Sulle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere del 6 aprile un’altra pagina oscura riguarda il materiale ritrovato nella perquisizione
- C’erano o no i bastoni? Quanti? E chi li ha portati? La vicenda oscura inizia dalle ragioni che hanno motivato quella spedizione e termina con i dubbi sul materiale ritrovato.
- I bastoni ritrovati, ricavati dai tavolini presenti nelle celle, sarebbero stati sequestrati, tra il 6 e l'8 aprile, due giorni dopo i fatti anche se non risultano perquisizioni successive.
- «Non è vero che abbiamo fatto i bastoni», ci ha raccontato un testimone, «noi non avevamo niente, abbiamo solo subito, sono le classiche “pezze d’appoggio” per giustificare gli abusi».
C’è un un'altra vicenda oscura che aggrava quanto già emerso in merito ai fatti accaduti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, il 6 aprile scorso. Quel giorno, 300 agenti della polizia penitenziaria sono entrati nell’istituto Francesco Uccella e la perquisizione programmata si è trasformata in pestaggi e violenze contro i detenuti del padiglione Nilo, colpevoli di aver protestato e richiesto tutele per la notizia del primo contagiato nel carcere.
La vicenda oscura inizia dalle ragioni che hanno motivato quella spedizione e termina con i dubbi sul materiale ritrovato. Confrontando interrogazioni parlamentari, fonti ufficiali, testimonianze, emergono versioni contrastanti. C’erano o no i bastoni? Quanti? E chi li ha portati?
«Non è vero che abbiamo fatto i bastoni», ci ha spiegato un ex detenuto pestato quel 6 aprile, ora libero di raccontare quanto accaduto. «Noi non avevamo niente, abbiamo solo subito, sono le classiche “pezze d’appoggio” per giustificare gli abusi».
Delle violenze del 6 aprile, come abbiamo rivelato, ci sono i video che mostrano i pestaggi, le aggressioni. Ci sono immagini di detenuti inginocchiati, trascinati, picchiati da capannelli di quattro, cinque poliziotti. Tra i detenuti pestati c’è anche un disabile; un altro, invece, è stato manganellato, messo in isolamento e, dopo un mese, è morto. Era già affetto da altre patologie.
Nessuno vuole rispondere ufficialmente alle nostre domande anche se dalla direzione del carcere fanno sapere che le nostre inchieste sono considerate alla stregua di 'articolacci', opinione condivisa anche da alcuni sindacalisti. In attesa che si rompa il muro di silenzio, aumentano i punti da chiarire attorno al film dell'orrore andato in scena il 6 aprile.
L’olio bollente e il magistrato
Il primo quesito irrisolto riguarda le ragioni di quella perquisizione. C’è una interrogazione parlamentare, presentata lo scorso giugno, da quindici deputati di Fratelli d’Italia che spiega: «I detenuti, dopo aver occupato alcuni reparti, hanno minacciato gli agenti della polizia penitenziaria con olio bollente e alcuni coltelli».
Alcuni sindacati e la stessa direzione del carcere confermano la presenza di olio bollente pronto all'uso. Il 6 aprile, però, il magistrato di sorveglianza Marco Puglia arrivava in carcere e da quanto abbiamo ricostruito non accadeva nulla di grave.
La direzione del carcere sostiene il contrario e parla di un tono irriguardoso usato nei confronti di Puglia da parte dei reclusi. Ma lo stesso magistrato, all'esterno del carcere, comunicava ai giornalisti che nessuna rivolta violenta c’era stata inviando a tutte le parti un messaggio tranquillizzante.
Proprio dalla magistratura di sorveglianza e dai garanti dei detenuti sono arrivate le prime comunicazioni che hanno fatto avviare le indagini. Il magistrato esce e poco dopo dopo entra il contingente di 300 uomini per una perquisizione che si traduce in un generalizzato pestaggio.
Indagati, tra gli altri, nell’inchiesta della locale procura, ci sono Gaetano Manganelli, all’epoca, comandante della polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere, e Pasquale Colucci, già capo del nucleo traduzioni dall’istituto di Secondigliano.
E i bastoni?
A quanto ci risulta, dopo la perquisizione, ai piani alti del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è arrivato un numero, preciso. I bastoni ritrovati sarebbero stati venti insieme a microcellulari e coltelli rudimentali. Nelle ricostruzioni di quei giorni, sui resoconti parlamentari, sulle riviste di settore, si parla, soprattutto, di altro «spranghe, bacinelle piene di olio, pentolini per far bollire l’olio e altri oggetti contundenti».
I bastoni ritrovati, ricavati dai tavolini presenti nelle celle, confermano dalla direzione del carcere, sarebbero stati sequestrati, però tra il 6 a l'8 aprile, due giorni dopo i fatti. Eppure non risultano perquisizioni successive a quella del giorno 6. I detenuti messi in isolamento e denunciati per resistenza a pubblico ufficiale sono 14. Gli oggetti ritrovati avrebbero, in assenza di una precisa identificazione dei responsabili, dovuto coinvolgere più detenuti nei procedimenti disciplinari. Le date e i numeri aumentano i dubbi. Bisogna capire se ha ragione quel detenuto, oggi libero, che parla di “pezze d'appoggio”, così come anche i familiari di altri detenuti picchiati. Di certo le versioni discordanti non fugano i dubbi.
Non solo. C'è un capitolo dell’inchiesta della procura di Santa Maria Capua Vetere e condotta dalla locale compagnia dell'arma dei carabinieri, relativo proprio a un possibile depistaggio delle indagini subito dopo i fatti. A proposito di quanto accaduto, in quei giorni, nei video, ha ricostruito il testimone, si vedono gli stessi detenuti che, il giorno prima, durante la protesta rimettono in ordine le sedie.
La verità che gli inquirenti stanno ricostruendo parte dai video, ma si incrocia con il materiale ritrovato nei telefoni sequestrati agli agenti l'11 giugno scorso, quando la procura ha proceduto al sequestro dei cellulari notificando 57 decreti di perquisizione agli agenti della polizia penitenziaria. Materiale utile per proseguire l'inchiesta che ipotizza non solo tortura, abuso di autorità e violenza privata, ma anche i reati di falso, calunnia e depistaggio.
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