Il gruppo dirigente approva la fase costituente proposta dal segretario uscente Enrico Letta, ci sono sedici astenuti e un contrario. Primarie il 12 marzo 2023. Ma da qui ad allora il «percorso» in quattro fasi e soprattutto la «chiamata» rivolta ai soggetti esterni e della partecipazione dei non iscritti nel giudizio di molti resta confuso.
Alla fine della riunione della direzione, la proposta del congresso che fa Enrico Letta passa a maggioranza. Chiede un «percorso costituente per il nuovo Pd» con l’obiettivo di «apertura vera e reale; rinnovamento; partecipazione. «Dobbiamo essere un partito più moderno e un gruppo dirigente, un segretario o una segretaria, che deve uscire dal percorso con una legittimazione forte che consenta di fare questa lunga traversata del deserto». Parte così il congresso del Pd. Il primo atto in realtà Letta ha voluto che fosse, a cento anni dalla Marcia su Roma, una commemorazione di Giacomo Matteotti, davanti al monumento che a Roma ricorda il luogo in cui fu rapito il primo martire del fascismo.
Ma per una volta, fra tante votazioni fatte all’unanimità negli scorsi anni, si fa avanti un drappello di astenuti, sedici, e un contrario, quasi tutti della sinistra interna. Non votano no per ragioni diverse che vanno dalla cortesia nei confronti del segretario a evitare una spaccatura sgradevole e pure inefficace, forse anche per non certificare una prima vittoria dei “riformisti” e cioè di quelli per i quali va bene il “Congresso costituente per il nuovo Pd”, ma sei mesi di dibattito bastano e avanzano.
Primarie il 12 marzo
I gazebo delle primarie aperte, mai aperte come stavolta, dunque si svolgeranno il 12 marzo 2023. Ma per arrivarci il percorso del congresso sarà un po’ diverso da quelli precedenti. Sarà avviato con un «Appello alla partecipazione» che dovrebbe arrivare il 7 novembre (la coincidenza con la data della Rivoluzione sovietica è casuale quanto spiritosa). Entro il 18 novembre l’Assemblea nazionale deve approvare le deroghe allo statuto che servono a modificare le regole con cui stavolta si va al voto.
«La prima fase del percorso costituente», dice il documento, «dovrà avere termine entro il 22 gennaio 2023, con l’approvazione del Manifesto dei valori e dei princìpi, l’indizione del Congresso nazionale costituente, l’approvazione del Regolamento per il Congresso e la nomina della Commissione per il Congresso da parte dell’Assemblea nazionale costituente». Le candidature saranno presentate entro il 28 gennaio 2023.
Entro il 26 febbraio «si discutono le piattaforme politico-programmatiche con il voto degli iscritti sulle candidature a Segretario/a nazionale». Il voto dei gazebo, il 12 marzo, sarà fra i primi due votati dal voto degli iscritti. «Prendo su di me il ruolo delicato di arbitro nel congresso ma anche contemporaneamente di guida dell’opposizione al governo», assicura Letta nella replica. Il segretario di fatto un voto di fiducia: «Il percorso proposto tiene conto della complessità della situazione che stiamo vivendo. Invito tutti a leggere bene lo statuto del nostro partito, che non ho scritto io. Se non facciamo il percorso che ho proposto, il percorso congressuale sarà molto più complicato. Vi invito a fdarvi di chi lo statuto lo ha letto, lo ha studiato. La proposta che ho fatto e' una proposta di sintesi». Lo statuto, spiega a chi nel dibattito ha chiesto tempi più distesi e una discussione più approfondita, detta precisi «limiti di tempo».
I nuovi iscritti
E qui siamo alla novità più forte. Dice il dispositivo che possono prendere parte al processo costituente: «gli iscritti al Partito Democratico al 2021 che abbiano rinnovato l’adesione per l’anno 2022, nonché i nuovi iscritti entro la data di celebrazione dei congressi locali»; «gli iscritti ai partiti e movimenti politici, alle associazioni e ai movimenti civici che con deliberazione dei propri organismi dirigenti aderiscano al processo costituente»; «I cittadini che affermano la volontà di partecipare al processo costituente, sottoscrivendo l’appello alla partecipazione con una adesione certificata, anche nella modalità on line». Per votare bisognerà versare la cifra simbolica di un euro.
