Ci sono due schemi per descrivere la partita delle prossime elezioni europee, quello dell’enfatizzazione delle alleanze e quello del realismo.

Il primo prevede, già da molto tempo prima delle elezioni, una serie di schemi e narrazioni precostituite come “lo schema italiano” per governare l’Unione europea, la “grande alleanza” tra popolari e conservatori, la svolta a destra dell’Europa, la “coalizione del centrodestra” europeo.

Sono tutte espressioni già evocate da molti politici nostrani, da Matteo Salvini a vari esponenti di Fratelli d’Italia, lasciate intendere anche dal premier Giorgia Meloni e recepite dai commentatori e dagli analisti.

La politica fa il suo mestiere e deve fornire sviluppi immaginari per alimentare narrazioni e prendere voti. Poi c’è la realtà, e cioè come funzionano davvero le istituzioni. Il primo mito da sfatare è quello dello “schema italiano” proposto da Salvini.

Non c’è possibilità che Identità e democrazia, Conservatori e Partito popolare governino insieme e da soli in Europa. Ciò sia per una questione numerica, difficile che raggiungano la maggioranza assoluta, sia soprattutto per una motivazione politica, i popolari non si alleeranno mai con partiti nazionalisti come Afd, Rassemblement national e Fpo e anche alcuni partiti conservatori avrebbero delle difficoltà.

Allo stesso modo la “grande alleanza” del centrodestra è un concetto prematuro e che non rileva in ottica elettorale, dove le elezioni tendono ad assumere una connotazione più marcatamente nazionale.

Ciò non significa che i partiti europei non debbano sviluppare contatti e trattative tra di loro sul futuro post-elettorale, ma quel che va chiarito è che le vere alleanze sono possibili soltanto dopo il voto e non prima.

Molto della futura commissione europea di deciderà nelle trattative parlamentari e anche della organizzazione dei gruppi, con una possibile federazione tra popolari e conservatori, si parlerà una volta acquisiti i risultati elettorali.

Per Meloni, dunque, non ha valore effettivo la presentazione di un cartello elettorale che non esiste nella realtà. Ogni leader in questa fase non deve far altro che massimizzare il consenso del proprio partito a livello nazionale poi, a bocce ferme e con seggi contati, si svilupperanno le alleanze.

In questa dinamica post-elettorale ci sarà spazio per la fluidità politica, come sempre in Europa. Collaborazioni oggi impensabili diventeranno possibili proprio come quando nel 2019 la Von der Leyen venne eletta con i voti del Pis e del Movimento 5 stelle contro ogni previsione precedente.

In ogni caso ci sarà una grande coalizione che potrà essere più spostata a destra, conservatori-popolari-liberali, o più probabilmente una ennesima grande coalizione anche con i socialisti europei.

In Europa, per come sono i meccanismi istituzionali, si può anche stare tutti al governo insieme senza necessità di replicare le divisioni nei parlamenti nazionali. Le differenze emergeranno e si tratteranno in sede di Consiglio europeo, dove contano i governi nazionali e non i partiti europei.

Per questo a Meloni non conviene scegliere la via dell’enfatizzazione dell’alleanza conservatori-popolari, per lei non vale la pena di inseguire Salvini che usa l’argomento dello “schema italiano” soltanto per sfidarla sul piano interno.

La presidente del Consiglio può inoltre giocare su un altro fattore, cioè la sorte elettorale di Forza Italia senza Berlusconi. Dopo un rimbalzo iniziale nei sondaggi dopo la scomparsa del fondatore, Forza Italia oggi registra una progressiva discesa nei consensi.

La legge elettorale europea è proporzionale con una soglia di sbarramento al 4 per cento. Non è detto che ad un anno dalla scomparsa di Berlusconi una Forza Italia senza leader riesca agevolmente a superare lo sbarramento.

A quel punto il peso negoziale di Fratelli d’Italia nel campo europeo salirebbe autonomamente poiché il Ppe resterebbe orfano della rappresentanza politica in Italia. Ecco allora che, se questo scenario si verificasse, Meloni si troverebbe al centro della tessitura degli accordi tra popolari e conservatori.

I suoi margini di manovra aumenterebbero anche nella prospettiva della costruzione di una grande coalizione con socialisti e liberali. Per tutti questi motivi, in conclusione, non serve ricamare troppo sulle grandi alleanze dei partiti europei prima del voto.

Come nei vecchi sistemi parlamentari a Bruxelles prima si vota, poi si contano i seggi, infine si compongono le alleanze. Le coalizioni si fanno dopo e non prima come nello sgangherato sistema elettorale italiano. Meglio padroneggiare i fondamentali della politica europea dunque e poi muoversi di conseguenza ai risultati del voto. Vale per Meloni e per tutti gli altri.

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