Nel 2005 ha scritto di Rosario Mauceri, oggi condannato all’ergastolo per omicidio. Il mafioso gli aveva chiesto il silenzio: «Non mi sono lasciato intimidire». Dopo le minacce trapelate dal carcere, ancora anni dopo, la famiglia ha intimato al giornalista di tacere sotto un post di Facebook
Nel 2005 ha scritto per la prima volta di Rosario Mauceri, rappresentante di Cosa Nostra in provincia di Enna oggi condannato all’ergastolo per aver ucciso due persone, e quasi vent’anni dopo, la famiglia ha intimato ancora una volta al giornalista Josè Trovato di tacere. La terza richiesta di silenzio ricevuta negli anni, ma lui ha denunciato ancora una volta: «E sono combattuto se andare a farne un’altra», dice a Domani, visto che l’attacco social è stato ripetuto dopo la notizia del post del sindacato dei giornalisti che gli esprimeva solidarietà.
Tre volte
Questo è solo l’ultimo capitolo di una vicenda partita quando «tutti sapevano che l’assassino era lui, ma ancora non era stato condannato in via definitiva». Trovato era un cronista poco più che ventenne «e raccontavo la mafia a Enna quando tutti dicevano che non c’era». Nel 1999 il mafioso, originario anche lui di Leonforte, aveva ucciso Filippo Musica ed Elisa Valenti: «Musica – racconta Trovato – veniva visto come un rivale perché voleva gestire affari illegali pur non facendo parte di Cosa Nostra, mentre Elisa Valenti era solo la sua fidanzata». Così ha iniziato a scrivere di quello che stava accadendo e del mafioso.
La prima volta è stato lo stesso Mauceri ad avvicinarlo. «Nel 2005 mi ha avvicinato, ha preso una copia del giornale di Sicilia e mi ha detto, “la devi smettere di scrivere di me”. Avevo 26 anni e non capendo il tono, ho chiamato la polizia». Trovato ha scritto di lui ancora una volta la settimana stessa: «Non mi sarei lasciato intimidire».
La sorpresa arriverà quattro anni dopo, quando il giornalista ha scoperto che dal carcere Mauceri voleva passare ai fatti: «Il 3 febbraio del 2009 sono stato convocato dal questore di Enna, e dietro la porta ho trovato il comandante provinciale dei carabinieri. Dal carcere, mi hanno riferito, aveva messo in moto qualcosa “per farmi saltare la testa”, ma il detenuto che era venuto a saperlo stava collaborando ed è emerso il disegno. Lo ricordo con precisione perché è accaduto una settimana prima che nascesse mio figlio».
Da allora passiamo al 2022. Il 27 giugno Trovato ha sporto una formale denuncia al commissariato di polizia di Leonforte contro i responsabili dei profili di Facebook che hanno scritto contro di lui: «I figli di Mauceri». In un post sul suo profilo, il giornalista annunciava la prossima presentazione a Leonforte del suo libro dal titolo Mafia 2.0-21, con un commento: “Nel corso della serata parlerò della presenza dei parenti dei mafiosi dei social: un bestiario che non smetterà di stupirmi”. Non si riferiva nemmeno a loro. Ma è stato apostrofato come “giornalista da strapazzo” e “ridicolo”, e uno dei figli del malvivente, con tono apparentemente amichevole, lo ha invitato a «smettere di parlare di suo padre».
Il sindacato
Il sindacato dei giornalisti si è schierato con lui immediatamente: «Terza intimidazione per il collega ennese Josè Trovato, componente del Gruppo cronisti siciliani di Assostampa Sicilia, da parte di una famiglia mafiosa» e ha espresso «solidarietà e stima al collega, invitandolo a proseguire la sua testimonianza professionale con coraggio e perseveranza».
Adesso sarà la magistratura a stabilire se questa richiesta, proveniente dal figlio di un mafioso e assassino, integri o meno una specifica fattispecie di reato: «Ciò che riteniamo non si possa far passare in silenzio è il messaggio che un giornalista possa essere aggredito verbalmente sui social dai parenti di un mafioso, nel tentativo di ridurlo al silenzio», dicono Roberto Ginex, segretario di Assostampa Sicilia, Claudia Brunetto, segretaria regionale del Gruppo cronisti, e Gianfranco Gravina, vicesegretario di Assostampa Enna.
I familiari di Mauceri hanno ricondiviso la notizia dicendo che è «tutto falso», e Trovato sta decidendo se è il caso di tornare al commissariato.
Un lento cambiamento
Il giornalista ricorda che uno dei figli ha usato sostanzialmente le stesse parole che il padre gli rivolse 17 anni fa e gli ha chiesto di non occuparsi di lui.
«Sono passati tutti questi anni – dice il giornalista a Domani -, ma l’opinione è questa. Basta dire a qualcuno di non scrivere». Racconti che sembrano appartenere a un’altra epoca, atteggiamenti ancora più stridenti perché nati sui social.
«Si sta prendendo consapevolezza, c’è un risveglio da parte di Enna. C’è un impegno forte da parte della società civile, oggi i comuni si costituiscono parte civile. Cominciano a invitarmi nelle scuole, ma alla fine per certi aspetti i cambiamenti sono lenti». Allo stesso modo, le reazioni di segno contrario, non per forza sono un segnale negativo: «Probabilmente sono reazioni al fatto che la musica sta cambiando».
Il giornalista è anche presidente della pro loco di Leonforte e il 30 giugno «a più di vent’anni dall’omicidio scopriremo un quadro che ritrae Elisa Valenti, una delle due vittime. Valenti era solo la fidanzata di Musica, e il ministero dell’Interno l’ha riconosciuta vittima incolpevole di mafia». Un riconoscimento che adesso il comune vorrebbe trasformare nell’intitolazione alla donna di una via o una piazza: «Ma il nulla osta dalla prefettura continua a non arrivare»
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