Se a febbraio arrivasse un nuovo presidente del Consiglio cambierebbe anche la squadra di governo. Almeno in parte. Sarebbe uno degli effetti collaterali dell’elezione di Mario Draghi al Quirinale, sulla quale ieri Matteo Renzi ha ricominciato a scommettere con la sua newsletter. Quello del leader di Italia viva è fin qui un percorso zigzagante, modellato sui posizionamenti degli altri. In questo caso probabilmente sull’apertura di Enrico Letta alla disponibilità del premier. Il borsino di palazzo invece dà in ascesa Pier Ferdinando Casini, omaggiato anche dalla “profezia” di Umberto Bossi.

Ieri dalla sede del Pd filtrava «soddisfazione» per un sondaggio di Emg per la Rai che dà il partito al 20,5 per cento nelle intenzioni di voto degli italiani, oltre un punto di distacco da Fratelli d’Italia (al 19,4) e ben due dalla Lega (al 18,5). «Sono risultati raggiunti grazie a unità e umiltà, e al non essere ricaduti negli errori e nei personalismi del passato», spiegano i vertici dem. Ma il 2022 per Letta si aprirà con la partita politica del Colle. E il suo possibilismo sull’elezione di Draghi, per ora, non sembra aver entusiasmato i suoi. Paura del voto anticipato, ma non solo.

Nelle incertezze di questi giorni, fra i democratici si fa strada un unico punto fermo: se cambiasse il governo, Letta non si farebbe mettere fuori gioco, come di fatto è successo nel febbraio 2021 all’allora segretario Nicola Zingaretti. Proporrebbe di sostituire uno o forse due dei ministri dem con una o forse due donne, probabilmente scelte nella rosa di quelle con cui in questi mesi ha lavorato meglio: da Simona Bonafé a Roberta Pinotti a Lia Quartapelle.

Il riequilibrio di genere, del resto, è uno dei mandati della sua segreteria. Appena insediato, nel marzo scorso, ha sostituito i capigruppo di Camera e Senato Graziano Delrio e Andrea Marcucci con due donne, Debora Serracchiani e Simona Malpezzi. Passate le polemiche interne, oggi chi lavora con Letta sottolinea l’ottimo rapporto del leader con le due presidenti. Poi, alle amministrative, la palla è passata ai partiti locali e le candidature femminili sono state prossime allo zero. Ma dove ha potuto l’attuale segreteria ha favorito donne: come nei congressi territoriali in corso e come a Roma, per le suppletive del 16 gennaio, dove corre Cecilia D’Elia, portavoce della Conferenza delle democratiche. Andrebbe così anche nel caso di un nuovo governo. Letta presenterebbe la scelta come ovvia e conseguente ai princìpi su cui è stato eletto alla guida del Pd.

Un motivo per restare

AP

Emergenza, continuità, stabilità, ruolo dell’Italia in Europa. Nelle trincee interne dem si accumulano le cartucce con cui i gruppi parlamentari sosterranno l’opportunità di mantenere Draghi a palazzo Chigi. Succederà il 13 gennaio all’appuntamento congiunto con la direzione (peraltro composta per un quarto da senatori, deputati ed eurodeputati). Per una volta senza distinzione di corrente. In questi giorni i tre ministri parlano poco, e non parlano di questioni quirinalizie.

Non parla il titolare della Difesa Lorenzo Guerini, anche se fra i suoi ormai si ragiona sulla «probabilità» crescente dell’elezione di Draghi. Dall’area di Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, è arrivato l’elogio del senatore Franco Mirabelli sull’azione di Draghi sul Pnrr («Abbiamo bisogno ancora di una lunga fase di stabilità di governo perché il lavoro non è finito»). E ieri Andrea Orlando, ministro del Lavoro, ha consegnato alla Stampa la sua preoccupazione per «il rischio di interruzione della legislatura».

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