- Non ci sono fondi pubblici per coprire l’indennità di malattia dei lavoratori del settore privato in quarantena. L’Inps è stato chiaro.
- Non è venuta meno l’equiparazione a malattia del periodo di quarantena. L’assenza dal lavoro, per chi non può svolgerlo a distanza, non solo resta giustificata, ma è pure obbligatoria. Tuttavia, non ci sono fondi per coprirla.
- Ciò crea disparità tra i lavoratori in quarantena: quelli che possono continuare a lavorare da remoto percependo la retribuzione; e quelli che, dovendo lavorare in presenza, ma essendo tenuti a stare isolati, non ricevono i fondi dell’indennità a carico dell’INPS.
Non ci sono fondi pubblici per l’indennità di malattia dei lavoratori in quarantena del settore privato. Il messaggio dell’Inps del 6 agosto (n. 2842) è chiaro al riguardo: «Per il 2021 il legislatore non ha stanziato nuove risorse, dunque l’indennità non potrà essere erogata anche per gli eventi avvenuti nell’anno in corso». Perciò l’Istituto, non potendo andare oltre il finanziamento previsto (pari complessivamente a 663,1 milioni di euro per il 2020), procederà al riconoscimento delle tutele esclusivamente per l’anno 2020, «entro i limiti di spesa richiamati».
La notizia ha colto molti di sorpresa, ma era stata preannunciata dall’Inps nell’aprile scorso (messaggio n. 1667). L’Istituto rilevava che non erano stati disposti, «per l’anno 2021, appositi stanziamenti volti alla tutela della quarantena» e, pertanto, salvo eventuali interventi normativi ulteriori, non si sarebbe potuto «procedere a riconoscere la tutela previdenziale per gli eventi riferiti all’anno in corso».
Nel caso di “lavoratori fragili”, invece, la tutela restava garantita grazie al fondo rifinanziato dal cosiddetto decreto Sostegni (d.l. n. 41/2021), ma solo fino al 30 giugno 2021, non essendo state previste proroghe ulteriori (il decreto-legge n. 105/2021 ha esteso al 31 ottobre 2021 solo il diritto per i fragili di lavorare in smart working). Quindi, per la seconda metà dell’anno, non sono stati stanziati appositi fondi nemmeno per i lavoratori fragili.
I sindacati confederali, con una lettera inviata ai ministri del Lavoro e dell’Economia, Andrea Orlando e Daniele Franco, avente ad oggetto la “tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti del settore privato in quarantena”, hanno chiesto un intervento normativo urgente che consenta all’Istituto di disporre dei fondi necessari alla tutela stessa.
L’indennità di quarantena
L’indennità di quarantena è stata introdotta dal cosiddetto Cura Italia (d.l. n. 18/2020), per coprire economicamente il periodo di isolamento obbligatorio prescritto ai “contatti stretti” di un soggetto positivo all’infezione da SARS-CoV-2. Come spiegato dall’Inps, essa consiste in «un trattamento economico equiparato a quanto previsto in caso di malattia comune sulla base della normativa di riferimento».
L’indennità ha costituito così, sin dall’inizio della pandemia, una forma di tutela riconosciuta a chi fosse impossibilitato a lavorare – affinché non dovesse usare ferie o permessi - a fronte dell’assimilazione alla malattia dei periodi di assenza dovuti a “quarantena con sorveglianza attiva” o “permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva” o “quarantena precauzionale” (messaggio n. 2584/2020). Tale tutela è stata prevista per i lavoratori dipendenti del settore privato, mentre ne sono stati esclusi quelli iscritti alla gestione separata dell’Inps.
L’indennità non spetta «nei casi in cui il lavoratore in quarantena continui a svolgere, sulla base degli accordi con il proprio datore di lavoro, l’attività presso il proprio domicilio, mediante forme di lavoro alternative alla presenza in ufficio. In tale circostanza, infatti, non ha luogo la sospensione dell’attività lavorativa e viene erogata la normale retribuzione» (messaggio n. 3653/2020).
