- Per il numero due del Pd «il Primo Maggio non è una festa finché va avanti la strage dei morti sul lavoro, ma non è vero che non abbiamo fatto nulla». Sul fisco «la destra fa sceneggiate, bisogna aiutare le fasce più deboli».
- «Abbiamo aiutato le imprese, giustamente, dovevamo salvare il tessuto produttivo. Ora, porre la questione dei salari non è un ricatto ma la priorità».
- «Il campo largo con i Cinque stelle serve ancora di più, alle amministrative fa la differenza. Ma da tempo ho posto la questione del proporzionale: il Pd può perseguire meglio la sua vocazione maggioritaria».
Peppe Provenzano, lei è vicesegretario di un Pd che in questi giorni parla molto di lavoro. Ma i morti sul lavoro sono ancora cifre di una guerra. Scusi la brutalità: siete da tre anni al governo e non è cambiato niente?
Il Primo Maggio non sarà una festa fin quando la cronaca ci restituirà questa strage quotidiana. Ma non è vero che non è cambiato nulla. Abbiamo assunto i nuovi ispettori, inasprito le sanzioni, garantito le stesse regole lungo tutta la filiera degli appalti e il migliore contratto sui cantieri dell’edilizia. Non basta, bisogna fare di più sul fronte della prevenzione. Deve passare l’equazione che insicurezza sul lavoro equivale a illegalità. Il presidente Mattarella ha usato parole solenni. Non possiamo dirci soddisfatti finché non raggiungeremo l’obiettivo di “Zero morti sul lavoro”. Che sarà il titolo anche della prossima agorà, in cui discuteremo tutto quello di cui c’è ancora bisogno.
Avete fatto un’agorà sugli aumenti salariali, la prossima sarà sulla sicurezza. Ma le agorà segneranno davvero il programma di un partito nato sul mito del «patto fra lavoratori e imprenditori»?
Abbiamo rimesso al centro della nostra iniziativa il tema dei salari, non accadeva da tempo. Del resto, se sono fermi da tre decenni la sinistra si deve interrogare. Abbiamo discusso misure per l’equità fiscale, il rafforzamento della contrattazione, nell’ambito del quale realizzare un salario minimo nei settori dove è più alta l’incidenza della povertà lavorativa, che è uno scandalo. E poi interventi contro la precarietà, in particolare giovanile. Su questo ora ci confronteremo con tutte le parti sociali, perché per noi l’era della disintermediazione è finita per sempre. E ovviamente con il governo.
Vi coprite a sinistra dopo aver rotto con una parte dei pacifist?
Non è un gioco di posizionamenti. Siamo stati i più coraggiosi nel condannare l’invasione e nel chiedere sanzioni. Ora dobbiamo essere i più coraggiosi nel fronteggiare le conseguenze della guerra, impedire che a pagarne il prezzo siano le fasce sociali più deboli e giù in difficoltà. Me lo lasci dire il Primo Maggio, la priorità è il lavoro, i salari, che con un’inflazione al 7 per cento diventano un’emergenza. Non è solo una questione di giustizia, ma di tenuta sociale. E servono risposte. Noi le abbiamo lanciate nell’agorà sulle “retribuzioni giuste”.
Ma molte delle vostre proposte non potranno neanche essere fatte a questo governo. Quali lo saranno?
Sul caro energia bisogna comunque fare di più. Il lavoro del ministro Orlando è prezioso e su molti temi già maturo. Un intervento straordinario per mettere più soldi in busta paga dei redditi più bassi e recuperare potere d’acquisto eroso dall’inflazione è urgente. Ed è interesse di tutti, non può essere solo la bandiera del Pd. Poi, certo, non tutto riusciremo a fare con questa maggioranza. Ma anche per questo dobbiamo chiarire agli italiani ciò che vogliamo fare con il loro consenso alle elezioni e con un governo progressista.
Confindustria accusa Orlando di fare «ricatti» e di avere «il solito riflesso anti-industriale».
