- Un rapporto di Openpolis rivela che il 78,3 per cento dell’attività legislativa, svolta da ottobre fino ad aprile, è stata dedicata alla conversione di decreti. È il dato più alto delle ultime legislature.
- In sei mesi è stata approvata solo una legge di iniziativa parlamentare, quella sulla riforma per l’equo compenso dei professionisti. Ma era una proposta firmata da Giorgia Meloni.
- «Non è vero che servono le riforme perché il governo non ha poteri adeguati, oggi è il parlamento a essere svilito», spiega il responsabile editoriale di Openpolis, Vincenzo Smaldore.
Poche leggi approvate in questa legislatura, con la media più bassa negli ultimi dieci anni. Ma soprattutto un governo che impone l’agenda al parlamento a colpi di decreti da approvare: il 78,3 per cento dell’attività legislativa, svolta da ottobre fino ad aprile, è stata dedicata alla conversione dei provvedimenti di origine governativa. Camera e Senato sono ridotte a un ruolo ancillare, c’è stato il via libera a una sola una legge di iniziativa parlamentare.
Dopo sei mesi di legislatura è stata smontata dai fatti la narrazione di un esecutivo che ha bisogno di maggiori poteri per poter realizzare il proprio programma. I problemi sono più che altro politici, nella capacità di trovare intese all’interno della maggioranza. I dati, però, pongono una questione istituzionale di primaria importanza: la Costituzione è stata sottoposta a una modifica strisciante. Le riforme prospettate dal governo interverrebbero su un quadro già fortemente sbilanciato.
Poteri debordanti
Un dossier, realizzato da Openpolis, analizza il rapporto tra il governo e le camere. Le leggi ordinarie approvate finora sono quattro, il livello più basso delle ultime legislature. Peraltro due attengono all’istituzione di commissioni di inchiesta (antimafia e femminicidio e violenza di genere), un’altra è la legge delega per il ddl anziani. Conti alla mano, quindi, il parlamento ha seguito dall’inizio alla fine solo la riforma dell’equo compenso per i professionisti.
Una norma che, come se non bastasse, porta con sé il marchio di fabbrica di Giorgia Meloni. L’attuale presidente del Consiglio aveva presentato il testo nella scorsa legislatura, in quella nuova è stato ripreso pedissequamente. E quindi portato in commissione e in aula per un celere via libera sotto l’impulso di Fratelli d’Italia. Ancora più significativo è il dato sulla conversione di decreti.
Il governo Meloni si attesta sopra il 78 per cento, staccando di dieci punti il Conte bis, che si era fermato al 68 per cento. Ancora più profondo il solco con l’esecutivo guidato da Enrico Letta, che si è attestato al 66 per cento, mentre quello presieduto da Mario Draghi ha chiuso poco sotto il 50 per cento. Numeri che dimostrano come il potere nelle mani di Palazzo Chigi rischi addirittura di essere debordante.
«C’è una riflessione da fare sul tema delle riforme istituzionali, che parte spesso da un postulato secondo cui il governo non ha poteri adeguati. Ma questo non è vero», spiega a Domani Vincenzo Smaldore, responsabile editoriale di Openpolis. «C’è un trend consolidato da anni», aggiunge Smaldore «e che attraversa varie legislature, per cui il governo detiene nei fatti il potere legislativo. La Costituzione è stata stravolta, il sistema parlamentare viene continuamente svilito».
Tanti decreti, poche leggi
Le camere sono in sintesi ridotte a passacarte, non più titolari del potere legislativo: addirittura l’agenda viene dettata dalla necessità di discutere e approvare i decreti entro i 60 giorni dal via libera in consiglio dei ministri. Una dinamica che alimenta il cosiddetto monocameralismo di fatto, l’esame di un provvedimento in un solo ramo del parlamento con l’altro che si limita a ratificare senza operare modifiche. Lo spazio per le proposte di legge di deputati e senatori viene annullato. «Un fatto è certo – osserva ancora Smaldore – l’impegno sulla centralità del parlamento assunto da Meloni a inizio legislatura è destinato a essere disatteso».
D’altra parte all’iper attivismo nella decretazione d’urgenza fa da contraltare un governo che procede a rilento nella produzione normativa. Finora sono state infatti approvate 24 leggi, con una media esatta di 4 al mese, la cifra più bassa negli ultimi quindici anni. Il raffronto con i precedenti governi è significativo. Con Matteo Renzi a Palazzo Chigi si veleggiava a un ritmo medio di 7,6 nuove norme ogni mese, ma anche Draghi ha fatto varare 7,3 norme al mese, seguito da Mario Monti con una media di 7,1. Meno produttivi, ma comunque davanti al governo Meloni, il primo esecutivo di Conte e quello di Letta con una media di 4,6 provvedimenti al mese.
© Riproduzione riservata