- La legge che introduceva il suicidio assistito è uno degli esempi principali del fallimento: passata alla camera, dopo un lungo iter, è finita su un binario morto al senato.
- L’ennesima sconfitta si è materializzata sulla riforma della cittadinanza per gli stranieri. La prima proposta risaliva al 2018, ma non è arrivata l’approvazione dello ius soli né dello ius scholae.
- Il mosaico del fallimento sui diritti civili si completa con un altro pezzo, il ddl Zan. Il segretario del Pd Enrico Letta aveva promesso battaglia, ma la legge è stata affossata a Palazzo Madama
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Il bilancio della legislatura si chiude con lo zero alla voce diritti civili. Un dato inappellabile. Dalla riforma della cittadinanza per gli stranieri alla legge sul fine vita, nessuna norma è stata approvata. E questo non lascia presagire cambiamenti almeno per i prossimi cinque anni: se il parlamento, come annunciano i sondaggi, sarà a maggioranza di centrodestra, la loro approvazione è impensabile.
Del resto non è stato fatto niente negli ultimi anni in cui c’è stato prima il governo Conte bis, con un’alleanza di centrosinistra più il Movimento Cinque stelle, e poi l’esecutivo di Mario Draghi, che all’interno aveva comunque al suo interno tutte le forze progressiste.
Un’occasione persa, anzi una serie di chance non sfruttate, soprattutto dal Partito democratico che si presenterà agli elettori sventolando queste bandiere. Ma con un consuntivo deficitario.
Pantano parlamentare
La legge sul fine vita è uno degli esempi principali: licenziata dalla camera, è finita su un binario morto al senato. Il testo introduceva il suicidio assistito (comunque lontano dall’eutanasia legale chiesta dal referendum bocciato dalla Corte costituzionale) con la possibilità di scegliere una morte volontaria dopo aver terminato un percorsi di cure palliative e in presenza di una «prognosi infausta».
Il provvedimento ha avviato l’iter in commissione a Montecitorio nel giugno dello scorso anno, mentre la discussione in Aula è iniziata a dicembre. Solo il 10 marzo c’è stato il via libera con il passaggio a palazzo Madama, dove si è però fermato alla fase delle audizioni informali.
L’ultima è datata 4 luglio. La crisi di governo ha affossato il tutto. Sul tema c’era anche la proposta di legge popolare del 2013, ma dall’associazione Luca Coscioni fanno sapere che «non sarà più valida, perché sono passate due legislature senza alcuna discussione».
Così c’è chi adesso prova a fare da sé, come la Regione Marche: il gruppo del Pd ha raccolto l’appello lanciato proprio dall’associazione Coscioni per dare piena esecuzione alla sentenza sulla caso di dj Fabo e sul ruolo di Marco Cappato.
Una sfida che rischia di diventare l’esempio di cosa potrà accedere nella prossima legislatura: la giunta marchigiana è guidata dal centrodestra, a trazione Fratelli d’Italia.
Sui diritti civili un’altra sconfitta, l’ennesima, si è materializzata sulla riforma della cittadinanza per gli stranieri: non è arrivata l’approvazione dello ius soli né dello ius scholae.
La legge è stata presentata nel 2018 da Laura Boldrini e l’esame in commissione è cominciato nell’ottobre di quell’anno. Ma per oltre tre anni e mezzo il dibattito è finito in stand-by.
In mezzo c’è stata l’esperienza della maggioranza giallorossa, che ha ignorato la riforma, nonostante avesse i numeri per portarla avanti. Solo a marzo 2022 il relatore del testo Giuseppe Brescia, deputato del Movimento 5 Stelle, ha tentato una soluzione più condivisa possibile, introducendo il principio dello ius scholae.
L’obiettivo era quello di consentire la richiesta per la cittadinanza ai bambini arrivati in Italia prima di aver compiuto 12 anni, con alle spalle un ciclo scolastico di almeno 5 anni. Il provvedimento è approdato in assemblea a Montecitorio solo a fine giugno, trovando il ferreo ostruzionismo del centrodestra, con la Lega capofila.
Così, nonostante le promesse del Pd di portare avanti la battaglia, era stato rinviato tutto a settembre. I tempi sarebbero stati troppo stretti e il via libera una missione impossibile.
Pure la cannabis
Stesso destino è stato condiviso dalla legge sulla cannabis: dietro l’impulso delle firme raccolte per il referendum, il parlamento si era dato una mossa. La proposta iniziale, del 2019, è stata firmata dal deputato di +Europa, Riccardo Magi, ma l’adozione del testo è maturata nel 2021, sotto la spinta del testo predisposto dalla deputata del Movimento, Caterina Licatini.
Durante il Conte bis, quindi, né il Pd né il Movimento hanno pensato di mettere mano al dossier. Il voto in commissione alla camera c’è stato solo a giugno 2022, poche settimane fa. L’approdo in aula ha però incrociato il fuoco di fila leghista, che ha segnato un altro ko per il partito di Enrico Letta e l’intero centrosinistra, incluso il M5s. Il confronto è stato rimandato sine die.
Il mosaico del fallimento della legislatura sui diritti civili si completa con un altro pezzo, il ddl Zan che inaspriva sulla violenza o la discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere. L’iter alla camera è iniziato nel maggio 2018 con il deposito della proposta e l’approvazione in prima lettura nel novembre del 2020. Ma quando è arrivato al senato, c’era già la maggioranza di unità nazionale. Con il centrodestra ostile alla proposta.
Così nell’ottobre del 2021 l’iniziativa del deputato del Pd è stata affossata a causa dei franchi tiratori che hanno colpito con precisione. Mandando in frantumi la possibilità di far passare almeno una legge sui diritti civili in questi anni.
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