Ma come si fa a parlare di riflesso antindustriale, in anni in cui gli aiuti alle imprese sono cresciuti come mai prima? E io dico giustamente, dovevamo salvare il tessuto produttivo. Ora, porre la questione dei salari non è un ricatto ma la priorità. Non capirlo significa perdere di vista non soltanto le ragioni della coesione sociale, ma della stessa economia, che per reggere in questa congiuntura drammatica ha bisogno di un rilancio dei consumi, della domanda interna.
Sul fisco Draghi non riesce a fare qualcosa di sinistra?
Abbiamo assistito a una sceneggiata della destra sul catasto, che non andrebbe assecondata con trattative separate per noi inaccettabili. Sui temi fiscali nella maggioranza ci sono visioni opposte, la destra propone la flat tax. Ma io dico che intervenire ora per sostenere le fasce sociali più deboli, su cui si abbatte l’inflazione più duramente, non è di sinistra, è di civiltà.
Lei è stato un ministro del governo Conte 2, l’ex punto di riferimento forte del centrosinistra ha la tentazione di correre da solo?
Se si riferisce a Conte, chieda a lui. A me non sembra.
Il campo largo esiste ancora?
Il campo largo lo abbiamo visto nelle scorse amministrative e ha fatto la differenza, dimostrando che l’Italia non è destinata a finire nella mani di Salvini e Meloni. In questa tornata siamo alleati in molti più comuni. Di fronte alla questione sociale che c’è nel Paese, e alla minaccia rappresentata da un’estrema destra ancora forte, lavorare a una coalizione progressista ampia è ancora più urgente.
Persino il “maggioritario” Letta oggi è disponibile a una legge proporzionale. Sarebbe la fine di un mito fondativo del Pd?
Ho posto la questione da tempo. Dopo la fine della Prima Repubblica non siamo riusciti a ricostruire un solido sistema dei partiti, e questo incide sulla nostra democrazia. Una legge proporzionale può agevolare il tentativo. Quanto al Pd, può spingerlo a investire su sé stesso, a marcare il profilo. Paradossalmente, la famosa “vocazione maggioritaria” si persegue meglio con un proporzionale con una soglia alta, che riduca la frammentazione.
Il proporzionale sancisce la disponibilità alle larghe intese?
In Germania e in Spagna c’è il proporzionale, ma non è scomparsa la destra e la sinistra. Anzi, in Germania è tornata l’alternanza. Sanchez aveva perso tutto, anche nel suo partito, proprio contro le larghe intese. E tenendo questa linea, con un programma chiaro, ora si trova alla guida del governo più progressista d’Europa. Quanto a noi, questa maggioranza è irripetibile.
Siete stati i primi a chiedere armi per l’Ucraina. Oggi qual è la vostra idea della fine della guerra?
Una pace giusta. Che non può certo significare la resa degli aggrediti all’invasore. La via maestra è il rilancio dei negoziati, ma devono trovare l’Ucraina ancora in piedi, altrimenti che pace sarebbe? Sulla missione del segretario delle Onu era già un errore lo scetticismo di alcuni. Poi è stata bombardata da Putin a Kiev, un atto di gravità assoluta. Ma noi, dico soprattutto noi europei, abbiamo il dovere di sostenere ogni sforzo diplomatico, anche coinvolgendo i paesi terzi.
Se Putin non si convincerà a sedersi a un tavolo, riempiremo di armi l’Ucraina?
Tutto ciò che abbiamo fatto fin qui mirava a costringere Putin a negoziare. Dovremmo fare di più sulle sanzioni, smettere di finanziare la guerra di Putin con l’acquisto di gas e di petrolio. E l’Europa può fronteggiarne l’impatto, che è asimmetrico, rispondendo con più forza e unità di quanto fatto di fronte alla pandemia. Intanto bisogna far rispettare le sanzioni fin qui assunte. Ne va della credibilità di interi paesi. Bene il chiarimento di Eni, che peraltro sta realizzando miliardi di extraprofitti.
Che Draghi dovrebbe tassare di più?
Servono più risorse, dunque si dovrebbe partire da lì. E io aggiungerei anche dagli extra profitti realizzati dalle aziende farmaceutiche per la pandemia.
© Riproduzione riservata