Dentro al Partito democratico si parla di Quirinale ormai da mesi: è un sottofondo o un’allusione che spunta in ogni conversazione tra colleghi o capannello in parlamento. Gli onorevoli di più esperienza si richiamano alle lezioni democristiane e spiegano che di tutto ci si deve interrogare sul «profilo che serve alla repubblica». E oggi il profilo che serve alla repubblica lo riassumono in una sola caratteristica: deve ispirare stabilità.

Stabilità è la parola d’ordine sia per la sponda di rito Dc che che per quella di tradizione comunista. Chi viene dalla scuola delle Frattocchie sceglie di spiegarlo con un esercizio di analisi di scenario, che parte dal generale e arriva al particolare.

L’equilibrio globale è compromesso, con una ritirata geopolitica degli Stati Uniti che si manifesta plasticamente nella situazione afghana; la dimensione europea è debole, con Angela Merkel definitivamente al tramonto e la parabola discendente dell’astro di Emmanuel Macron. In momenti di passaggio come questi, la medicina migliore è la stabilità. Per questo l’Italia ha l’imperativo di rimanere salda sulla via tracciata dal Next Generation Eu, anche a garanzia del sogno europeo. «Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente. Eccellente per lasciare tutto come sta», conclude il ragionamento un dirigente ex Pci.

Ecco dunque la sintesi: per garantire la rotta, non deve cambiare nulla. Quel che si può dire a voce alta e che il segretario Enrico Letta ha ripetuto in varie sedi è che Mario Draghi dovrebbe rimanere a palazzo Chigi «almeno fino al 2023», quel che si può solo auspicare rispettosamente è che Sergio Mattarella acconsenta al bis, ritornando indietro sulla volontà già espressa di lasciare anche per ragioni di stanchezza fisica. «Del resto è giovane: dopo il primo mandato ha la stessa età che aveva Napolitano quando è diventato presidente», ragiona un deputato dem. «E, a differenza del suo predecessore, potrebbe tranquillamente rimanere anche in carica per tutto il secondo settennato» senza bisogno di dimissioni anticipate.

In questo modo, è il ragionamento della maggioranza del Pd, tutto si sistemerebbe: Draghi poterebbe a termine la legislatura con la sponda saggia di un Quirinale autorevole e dunque con una garanzia insuperabile sulla vita democratica del paese. Poi, dopo il 2023, si vedrà. Draghi potrebbe anche proseguire l’esperienza politica interna, oppure sarebbe spendibile già nel 2024 ai vertici della commissione europea, vista l’assenza di Merkel e la debolezza di Macron.

La maggioranza Pd

Questa soluzione, che è la più facile se si riescono a superare le ritrosie del diretto interessato, è anche politicamente la più pagante per il Pd. I vertici, infatti, scommettono sul fatto che il governo Draghi sia su una china positiva che può riverberarsi anche sull’immagine dei dem, i quali della maggioranza si considerano l’architrave e anche la componente più leale.

Inoltre, questo schema preverrebbe il vero grande timore dei parlamentari che dovranno votare il futuro presidente della Repubblica: il voto anticipato nel 2021. Con buona pace della posizione di Goffredo Bettini, unico esponente del Pd a teorizzare pubblicamente la maggior correttezza di una alternanza al Colle tra Mattarella e Draghi, con un ritorno alle urne. «Quando parla, Bettini è sempre stimolante. Non va sopravvalutato, però, perché non è il guru che voi giornalisti descrivete», minimizza un dirigente romano.

La minoranza

Del resto nessuno, nemmeno la corrente di minoranza nel partito ma ancora forte in parlamento di Base riformista, vuole andare alle urne. Dato questo presupposto, l’unica strada percorribile è considerata quella di un bis di Mattarella. L’ipotesi Draghi è addirittura scartata a priori perchè «è certo che oggi nessun parlamentare voterebbe per lo scioglimento delle camere» e il premier lo sa, per questo si terrà ben alla larga dalla contesa. Quanto ad altri nomi, «potenzialmente in lizza ci sarebbero una decina di candidati, ma se ne designamo uno gli altri lo ammazzerebbero. Quindi non esiste spazio per candidature alternative», riassume un deputato d’area. Tutti compatti, dunque: maggioranza e minoranza del partito si ritrovano sulla stessa linea. Inoltre dietro Mattarella e nell’ottica di proseguire la legislatura si troverebbe facile consenso anche nei parlamentari del Movimento cinque stelle, dai quali è possibile ottenere un sì al mantenimento dello status quo. L’altissima frammentarietà del gruppo, la sua litigiosità interna e la fragilità della leadership di Giuseppe Conte, invece, non permetterebbero alcun ragionamento strutturato.