Ma non convince tutti
Fra i primi a intervenire è l’ex senatore Luigi Zanda. Che rende omaggio a Emanuele Macaluso, grande dirigente sindacale e comunista, scomparso nel gennaio del 2021 e sempre critico delle modalità di fondazione di un partito, il Pd «nato troppo in fretta e senza una identità politica». Il Pd ha avuto ben quattro segretari eletti dalle primarie che non hanno finito il loro mandato, e non può essere un caso, spiega Zanda, oggi «la crisi del Pd è così grave» che rende necessaria «una rigenerazione, se non ne fossimo capaci chiunque verrà eletto sarà insufficiente». Ma è difficile «che entro l’inverno si possa completare un congresso costituente», «prenderci in tempo che ci serve e una vera conferenza nazionale che approfondisca il senso della nostra presenza politica per una iniziativa di coltura politica». Che è una proposta ripresa da Sandra Zampa (che parla di «un gruppo di saggi che apra tavoli di confronto e acquisisca materiali») e poi da Gianni Cuperlo («O decidiamo che una rifondazione va pensata e gestita come si deve, a partire dai tempi, dal coinvolgimento dei tanti disillusi e con regole che – nel segno di una vera costituente – alla fine del percorso garantisca solo a chi vi aderisce di scegliere la nuova leadership. E allora sia Enrico o una segreteria di transizione ad assicurare un processo ordinato»). Serve «una grande assemblea aperta» anche per Peppe Provenzano, il vicesegretario, che chiede di inserirla nel dispositivo finale.
Ma a spingere molto più in là questo ragionamento, l’apertura e il chiarimento dell’identità del Pd, non sono pochi. Come Marco Miccoli, zingarettiano ed ex segretario romano per il quale non serve «un congresso ordinario», un partito che si è trasformato in «un trituratore industriale di segretari» ha bisogno di «un percorso vero, anche duro e di scontro». Miccoli cita alcuni dei temi su cui su cui nel Pd evidentemente esistono linee politiche diverse, che costringono il partito a «un balbettio» che «non è colpa del segretario ma della nostra natura». L’esempio che fa è il «jobs act», legge del governo Renzi oggi sconfessata da Letta, con grandi malumori interna: «O facciamo atti concreti o facciamo finta di piangere quando muore un rider che da morto viene licenziato da un algoritmo». «Non ci possono essere due partiti nel Pd», avverte anche Provenzano.
Serve un chiarimento, dunque. Ma rischia di provocare una scissione. Prova a mediare Marina Sereni, «l’opposizione ci aiuterà a far maturare le nostre posizioni anche sui punti critici il nostro profilo. Restiamo insieme anche se abbiamo sensibilità diverse».
Il rapporto con M5s
Sullo sfondo della discussione, ma neanche tanto, c’è la «tenaglia» in cui è stretto il Pd anche all’opposizione, tra Cinque stelle e Terzo Polo che da destra e sinistra vogliono «spolpare il Pd», espressione ricorrente nel dibattito di stamattina, fino all’Opa ostile del movimento di Conte. Che non deve essere inseguito a sinistra, secondo l’ex presidente Matteo Orfini, secondo cui «un pezzo del gruppo dirigente ha un rapporto tossico con i Cinque stelle». La vera fase costituente «sarà l’opposizione, e il congresso serve a mettere partito nelle condizioni di fare opposizione».
Il primo passo di Stefano Bonaccini
Fra gli ultimi a intervenire è il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini, possibile candidato, e nel caso il favorito. «La rigenerazione con la società la facciamo nella società», avverte, «non nei convegni», l’opposizione «la facciamo nelle amministrazioni e nelle regioni dove governiamo», «dobbiamo metterci in moto subito, ma più che definire una cornice dobbiamo definire i contenuti, le persone quando vanno a vedere i quadri non vanno a vedere le cornici».
Prima aveva parlato Andrea Orlando, leader della sinistra interna. Il suo intervento entra dentro l’agenda dell’opposizione. Difficile fare opposizione, ammette parlando di «redistribuzione» quando «da anni riteniamo che il fisco sia un tabù, se pensiamo che l'intervento pubblico sia una bestemmia, se pensiamo che il tema della governance delle imprese debba essere lasciato così com'è».
Per questo la fase costituente non lo convince, almeno nei termini in cui l’ha proposta il segretario: «Stiamo provando a dire ad altri "venite e partecipate", ma possiamo dire "discutiamo di tutto" ma sostanzialmente il meno possibile della forma partito?», «Se si chiamano persone che hanno votato il Pd, ma anche che non lo hanno votato e guardano con interesse al nuovo Pd, bisogna anche consentirgli di discutere su quali sono le regole organizzative che definiranno la forma partito», «Se questa questione viene messa da una parte non stiamo facendo una vera costituente, che non stiamo costruendo um nuovo partito, ma semplicemente provando a fare un restyling di quello che c'è».
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