Alle ultime elezioni europee, dall’Abruzzo in giù, il M5s ha ottenuto il 16 per cento dei voti. Un terzo rispetto ai fasti di un tempo, e purtuttavia un bacino di consensi non disprezzabile. La sopravvivenza politica del M5s dipende da quanto riuscirà a essere l’interprete privilegiato dei ceti più sfavoriti nel Mezzogiorno
L’unica cosa certa del Movimento 5 stelle è che non è più la creatura immaginata da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Allora, l’idea forza espressa dalle Cinque stelle – difesa dei beni pubblici, internet per tutti, economia circolare, trasposti non inquinati, protezione dell’ambiente – era quella di un movimento di protezione dei consumatori e dei diritti dei cittadini, con tinte ecologiste. Una visione alternativa dell’economia e delle stesse abitudini personali per garantirsi una qualità della vita migliore.
Ma il M5s era anche il movimento del vaffa, dell’opposizione alla politica tradizionale e a tutti i partiti; garantendo però, allo stesso tempo, la partecipazione di tutti, su un piano egualitario, alla presa delle decisioni grazie all’accesso alla rete.
I novelli Lenin pensavano di rivoluzionare il paese con la rete al posto dell’elettricità. Ed è un messaggio di gran fascino. Infatti, nei primi tempi, il M5s attrae strati giovanili, acculturati e attivi nei settori produttivi tecnologicamente più avanzanti, collocati geograficamente lungo gli assi maggiormente dinamici della sviluppo.
Su questo humus postindustriale si è innestata l’antipolitica, una pulsione che ha portato il movimento a successi elettorali imprevedibili. Il M5s era quell’opzione nuova, inedita, non classificabile a cui si rivolgevano i molti delusi dalla politica tradizionale, o coloro che erano semplicemente insofferenti per le scelte che erano disponibili allora.
Un capitale consumato
Il binomio modernità (rete, democrazia diretta e atteggiamenti post-materialisti) e populismo (antipolitica a 360 gradi) si è imposto sulla scena elettorale con una forza dirompente. Quando poi si è aggiunto un elemento sociale dalla portata innovatrice e ed evocativa come il reddito cittadinanza, il M5s ha travolto ogni barriera arrivando al 32,6 per cento nazionalmente ma oltre il 45 per cento nel Mezzogiorno.
Quel capitale si è però consumato in fretta. Per una ragione di fondo: l’inconsistenza impressionante della sua classe dirigente. Morto Casaleggio e ritiratosi al mare Grillo i giovani a cui sono state lasciate le redini – Luigi Di Maio è stato nominato capo politico a fine 2017 – non hanno retto.
Ha supplito alla loro debolezza, in maniera del tutto inaspettata, un presidente del Consiglio estratto dal cappello, Giuseppe Conte. Il quale, d’un colpo, da passacarte di Di Maio, nell’estate del 2019 si è trasformato in politico consumato ridicolizzando in pieno parlamento il cosiddetto uomo forte del momento, Matteo Salvini. E l’ottima gestione della pandemia, checché ne dica una pletora di ignoranti e pennivendoli della destra, lo ha portato a vette di consenso mai raggiunte da nessun capo di governo.
È certo difficile scendere da quelle cime. Soprattutto quando chi ti ha fatto precipitare è stato il tuo leader, Beppe Grillo, artefice dell’accordo capestro (per il M5s) con Mario Draghi.
Liberarsi del fondatore
Da quel momento Conte ha capito che il M5s doveva muoversi in maniera più autonoma rispetto ai guizzi improvvisi del fondatore. È iniziato così un percorso accidentato, ormai in via di conclusione, di ristrutturazione organizzativa lungo linee più tradizionali; una scelta che, inevitabilmente, fa venire l’orticaria a Grillo.
Rimangono però ancora indefinite le linee ideali e strategiche del partito. Perso l’appeal antipolitico, la strada sembra quella di un percorso rosso-bruno: un atteggiamento rigido sui temi dell’immigrazione e pro-labour sui temi sociali. Quest’ultimo aspetto rimane il più efficace in termini elettorali.
Proprio insistendo sulla difesa del reddito delle fasce più deboli e dei diritti sociali – tra l’altro, questioni sulle quali si trova in sintonia con il Pd – il partito ha conquistato il maggiore ascolto. Non a caso il suo radicamento elettorale è concentrato al sud, nelle regioni più in difficoltà.
Alle ultime elezioni europee, dall’Abruzzo in giù, il M5s ha ottenuto il 16 per cento dei voti. Un terzo rispetto ai fasti di un tempo, e purtuttavia un bacino di consensi non disprezzabile. La sopravvivenza politica del M5s dipende da quanto riuscirà a essere l’interprete privilegiato dei ceti più sfavoriti nel Mezzogiorno, il rappresentante riconosciuto delle istanze di quest’area. Un destino da Lega sud?
© Riproduzione riservata