Per avere la certezza dell’elezione sua e di Agnes, Rossi ha assecondato le richieste dell’ex premier. Che vuole indicare un nuovo direttore e attaccare l’ultimo fortino del Pd
Il Tg3 è sotto attacco. Giuseppe Conte e i suoi hanno definito il prezzo del loro sostegno, l’ennesimo, ai piani dei meloniani in Rai. Il Movimento 5 stelle ha messo nel mirino la poltrona del direttore Mario Orfeo e, verosimilmente, l’avrà, a valle della nomina di Giampaolo Rossi come prossimo amministratore delegato di viale Mazzini.
Che l’ex premier abbia sempre avuto uno stile piuttosto spregiudicato nelle trattative per la lottizzazione del servizio pubblico è noto, e il suo atteggiamento gli ha fatto guadagnare per i suoi una lunga serie di poltrone e conduzioni: per accontentarlo si è arrivati addirittura a inventare un terzo condirettore per la Tgr.
Stavolta il boccone è ancora più ghiotto. È da tempo che il M5s non nasconde le proprie ambizioni, ma con una certa serenità il Pd, e anche i vertici viale Mazzini, hanno sempre informalmente fatto capire che il Tg3 è e rimane a disposizione dei dem.
Quell’equilibrio potrebbe essere incrinato dalle prospettive dell’avvicendamento tra Rossi e Roberto Sergio sulla poltrona di amministratore delegato. Dall’azienda sminuiscono indicando come priorità assoluta, per politica e management, l’insediamento di Rossi. Ma è vero che, per portare a casa l’operazione Rai la destra deve muoversi compatta.
C’è dunque bisogno della garanzia che Forza Italia abbia la sua parte. Con ogni probabilità il partito di Antonio Tajani, dopo le europee, sarà la seconda forza della coalizione e, per questo motivo, ambisce alla presidenza della Rai: la candidata c’è già da tempo e si chiama Simona Agnes.
Per l’elezione della beniamina di Gianni Letta c’è però bisogno dell’appoggio dei due terzi della commissione di Vigilanza Rai e, alla destra ora come ora, mancano una manciata di voti che facilmente si potrebbero recuperare dal gruppo Misto o conquistando qualche franco tiratore.
Andare sul sicuro
Ma Rossi non vuole sorprese, per sé e per la presidente. E dunque ha bisogno dei Cinque stelle. Gli serve il voto del consigliere d’amministrazione d’area, quell’Alessandro di Majo che non ha mai fatto mancare il suo appoggio alle iniziative della governance meloniana nell’ultimo anno, e ora dovrebbe avallare la sua nomina ad amministratore delegato.
E servono anche i voti dei grillini, a favore di Agnes, in commissione Vigilanza. Anche perché l’appuntamento sarà dopo le europee, con la maggioranza che potrebbe trovarsi a gestire qualche problema in più se il risultato leghista dovesse essere deludente.
I quattro rappresentanti del M5s (più la presidente Barbara Floridia) hanno già votato a favore del contratto di servizio steso dalla destra – all’epoca a stretto giro era arrivata la nomina del terzo condirettore della Tgr Roberto Gueli – e disinnescherebbero ogni velleità dei salviniani di mettersi di traverso.
Sicurezza M5s
E allora, meglio andare sul sicuro. E assicurarsi l’appoggio dei Cinque stelle in cambio del telegiornale che resiste in termini di telespettatori anche in un quadro di calo generalizzato degli ascolti della Rai, per altro in un palinsesto di rete che non lo agevola, anzi.
A valle di questo ragionamento non stupisce la presenza di Conte e del consigliere d’amministrazione di Majo alla festa di compleanno per i sessant’anni del direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci, storico amico di Meloni (che però alla festa non c’era, esattamente come Rossi) di sabato scorso.
La sua partecipazione aveva fatto scalpore soprattutto considerato il contrasto con i dem, che non si erano invece fatti vedere (complice anche la campagna del Pd lanciata proprio quella sera contro il Tg1, che avrebbe fatto desistere più di qualcuno all’ultimo minuto). Alla luce dell’accordo M5s-FdI sul futuro del Tg3 e della situazione di rottura forse definitiva del fronte giallorosso sembra tutto più chiaro: se ciascuno gioca per sé, è il ragionamento, Conte è ancora più libero di prima di accordarsi con chi vuole, anche con quelli che dovrebbero essere i suoi avversari politico.
Che poi si tratterebbe di un’operazione complicata è un altro paio di maniche. Al di là della ricerca del nome con cui sostituirlo (si parla dell’ex direttore del Tg1 Giuseppe Carboni e Simona Sala), Orfeo è figura tutt’altro che facile da spostare: l’ultimo che ci aveva provato, l’ex ad Carlo Fuortes, era dovuto tornare sui suoi passi nel giro di pochi mesi, dopo avergli proposto la direzione degli approfondimenti.
Difficile anche che il Pd molli la casella che gli appartiene storicamente senza battere ciglio. Ma a tutto questo si penserà poi: intanto ci sono i nuovi vertici da piazzare.
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