi va sottolineato un dato importante: nel quadriennio 2023-2026 due terzi del tasso di crescita medio annuo, prefigurato nel documento di economia e finanza, sono imputabili al piano (1,2%, mentre in assenza di Pnrr sarebbe lo 0,4%). Sono palesi le conseguenze dell’eventuale mancato rispetto delle relative scadenze, con la perdita dei fondi connessi.
Le lamentele di Fitto
Dopo gli ultimi interventi della Corte, i malumori del governo sono emersi in maniera dirompente. Il ministro Fitto ha affermato che «serve un approccio costruttivo da parte di tutti», invitando «a contribuire in maniera proattiva al raggiungimento dell'obiettivo comune: realizzare interamente il piano». Il ministro, in particolare, ha auspicato un supporto della Corte dei conti «nella fase di rendicontazione, di campionamento, e di verifica del raggiungimento dei risultati», agevolando i compiti dei singoli soggetti attuatori. Il ministro sembra dimenticare che già ora la Corte, attraverso l’attività di controllo concomitante, affianca le amministrazioni con raccomandazioni e avvisi finalizzati a stimolare un percorso autocorrettivo, per evitare carenze e ritardi che possano pregiudicarne gli interventi. Percorso che, però, poi spetta alle amministrazioni declinare a livello decisionale, organizzativo, di controllo interno. I magistrati contabili hanno già proceduto in questo modo - cioè formulando indicazioni volte a correggere la rotta diversi mesi prima delle scadenze previste - ad esempio per asili nido e infrastrutture idriche. Dunque, è fuori luogo puntare il dito contro la Corte.
La Corte costituzionale in passato ha affermato che è determinante l’attribuzione di una funzione di controllo «a un organo, come la Corte dei conti, la cui attività contrassegna un momento di neutralizzazione rispetto alla conformazione legislativa (politica) degli interessi» (sentenza n. 29/1995).
Il limite ai poteri
Evidentemente, riguardo ai fondi del Pnrr, il governo non è dell’avviso della Consulta, avendo predisposto un’apposita norma. Si tratta di un atto molto grave, poiché tali controlli super partes rappresentano un contrappeso al potere politico. Ma la norma solleva anche altre perplessità. Essa contrasta, infatti, con quanto sancito dal regolamento dell’Unione europea che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza (n. 2021/241). Il regolamento prevede che ciascuno stato membro ricorra a «un sistema di controllo interno efficace ed efficiente» anche al fine di «tutelare gli interessi finanziari dell'Unione». È proprio ciò che fa la Corte dei conti e che il governo punta a eliminare. Le limitazioni dei controlli della Corte contrasterebbero anche con linee guida della Commissione europea sul Pnrr, secondo le quali gli stati membri dovrebbero avvalersi dei sistemi di gestione e controllo nazionali già esistenti e dei relativi organismi.
Sull’uso delle risorse del Pnrr resterebbe esclusivamente il controllo della Commissione Ue, che però non avviene in corso d’opera, come quello della Corte, bensì a consuntivo. Ma anche con la Commissione l’esecutivo ha avviato una polemica sottotraccia circa il ritardo nell’erogazione della terza rata dei fondi. Tale rata è condizionata al supplemento d’indagine che la commissione sta svolgendo su obiettivi e investimenti relativi al secondo semestre 2022, forse in modo troppo puntiglioso secondo il governo. Basti pensare che il ministro Fitto, il 26 aprile scorso, si aspettava che essa fosse sbloccata «a ore». La Commissione Ue, nelle raccomandazioni inviate agli Stati membri la scorsa settimana riguardo al secondo semestre 2023, ha riscontrato per l’Italia, tra le altre cose, «un rischio crescente di ritardi» per il Pnrr. I ritardi sono nei fatti. Reputare che le verifiche della Corte dei Conti sul Pnrr condizionino il giudizio sull’attuazione del Piano o addirittura ne intralcino la realizzazione – non si sa bene come - e pertanto vadano soppresse, è come pensare che basti eliminare il termometro per rimuovere la febbre. Ma non è solo questo. È un governo che cancella i controlli sul suo operato da parte di un organo di rilievo costituzionale (art. 100), e lo fa con la spregiudicatezza che chi detiene il potere non dovrebbe mai permettersi di usare.
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