Nei casi di malattia conclamata da COVID-19, invece, l’Istituto procede «al riconoscimento della tutela della malattia secondo l’ordinaria gestione» (messaggio n. 2842/2021).
Per completezza, si aggiunge che la circolare del ministro della Salute dell’11 agosto scorso ha ridotto il periodo di quarantena da dieci giorni a sette giorni per chi è “contatto stretto ad alto rischio” di casi COVID-19 confermati, se ha completato il ciclo vaccinale da almeno 14 giorni; e ha dettato nuove regole per il “contatto asintomatico a basso rischio”, esentato dall’obbligo di isolamento fiduciario sempre in caso di completamento delle vaccinazioni da oltre 14 giorni.
Le conseguenze del mancato stanziamento per l’indennità
La legge di bilancio per il 2021 (l. n. 178/2020) non ha previsto fondi dedicati alla misura di tutela per i lavoratori privati sottoposti a quarantena. È stato disposto uno stanziamento pari a 282,1 milioni di euro per l’anno in corso esclusivamente a favore di quelli “fragili”, come detto, ma non degli altri.
Con il messaggio dell’aprile scorso, l’Inps aveva avvisato del problema, riservandosi di fornire «successive indicazioni a seguito dell’eventuale rifinanziamento dei relativi oneri». Ma il governo non aveva tenuto conto di tale avviso, e il rifinanziamento non era arrivato. «Il problema è noto e lo abbiamo fatto presente da tempo, non dipende certo dall'Inps», ha detto nei giorni scorsi il presidente dell’Istituto, Pasquale Tridico, in un’intervista alla Stampa, affermando che sperava fosse il governo a rimediare. Così non è stato.
Ancora una volta, il problema deriva da un pasticcio del legislatore. Non è venuta meno, come qualcuno ha detto, l’equiparazione a malattia del periodo di quarantena: tale assimilazione continua a essere prevista dal citato decreto-legge del marzo 2020. È solo che il governo non ha stanziato i fondi per coprirla economicamente.
L’assenza di chi debba restare isolato perché “contatto stretto” di un positivo è obbligatoria nelle ipotesi di cui alla citata circolare del ministero della Salute e resta sancita dalla legge, ma per il legislatore è come se non esistesse quanto a fondi necessari per finanziarla.
Insomma, c’è l’obbligo di quarantena, la quarantena è una causale di assenza dal lavoro, ma non c’è l’indennità di quarantena.
Tutto questo si traduce in una disparità di trattamento tra lavoratori: quelli che possono svolgere la propria attività da remoto - data la mansione svolta, consentita anche a distanza – e non subiscono alcuna penalizzazione, poiché percepiscono la retribuzione ordinaria; e quelli che devono lavorare solo in presenza, ma sono tenuti a stare a casa in quarantena - non per scelta, bensì per assolvere a un obbligo di natura sanitaria, lo si ribadisce – e non ricevono i fondi dell’indennità a carico dell’Inps, in base alle norme vigenti.
Pertanto, a meno che il datore di lavoro non sostenga interamente la spesa dell’assenza del lavoratore, quest’ultimo dovrà utilizzare ferie o permessi retribuiti per stare a casa, come prescritto, e non subire danni economici.
Ma c’è anche altro, al di là del trattamento iniquo tra lavoratori che svolgono mansioni diverse. Il governo farà bene ad affrontare quanto prima il rifinanziamento della misura di tutela anche per evitare che, pur di non subire le suddette penalizzazioni derivanti dalla mancata corresponsione dell’indennità, il lavoratore che dovrebbe stare obbligatoriamente in quarantena non dissimuli la propria condizione di “contatto stretto”, e continui a operare in presenza, rappresentando così un pericolo per tutti gli altri.
Nel mentre si pensa di estendere la durata del “green pass” nonché il suo utilizzo in luoghi di lavoro - anziché prescrivere un chiaro obbligo vaccinale - il governo scongiuri rischi derivanti da norme non coerenti.
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