Una terza strada quindi non è data, in casa Pd. Troppo complicato costruire maggioranze assolute su un altro nome in un parlamento che viene definito «impazzito», con una leggera prevalenza del centrodestra grazie alla presenza dei grandi elettori dalle regioni e i Cinque stelle variabile indipendente e incontrollabile. Esiste però una ulteriore variabile che da tutti viene considerata dirimente per rendere più chiara la tattica del Pd in vista del conclave di febbraio.

Le amministrative

Le amministrative di ottobre e i successivi ballottaggi saranno determinanti a garantire la posizione del segretario Enrico Letta. Candidato a Siena, la sua elezione gli garantirebbe la presenza nell’aula in seduta comune e dunque la partecipazione alle riunioni dei gruppi per scegliere la linea, impossibili da gestire dall’esterno. Inoltre, l’esito elettorale e anche un modesto successo dem consoliderebbe la tenuta della sua segreteria, che la minoranza di Base riformista ancora considera traballante sul piano politico.

«Dovremmo vincere a Milano, Bologna e Napoli e almeno le suppletive a Siena. Torino era data per persa ma ora sembra che sia contendibile», è il ragionamento di chi sostiene il segretario, «Se questi fossero i risultati, chi si potrebbe permettere di contestare la leadership di Letta?».

Ecco dunque la scommessa di Letta, a cui conviene che ogni casella rimanga al suo posto. Mattarella ancora al Quirinale significa che Draghi rimarrà a palazzo Chigi, dove il miglior alleato sarebbe il Pd gestito dalla segreteria attuale, che andrebbe a scadenza insieme al governo nel 2023 e avrebbe in mano la composizione delle liste per le prossime politiche.

Intanto, la minoranza rimane in attesa ma fissa una ulteriore scadenza per testare la leadership del segretario. Le amministrative 2021 andranno «benino», l’elezione al Colle si chiuderà con il bis di Mattarella ma, per scongiurare la richiesta di congresso anticipato, Letta dovrà superare con risultati dignitosi anche la tornata di amministrative del maggio 2022, dove andranno al voto un migliaio di comuni medi e piccoli oltre alla regione Sicilia e ai capoluoghi Palermo, Catanzaro e Genova.

L’esito positivo anche nel 2022 renderebbe inamovibile Letta e certificherebbe un trend di ripresa per il Pd. «Altrimenti si aprirebbe un problema politico, che porterebbe a ragionare di un congresso anticipato e animerebbe la discussione per un nuovo progetto di rilancio del Pd», spiegano da Base riformista. Del resto, l’avversario Stefano Bonaccini sarebbe già pronto a contendere la leadership forte del suo consenso di amministratore territoriale e orientato a catalizzare su di lui anche la maggioranza del cosiddetto “partito dei sindaci” che anche dentro ai dem ha sempre più spazio anche politico.

Un passo per volta, però. Ora come ora è necessario trovare i giusti argomenti per convincere Mattarella al bis e lavorare sottotraccia per una sua rielezione a larghissima maggioranza al primo turno. E tra le due operazioni la prima sembra essere la più ostica.

Se così non andasse lo scenario sarebbe fosco e si aprirebbe spazio a variabili incontrollabili e tatticismi. «Il paese ha bisogno di continuità e serenità per uscire dal Covid e consolidare la ripresa», è la sintesi dei ragionamenti di tutti. Anche se questo vuol dire considerare fuori dalla corsa la solita rosa di candidati naturali come Dario Franceschini, Walter Veltroni e Romano Prodi. E la ragione è tranciante: «La stabilità si ottiene solo con le persone che oggi sono in grado esserne garanti, dentro e fuori dall’Italia».

 

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