Il compromesso della ministra Lamorgese è pronto da agosto, ma è stato congelato per timore di perdere voti. Il segretario del Pd Zingaretti dice «adesso cambiamo», i Cinque stelle tacciono
- Il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti propone di cambiare i decreti sicurezza. Della stessa idea anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Silenzio invece dai Cinque Stelle.
- In estate gli sbarchi si sono intensificati e la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese lamenta la mancanza di indicazioni condivise da parte del governo.
- Il nuovo decreto immigrazione è già pronto ed è il frutto di un tavolo delle forze di maggioranza. Da mesi però è chiuso in un cassetto a palazzo Chigi.
«Ora cambiamo i decreti sicurezza» ha detto il segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti, all’indomani del voto in cui il suo partito ha potuto intestarsi sia la vittoria del Sì che il successo di aver fermato l’avanzata del centrodestra in Toscana e Puglia. Gli ha fatto eco il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, generalmente cauto nel prendere le parti di uno dei due partiti della sua maggioranza: «È il momento di riprendere il discorso sulle modifiche ai decreti sicurezza». Di più: «Abbiamo già concordato un testo, presto lo porteremo in Consiglio dei ministri». È il segno che i pesi all’interno del governo stanno cambiando. Soltanto silenzio, invece, è arrivato dalla compagine Cinque stelle, tutta presa dai dissidi interni e senza una leadership chiara. L’ultima posizione sui decreti approvati nel 2019 dal governo Lega-Cinque stelle e voluti dall’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, è quella dell’ex capo politico, Luigi Di Maio. In agosto, Di Maio diceva a Repubblica che «non ha senso parlare di modifiche ai decreti Sicurezza; vanno tenute in considerazioni le osservazioni del Capo dello Stato ma senza rivedere le linee di principio». Ora, però, i tempi politici sembrano maturi, in particolare per il Pd che, senza scadenze elettorali prossime, non teme più che un intervento su un tema divisivo come l’immigrazione possa penalizzare i suoi candidati sul territorio.
La gestione tecnica
La ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, lamenta da mesi una mancanza di indicazioni condivise da parte del governo. Nel corso dell’estate gli sbarchi si sono intensificati - è del 30 agosto l’arrivo a Lampedusa di circa 450 migranti e di altri 1000 nel corso dei giorni precedenti – e la gestione del flusso è stata complicata dal Covid. Il Viminale ha optato per una gestione strettamente tecnica del flusso: ha inviato le navi per la sorveglianza sanitaria dei migranti e per il trasferimento a terra. A mancare, però, è stata una linea politica nella regolamentazione dei flussi, in particolare per alleggerire la pressione sulla Sicilia e per gestire la redistribuzione nelle altre regioni. Ora il momento sembra arrivato.
I testi da modificare sono due. Il primo è il decreto sicurezza entrato in vigore nell’ottobre 2018, che interviene sul sistema dell’accoglienza abolendo il permesso di soggiorno per motivi umanitari e prevede l’estensione del trattenimento nei Centri di permanenza per il rimpatrio fino a 180 giorni, oltre a una nuova lista di reati che comportano la revoca dello stato di rifugiato. Il secondo è il decreto sicurezza bis, approvato nell’agosto 2019 pur con i rilievi del presidente Mattarella, che modifica le norme sugli sbarchi dei migranti soccorsi in mare. In questo testo, si vieta l’ingresso in acque territoriali italiane a navi che violano le leggi italiane in materia di immigrazione (è stato il caso della nave ong Open arms); sono previste multe per i comandanti delle navi che violano i divieti e la confisca delle imbarcazioni. Salvini la chiamava «la politica dei porti chiusi». Il 9 luglio, la Corte costituzionale ha già abrogato una parte del primo decreto sicurezza, dichiarando incostituzionale la norma che esclude i richiedenti asilo dall’iscrizione anagrafica. Secondo i giudici, la previsione violava l’articolo 3 della Costituzione, che sancisce l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, perché rende impossibile ai migranti l’accesso ai servizi sociali e la richiesta di un documento di identità.
I rilievi di Mattarella
Il nuovo decreto immigrazione è già pronto ed è frutto di un tavolo delle forze di maggioranza coordinate dalla ministra Lamorgese, ma giace da mesi in un cassetto di palazzo Chigi. È quello a cui si riferisce il premier Conte, quando parla di un testo già concordato da portare in Consiglio dei ministri. Il decreto recepisce le osservazioni del Quirinale al momento della promulgazione dei decreti sicurezza sull’irragionevolezza delle sanzioni amministrative con multe milionarie alle navi delle ong, del sequestro obbligatorio dell’imbarcazione e delle norme sull’oltraggio a pubblico ufficiale. In agosto, Lamorgese ha definito la riforma messa a punto dal Viminale come un ritorno alla situazione pre decreti sicurezza. La bozza dovrebbe prevedere anche il ripristino del permesso di soggiorno per motivi umanitari e del sistema di accoglienza, in modo che i richiedenti asilo divenuti irregolari tornino «in un circuito di accoglienza identico a quello che oggi è riservato a coloro che sono titolari di protezione umanitaria»; la riduzione dei tempi di permanenza nei Centri per il rimpatrio; l’abrogazione della revoca della cittadinanza nel caso di alcuni reati connessi con il terrorismo.
Si è trattato di un delicato compromesso politico tra la linea del Pd, in cui una parte del partito e in particolare il deputato Matteo Orfini chiedeva l’abrogazione dei due decreti di Salvini, e quella dei Cinque Stelle, che non erano disposti a sconfessare i decreti che avevano votato durante il Conte I.
Un compromesso, però, che era frutto dei rapporti di forza pre elezioni regionali. Ora, invece, i democratici potrebbero voler andare oltre il ripristino della situazione pre decreti sicurezza, rivendicando un cambio di direzione più netto rispetto alle norme simbolo del salvinismo.
© Riproduzione riservata