Che fine ha fatto l’economia? Nei discorsi elettorali di Giorgia Meloni non c’è ne è traccia. Non si parla di conti e di bilancio, ma la sparizione può passare in quanto materia tecnica e poco politica; non si capisce a che punto sia davvero il Pnrr, una nebulosità che si nutre della complicità di una Commissione Europea molto accondiscendente con l’esecutivo; ma soprattutto non c’è segno da parte della premier di voler tracciare un modello di sviluppo per l’Italia.

Certo il governo può vantare dei risultati “difensivi” come l’eliminazione del reddito di cittadinanza, la stretta sul super bonus edilizio, la bocciatura a Bruxelles dei provvedimenti green più restrittivi e dannosi per le aziende e le famiglie, ma può bastare questo programma di veti per un governo che ha ambizioni di lunga durata?

La risposta è no, anche perché ci accingiamo ad entrare in una fase storica che richiederà grandi correzioni economiche e nuove politiche. Si pensi al protezionismo, all’intelligenza artificiale, alla spesa militare, alla rimodulazione delle catene di approvvigionamento e fornitura tanto per nominare fattori critici molto diversi tra loro e su cui servirebbe una strategia generale che non c’è.

Per paradosso, pur chi scrive non condividendone affatto le premesse e gli effetti, si può forse affermare che il super bonus di Conte era quantomeno un’idea più concreta. Per molti sbagliata, ma decisa a stimolare l’economia in un certo ambito.

E invece non è chiaro cosa il centrodestra intenda davvero fare: dare incentivi alle imprese? A quali settori, come e per fare cosa? Abbassare le tasse? E a chi? Sono domande prive di risposta perché l’esecutivo preferisce vivacchiare in economia, con una crescita discreta che deriva da tendenze globali e meriti imprenditoriali, e non assumersi rischi.

Tuttavia così si finisce per amministrare il declino invece che promuovere lo sviluppo economico. Servirebbe invece un’idea più ampia e complessa da affrontare subito dopo le elezioni europee. Per prima cosa il governo dovrebbe enucleare quali sono i settori in cui l’Unione europea è imprenscindibile per ragioni finanziarie, rompere le timidezze legate ad un passato euroscettico che oggi non ha più senso, proporre soluzioni europee come è stato per l’immigrazione.

Il pensiero va alla difesa, dove invece l’astuto Macron surclassa tutti con fughe in avanti. È così difficile per Meloni proporre un eurobond per la difesa oppure un piano in stile Pnrr e sedersi a discutere con gli altri leader?

Lo stesso per i processi di elettrificazione, minacciati da scarsità energetica e concorrenza cinese, dove si potrebbe indicare con una formula o una proposta il giusto mezzo della transizione ecologica.

Ci sono poi attività che andrebbero liberalizzate, non soltanto balneari e trasporti ma anche tante società municipalizzate che spesso non producono servizi efficienti, bonus e tax expenditures che andrebbero tagliati, infrastrutture come inceneritori e rigassificatori sarebbero da realizzare e ci sono poi settori, legati ai cambiamenti demografici, come sanità e pensioni che da un governo di destra ci si aspetterebbe più integrati col privato.

Occorrerebbe anche pensare a patriottici strumenti finanziari in grado di convogliare il grande risparmio italiano verso le nostre imprese. Se come a volte è sembrato trasparire il governo intende fare una politica per i produttori e allora che la faccia seriamente mobilitando risorse pubbliche e private.

Il primo anno di governo può essere scusato per ragioni di ambientamento interno e internazionale e gestione dell’eredità pregressa, ma oggi a Meloni serve una strategia economica realizzabile per il 2027. Altrimenti che senso ha per il centrodestra aver ricevuto dalla maggioranza degli elettori italiani il mandato per un governo di legislatura?

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