L’ultimo accordo (non necessario) con il governo delegittima definitivamente il cda del teatro che martedì sarà messo di fronte alla decisione del governo. Le mosse del sottosegretario
La partita della Scala è chiusa. Il governo ottiene ciò che voleva e il sindaco Beppe Sala esce sconfitto dal tentativo di barattare il destino del teatro con il suo futuro. Lunedì scorso il consiglio d’amministrazione aveva fermato il piano del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano per sostituire il sovrintendente in scadenza, Dominque Meyer, con Fortunato Ortombina. Invece di un avvicendamento è stata proposta la proroga di un anno per il direttore uscente. La situazione sembrava irrimediabilmente compromessa. Fino a un nuovo intervento di Federico Freni.
Il leghista, sottosegretario al ministero dell’Economia e melomane incallito, sarebbe l’uomo a cui Sangiuliano ha affidato il compito, tutt’altro che semplice, di trovare una soluzione. Alla fine comune e governo si sono accordati: Ortombina si insedierà subito come sovrintendente, come voleva il ministro, mentre il direttore musicale della Scala, Riccardo Chailly, rimarrà in carica fino al 2027, quando gli subentrerà Daniele Gatti.
La decisione sarà ratificata dal cda convocato martedì prossimo. Restano i dubbi sui motivi per cui il sindaco di Milano, presidente del cda del teatro, abbia voluto concedere al ministero della Cultura uno spazio che per statuto non avrebbe. Aprire una trattativa è una scelta peculiare visto che la Scala non ha bisogno dell’autorizzazione ministeriale per la scelta del sovrintendente. A differenza di altre realtà la fondazione si è infatti conquistata anni fa una propria autonomia rispetto al governo. Sia per la sua natura particolare sia per le garanzie economiche che arrivano dagli sponsor diluendo l’impatto del contributo del ministero.
Per avere prova dell’indipendenza scaligera, basta sfogliare lo statuto dove, all’articolo 10, quando si illustra la procedura per l’individuazione del sovrintendente, si attribuisce al cda il potere di «nominare» e «revocare». Nelle fondazioni dove invece serve il via libera del ministro della Cultura si utilizza il verbo «proporre».
Ricerca di una sponda
Insomma, Sala è andato a cercare un alleato di cui non aveva bisogno. Tanto che raccontano che nel 2019, all’allora ministro Dario Franceschini, non era arrivata nemmeno una telefonata prima della nomina di Meyer. Peraltro il sindaco oggi si trova di fronte un cda non ostile: i due rappresentanti del ministero risalgono ancora all’èra Franceschini. Non proprio un clima da guerra di trincea. L’autonomia del teatro era stato una conquista importante, accolta con entusiasmo quando era stata ottenuta e introdotta nello statuto. Se Sangiuliano ha stravinto, i nemici di Sala ora sostengono che il sindaco abbia creato un pericoloso precedente che autorizzerà tutti i futuri ministri della Cultura a mettere becco sulla scelta dei futuri sovrintendenti.
Ma anche il resto della trattativa si è mossa lungo binari inusuali. La ragione dell’atteggiamento di Sala andrebbe cercata nelle sue ambizioni politiche: in molto spiegano che sogna di ottenere la presidenza dell’Anci, dove serve un consenso anche tra i primi cittadini di destra. Un rapporto solido con Sangiuliano potrebbe essergli utile anche per le prossime nomine dei musei milanesi.
A Sangiuliano, dal canto suo, l’apertura di Sala ha offerto l’occasione per piazzare un nome non organicamente di destra come Ortombina, ma molto ben visto dalle parti di Forza Italia. Dopo il primo stop a sopresa del cda, però, il ministro non ha voluto mettere di nuovo la faccia sul dossier e ha chiesto un intervento di Freni, per non esporre il Collegio romano ad altri sgambetti da parte degli amministrtori de La Scala.
Una procedura non proprio liturgica, ma c’è chi legge nelle mosse di Freni, che spesso svolge il ruolo di Mr Wolf nel governo lavorando lontano dai riflettori, anche la volontà della Lega di mettere una fiche su una questione squisitamente lombarda.
A esser stato ancora una volta protagonista nella vicenda è stato Giovanni Bazoli. Membro del cda e influente suocero di Sala, aveva prima sostenuto il via libera del sindaco a Ortombina salvo poi provare a puntare i piedi in cda per strappare un rinnovo per Meyer. Adesso i bene informati vedono lui dietro il nuovo accordo con Freni, che impone sì Ortombina, ma lascia in sella Chailly, in buoni rapporti con il banchiere.
Insomma, Freni – che ha incontrato mercoledì sera Sala e oggi, secondo quanto si dice alla Scala, avrebbe un appuntamento con Meyer – avrebbe negoziato un accordo che salva capra e cavoli, almeno per quanto riguarda governo e stakeholder. Difficile capire quanto sia andato invece in porto il piano del sindaco di crearsi una sponda solida a destra. Alla Scala alla fine invece andrà un sovrintendente di buon livello, concordano gli osservatori. Ma che il teatro sia finito nel mezzo di una trattativa – peraltro non necessaria – come merce di scambio non è una scelta che i milanesi dimenticheranno facilmente.
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