Dopo i malumori per il no alle armi a Tel Aviv pronunciato dalla segretaria alla Camera il Pd rischia nuovi dissensi. Anche se ha già votato sì al riconoscimento nel 2015
È quiete prima della tempesta, nel Pd. I dissensi interni sulle dichiarazioni di Elly Schlein contro l’export di armi verso Israele in queste ultime ore sono stati rapidamente sovrastati, forse anche un po’ tacitati, dalla polemica dei vertici dem contro la destra che ha nominato Luca De Fusco nuovo direttore generale del teatro di Roma, scatenando ricorsi e la protesta di autori e attori. Ma la questione mediorientale resta il prossimo nodo interno da sciogliere. E serve tempo per riportare un po’ di serenità nel partito, dopo le frasi della segretaria che hanno preoccupato diversi dirigenti. Da molti sono state lette come un posizionamento politico. Anche perché in Italia la legge già vieta di esportare armamenti verso i paesi in guerra. I più vicini a Elly Schlein hanno spiegato che il riferimento era più generale, ai paesi europei. La Germania, per esempio, vende armi a Tel Aviv.
Ma la storia rischia di non finire qui. Il prossimo 29 gennaio alla Camera dovrebbe arrivare una mozione Pd che contiene, oltre alla richiesta di un’azione più incisiva per il cessate il fuoco e per la pace in quella regione, anche un nuovo forte impulso verso la soluzione “due popoli due stati”; e in questo contesto anche la richiesta che l’Italia riconosca lo stato di Palestina. A proporla, il mese scorso, è stato il responsabile Esteri Peppe Provenzano, nei giorni successivi al suo ritorno da una missione dei Socialisti e democratici europei dalle zone di guerra.
Una richiesta “pacifica”, aveva spiegato lì per lì lo stesso Provenzano. Del resto il parlamento italiano l’ha già votato nel 2015, approvando non una ma due mozioni in questa direzione: quella del Pd appoggiata dall’allora Sel, e quella dei centristi di Ncd e Udc e Scelta civica. C’erano sfumature diverse nei due testi, ma per entrambe il governo Renzi si era espresso a favore. Dunque per il Pd oggi non sarebbe praticabile una marcia indietro. Tanto più che nelle scorse settimane il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, alle cui posizioni Elly Schlein si avvicina sempre più, ha invitato tutti i paesi a farlo: ricordando che, nonostante lo stato palestinese sia riconosciuto da più di 130 stati, alcuni paesi occidentali non lo riconoscono ufficialmente.
Adesso però, con la guerra in corso, in Italia le condizioni politiche per affrontare questo discorso potrebbero essere cambiate. Forse anche nel Pd. Il testo dem è in fase di elaborazione. E sarà necessario un confronto interno fin nel dettaglio per evitare quello che in queste ore sembra comunque inevitabile: e cioè nuovi distinguo, e nuovi malumori. O, forse peggio, nuovi silenzi carichi di tensione.
Una tensione che al fondo ha un’origine che non ha molto a che vedere con la crisi mediorientale ma più con l’incertezza causata dalla scelta della segretaria di tirare per le lunghe l’annuncio se correrà o meno per Bruxelles, con conseguenze a cascata nelle liste sui territori. Prossima data possibile, il lancio della campagna per le europee a Cassino il prossimo 27 gennaio.
Per non replicare le divisioni sulle risoluzioni per l’Ucraina, presto sarà convocata una riunione dei deputati. Ma a ieri non c’era una data. Intanto Giuseppe Conte, che già Schlein ha seguito sul no alle armi a Tel Aviv, ha ricordato che anche su questo lui è arrivato prima: contro le morti dei civili a Gaza, ha detto, «esiste un’unica strada, è la stessa da mesi: voce e azioni forti contro la carneficina a Gaza; impegno di tutti per la soluzione due popoli e due Stati per Israele e Palestina. La sveglia – a suon di sangue e morti – è suonata da tanto, troppo tempo».
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