Conte ter, elezioni, conferma senza Italia viva? Il problema è la maggioranza al Senato, dove, se venissero meno i 18 senatori di Italia viva – senza rimpiazzi -, il governo andrebbe incontro alla sfiducia ottenendo meno della metà dei consensi di Palazzo Madama. Le ipotesi sono molteplici
Conte ter, elezioni, conferma senza Italia viva? Il problema è la maggioranza al Senato, dove se venissero meno i 18 senatori di Italia viva il governo andrebbe incontro alla sfiducia ottenendo meno della metà dei consensi di Palazzo Madama. Matteo Renzi e le ministre di Italia Viva si sono detti pronti a lasciare la maggioranza, il presidente del consiglio Giuseppe Conte nella conferenza stampa di fine anno ha annunciato che se venisse meno la fiducia verificherà i numeri in parlamento, Renzi ha risposto che «è pronto ad accettare la sfida». Lo snodo decisivo dovrebbe essere il Piano nazionale di ripresa e resilienza che ha portato all’acceso dibattito delle scorse settimane e atteso in consiglio dei ministri questa settimana. Se il governo andasse verso lo strappo e il testo approdasse in parlamento a quel punto l’esecutivo si dovrebbe confrontare con i numeri.
Il Senato
Alla Camera la maggioranza non dovrebbe avere problemi, al contrario in Senato il rischio sulla fiducia si conta su una manciata di senatori. I senatori che votano usualmente in Aula sono 317, 315 eletti più due senatori a vita (Mario Monti ed Elena Cattaneo), dunque la maggioranza necessiterebbe di 159 voti.
Il gruppo per le autonomie ha ribadito che l’ipotesi crisi non piace a nessuno. In questo modo i voti sicuri della maggioranza restano quelli del Movimento 5 Stelle (92), del Pd (35), di LeU (5) e delle Autonomie (9), 141 voti a cui prima si aggiungevano i voti di Italia viva. In queste ore si parla molto di “parlamentari responsabili” di altri gruppi che eventualmente darebbero fiducia al governo Conte 2.
Come funziona la crisi
La crisi di governo può essere parlamentare o extraparlamentare. Si parla di crisi di governo parlamentare quando il Governo è colpito da una mozione di sfiducia da parte di una delle due Camere oppure quando il nuovo Governo non riesce a ottenere la fiducia iniziale da parte di queste o, infine, in caso di voto contrario da parte di una Camera quando il Governo abbia posto una questione di fiducia.
In tutti gli altri casi di dimissioni da parte del Governo, per il venir meno della maggioranza parlamentare, si parla di crisi di governo extraparlamentari. Generalmente, nel caso di una crisi di governo extraparlamentare, è prassi che il presidente della Repubblica rinvii il Governo alle Camere, allo scopo di «parlamentarizzare» la crisi, ma di solito è raro che la discussione parlamentare si concluda con un voto esplicito.
Nell’ambito della storia costituzionale repubblicana, infatti, tutte le crisi di governo sono state di tipo extraparlamentare, tranne quelle che hanno investito il Governo Prodi I nel 1998 e il Governo II nel 2008, determinate, rispettivamente, da un esplicito voto contrario da parte della maggioranza della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica ci ricorda l’Enciclopedia Treccani.
I responsabili
Anche nel 2019, quando la crisi ha riguardato il governo giallo-verde, il voto in Aula ci fu per il calendario dei lavori e mise in evidenza la composizione della nuova maggioranza M5S-Pd-Iv-LeU a cui seguirono le dimissioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, non si andò incontro a una vera sfiducia e i parlamentari della Lega vennero semplicemente rimpiazzati, quello che potrebbe accadere anche in presenza di nuovi “parlamentari responsabili”.
In questo caso però non è dato sapere se resterebbe il governo in carica con un rimpasto e la nomina di nuovi ministri, oppure se seguirebbero comunque le dimissioni di Giuseppe Conte e la formazione di un altro governo. Da verificare se con Conte o con un altro premier. Se mancassero i numeri della fiducia invece non si possono escludere elezioni anticipate. Dipenderà da eventuali consultazioni e dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, cui spetta il compito di sciogliere le Camere.
A seguito di una crisi, il governo dimissionario resta in carica fino alla formazione di un nuovo Governo e solo per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione: la sua posizione giudica è simile, di conseguenza, a quella del Governo appena formatosi e in attesa della fiducia da parte delle Camere.
© Riproduzione riservata