Le grandi imprese tecnologiche sudcoreane sono scese in campo guadagnando punti sull’Italia. Al di là degli impegni istituzionali a comandare sono i soldi e gli investimenti promessi. In questo, Riad è campione
È partito ufficialmente il countdown che conclude mesi di strategie, impegni, promesse e tentativi disperati di cambiare le sorti di un voto già scritto. Quello per l’assegnazione dell’Expo 2030. Si deciderà tutto oggi a Parigi, al Bureau international des Expositions. Ma al grande evento domani il sindaco Roberto Gualtieri sarà solo con il team che ha lavorato alla campagna, con lui non ci sarà il presidente della regione Francesco Rocca. La premier Meloni invece ha intenzione di inviare la sottosegretaria agli Affari esteri, la forzista Maria Tripodi.
A contendersi la prestigiosa esposizione sono Roma, Riad e Busan (la città sudcoreana che è rientrata in gara negli ultimi mesi). La città saudita è in netto vantaggio, l’Italia “spera” di arrivare seconda ma non è più così certa del risultato. La “campagna elettorale” per la vittoria dell’Expo è un gioco geopolitico, fatto di rapporti diplomatici e di investimenti promessi. Ma c’è anche chi la paragona a un “mercato delle vacche”.
E in questo Riad è stata abile a sfruttare tutta la sua potenza economica per chiarire le idee agli stati indecisi. Nell’ultimo anno la monarchia del golfo Persico ha portato avanti un’intensa attività di lobbying attraverso i suoi ministri e figure politiche di peso, rinforzando anche le relazioni commerciali con i paesi in via di sviluppo, per accaparrarsi i 120 voti necessari per vincere al primo turno.
Roma, invece, ha giocato in un campionato minore, e ha mirato a incassare i 60 voti necessari per andare almeno al ballottaggio. E negli ultimi mesi gli equilibri sono cambiati. La Corea del Sud ha messo in campo le sue aziende più importanti come Lg, Samsung e Daewoo, promettendo investimenti importanti nei settori della tecnologia. E questo gli ha fatto guadagnare diversi voti.
Le incognite
L’Italia si è mossa in ritardo rispetto all’Arabia Saudita. La candidatura di Expo 2030 non è stata una delle priorità dell’esecutivo di Mario Draghi, che comunque ha messo in piedi una squadra formata da ex ambasciatori ed ex viceministri che sono poi stati confermati dalla premier Giorgia Meloni: Giampiero Massolo (presidente Comitato Expo 2030), Sebastiano Cardi (ambasciatore), Mario Giro (ex viceministro), Fabio Nicolucci (inviato speciale del Comitato promotore), Romeo Orlandi (special ambassador Roma Expo 2030), Gaetano Castellini Couriel (ex expo Milano), Sem Fabrizi (ex ambasciatore), Antonio Bernardini (ex ambasciatore), Donato di Santo (ex sottosegretario), il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e il suo staff e Rita Mannella (ex ambasciatrice). Il team di esperti ha lavorato duramente dietro le quinte con un’agenda fittissima di visite diplomatiche nei paesi africani e dell’America Latina, ma non solo.
La strategia è stata quella di cercare di convincere gli stati africani creando prospettive di partenariato economico. In questo il Piano Mattei poteva essere una buona motivazione per votare Roma, anche perché l’Italia in Africa non è considerata come un paese neocoloniale. Ma, al di là degli slogan, il piano non è ancora stato ufficialmente presentato. Diverso il discorso per l’America Latina dove non c’è un gran feeling tra i governi di sinistra e quello sovranista di Meloni. L’Argentina guidata dal neo vincitore delle elezioni, il candidato di estrema destra, Javier Milei potrebbe cambiare il suo parere all’ultimo in favore di Roma tradendo Riad. In Asia, invece, l’Italia non tocca quasi palla, considerata troppo lontana rispetto a stati più vicini come l’Arabia Saudita e la Corea del Sud.
Due sono invece lo sorprese. Tunisia e Albania hanno voltato le spalle al governo italiano nonostante i recenti accordi in tema migratorio. Il paese arabo voterà in favore di Riad non solo per la vicinanza culturale e religiosa, ma anche per motivi di natura economica. Un voto però che ha il sapore del tradimento, viste le mediazioni di Meloni che hanno portato alla firma del Memorandum of understanding dello scorso luglio con l’Ue. L’Albania, invece, ha già concesso a palazzo Chigi il suo “risarcimento”, acconsentendo a ospitare sul suo territorio un centro per migranti gestito dall’Italia.
Le mosse di Meloni
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani negli ultimi mesi hanno organizzato incontri bilaterali, visite di stato e conferenze internazionali per parlare con più interlocutori possibili. Sono stati tre gli incontri istituzionali di grande rilievo dove il governo italiano ha provato a sponsorizzare la candidatura di Roma.
Primo fra tutti la conferenza sull’immigrazione e la cooperazione che si è tenuta alla Farnesina il 23 luglio e fortemente voluta dalla premier Giorgia Meloni. A questa è seguito il vertice sulla sicurezza alimentare co-organizzato nella capitale dall’Italia e dalla Fao. Un’occasione su cui il ministero degli Esteri ha puntato tanto per dimostrare che la città è in grado di supportare il peso logistico per un evento grande come Expo (a Dubai ha portato 24 milioni di visitatori nel 2020), fornendo un’ottima accoglienza alle centinaia di delegazioni provenienti da tutto il mondo che sono venute per seguire il vertice. Ma è stata anche l’occasione per fissare nel quartier generale romano della Fao una serie di incontri bilaterali per convincere soprattutto i paesi del Corno d’Africa.
A dare manforte alla candidatura italiana è stato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden che a settembre ha preso una posizione pubblica in favore di Roma dopo quella del presidente brasiliano Lula.
Anche il Quirinale ha fatto la sua parte. Lo scorso 11 ottobre si è tenuto a Parigi il Forum tematico "People and Territories” per sostenere la candidatura di Roma. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha mandato un video messaggio chiaro: La candidatura di Roma offre «non scontate scintillanti vetrine high-tech o convenzionali esposizioni rappresentative di posti lussureggianti nel pianeta, quanto piuttosto luoghi e persone che si incontrano per stabilire reti di relazione e condivisione, con attenzione particolare ai giovani e a quanti nelle società vivono a condizioni di disabilità o emarginazione». Oramai i giochi sono finiti. E dopo Dubai 2020 la prestigiosa kermesse molto probabilmente ritornerà dieci anni dopo nel Golfo Persico. Questa volta nelle vetrine scintillanti di Riad.
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