Dopo la morte di 130 persone al largo della Libia, Alarmphone, Emergency, Medici Senza Frontiere, Mediterranea, Open Arms, ResQ, Sea-Watch, Sos Méditerranée Italia hanno scritto una lettera: «Le chiediamo un incontro in cui discutere quali iniziative concrete possano essere assunte dal suo governo, coinvolgendo l’Europa, affinché salvare vite umane torni a essere una priorità»
La tragedia «poteva essere evitata». Così le Ong vogliono parlare direttamente al presidente Mario Draghi, dopo l’ennesimo naufragio nel Canale di Sicilia al largo della Libia giovedì scorso. Un attraversamento che è costato la vita a centotrenta persone, disperse nel Mediterraneo. Le associazioni hanno perciò scritto al presidente del consiglio: «Crediamo indispensabile chiederle un incontro urgente».
La missiva è stata firmata da tutti: Alarmphone, il telefono indipendente che raccoglie le segnalazioni dei naufragi, Emergency, la Ong presieduta da Gino Strada, Medici Senza Frontiere, Mediterranea, Open Arms, ResQ, Sea-Watch, Sos Méditerranée, che da anni cooperano per salvare le vite in mare.
«Ogni volta che si ripete un naufragio speriamo che sia l’ultimo. Anche la tragedia di questi giorni poteva molto probabilmente essere evitata» esordiscono. Quelle 24 ore passate dal primo allarme all’invio dei soccorsi devono essere spiegate. Ieri papa Francesco ha invocato «il momento della vergogna». L’unica nave a essersi avventurata in soccorso dei naufraghi è stata quella di Sos Mediterranée a cui si sono poi aggiunte tre navi commerciali: «La Ocean Viking – raccontano ancora una volta nella lettera - ha atteso un intervento delle autorità marittime che coordinasse le operazioni, ma nonostante le autorità italiane, libiche e maltesi fossero tenute costantemente informate, questo coordinamento non c’è stato, o almeno non ha coinvolto l’unica nave di soccorso presente in quel momento». Questa mancanza è «stata fatale è sotto gli occhi di tutti: oltre cento persone hanno perso la vita. Questa, presidente, è la realtà del Mediterraneo».
Un primato di morte
Dal 2014 ricordano, più di 20mila uomini, donne e bambini sono morti o scomparsi nel Mediterraneo centrale «che conferma il suo triste primato di rotta migratoria più letale al mondo». Dopo la fine dell’operazione Mare Nostrum, la missione italiana di salvataggio in mare dei migranti attuata dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014, nessuno «è mai riuscito a far diminuire il tasso di mortalità. Da allora le Ong hanno cercato di colmare il vuoto lasciato dagli Stati, ma in assenza di un coordinamento centralizzato, tempestivo e coerente di ricerca e soccorso, - sottolineano – tragedie come quelle di giovedì scorso sono le conseguenze da portare collettivamente sulla coscienza».
Le Ong inoltre, se in un primo momento hanno sentito il sostegno degli stati, a un certo punto hanno iniziato a subire ripetuti attacchi: «Le cose sono cambiate: i governi hanno ritirato le loro navi e cessato di coordinare i soccorsi». Dai decreti Salvini, al blocco delle navi, a turno hanno raccontato le crescenti difficoltà nel portare a termine le operazioni di soccorso e i migranti sono stati lasciati sempre più spesso alle autorità libiche, assecondando quello che Domani ha rivelato essere un preciso disegno dell’Unione europea.
«Le persone, invece che essere soccorse e condotte in un porto sicuro, come vorrebbe la normativa marittima internazionale, hanno iniziato ad essere riportate dalle autorità libiche in Libia, dove sono vittime di detenzioni arbitrarie, violenze e abusi di ogni genere ampiamente documentati. Contestualmente, le Ong sono diventate oggetto di una feroce campagna di delegittimizzazione e criminalizzazione».
Salvare le vite, ribadiscono «è un obbligo», per questo, concludono «le chiediamo un incontro in cui discutere quali iniziative concrete possano essere assunte dal suo governo, coinvolgendo l’Europa, per garantire interventi coordinati e tempestivi di soccorso, affinché salvare vite umane torni ad essere una priorità e inaccettabili tragedie come i naufragi di questi giorni non si ripetano mai più».
© Riproduzione riservata