- Quello della gestazione per altri è un terreno in cui sembra possibile la convergenza tra la destra e parti del mondo progressista.
- Tuttavia, chi avversa le politiche del governo Meloni dovrebbe essere in grado di cogliere i tratti ideologici di questa offensiva, che ne snaturano il significato.
- La difesa della maternità è utilizzata dalla destra in chiave apertamente omofobica. Mentre ci sono mamme che sono meno degne di essere mamme.
La battaglia contro la gestazione per altri (Gpa) è, per la destra, una componente essenziale della «difesa dell’identità di donna e di madre» che è da tempo nel programma della presidente del Consiglio. È però anche un terreno in cui sembra possibile la convergenza di parti del mondo progressista. Perché il tema è controverso, divide il fronte dell’opposizione, mentre alimenta un dibattito molto acceso in campo femminista.
Tuttavia, chi avversa le politiche del governo Meloni, chi ne denuncia per tanti altri aspetti il carattere reazionario e anti-ugualitario, dovrebbe essere in grado di cogliere i tratti ideologici di questa offensiva anti Gpa, che ne snaturano interamente il significato.
Le donne e le madri vanno difese, secondo Fratelli d’Italia e Lega, contro due pericoli. Da una parte, l’“ideologia gender”, che cancella la differenza “naturale” delle donne. Dall’altra, chi attenta direttamente alla maternità: uomini che – per citare Fabio Rampelli – «spacciano per propri» quei figli sottratti alle «madri».
Nella selva di simboli in cui si svolge il dibattito si incontrano alcuni elementi di femminismo, ma resi per lo più irriconoscibili dai curiosi compagni di viaggio che si pretendono alleati nella difesa della maternità.
Perché, innanzitutto, il tema della Gpa è utilizzato nell’offensiva della destra in chiave apertamente omofobica, con riferimenti insistiti, anzi esclusivi, alle coppie di due uomini che cercano un figlio a danno delle donne ridotte a ventre, senza alcuna menzione delle coppie eterosessuali, notoriamente la grande maggioranza tra coloro che ricorrono alla pratica. L’argomento è così utilizzato anche per giustificare il mancato riconoscimento dei figli delle coppie omogenitoriali.
Se questa battaglia a difesa della dignità delle donne non fosse una semplice copertura per il rifiuto di accettare la pluralità dei modelli familiari, se non fosse parte integrante di un’agenda identitaria a difesa della “famiglia naturale”, sarebbe ovvio ammettere, almeno, il riconoscimento dei figli delle coppie lesbiche. Cosa c’entra, qui, l’“utero in affitto”? Nulla. Ma la mamma non è sempre la mamma: solo quando è eterosessuale.
E ci sono anche altre mamme che sono meno degne di essere mamme. Ci sono le migranti irresponsabili che portano i propri figli con sé su imbarcazioni precarie, anziché accettare rassegnate di subire violenze, stupri e rischi di morte restando nel proprio paese. Poi ci sono le donne immeritevoli, che delinquono. Le «borseggiatrici rom», che per Matteo Salvini e altri esponenti della Lega è bene restino in carcere con i loro figli, e le «ladre incinte» su cui deve agire il pugno duro della legge.
Per la destra, insomma, di mamma buona, per bene, ce ne è una sola. C’è un solo modello di maternità da difendere: quella della famiglia “naturale”, nativa, borghese.
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