La revisione delle scorse settimane ha stabilito la riduzione delle strutture pensate per favorire la sanità di prossimità con le risorse del Piano. E l’Agenas certifica un andamento a rilento dei lavori: a giugno solo il 13 per cento delle case ha aperto. E la stragrande maggioranza non eroga i servizi previsti. Dal ministero minimizzano: «Nessun problema»
La mannaia del governo calata sul Piano nazionale di ripresa e resilienza si è abbattuta anche sulla sanità. E ha centrato in pieno le case di comunità, che peraltro procedono a rilento nella loro realizzazione. Così aumenta la preoccupazione per l’intero progetto.
Già nelle scorse settimane il trend era chiaro. La revisione del Piano ha certificato la riduzione di oltre 400 strutture, passate dalle iniziali 1.350 alle 936 della nuova versione del Recovery firmato dal ministro del Pnrr, Raffaele Fitto. Il motivo? La «stima di incremento dei costi oscillante tra circa il 24 e il 66 per cento» si legge nel documento ufficiale. E si è innescato un ulteriore cortocircuito. Si conosce l’entità del taglio, ma non è noto l’elenco delle strutture stralciate.
Case in ritardo
A questo si aggiunge un altro nodo, tutt’altro che secondario: i lavori non rispettano le tempistiche fissate. La certificazione dei ritardi arriva da un report dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). A giugno risultano appena 187 case di comunità, pari al13 per cento del totale rispetto al target del 2026.
E, come denuncia un’interrogazione presentata alla Camera dal deputato del Pd, Marco Lacarra, anche dove sono attive, «le case della comunità risultano aperte h 24, 7 giorni su 7 solo nel 17 per cento dei casi, mentre nel 34 per cento dei casi sono aperte meno di 7 giorni su 7 e con un orario di nemmeno 12 ore giornaliere».
Insomma, meno di un quinto offre effettivamente le prestazioni che, sulla carta, dovrebbero fornire all’utenza. E non solo: in alcune regioni, come nel caso di Basilicata, Calabria, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Sardegna e Sicilia, al momento «non è attiva nemmeno una casa della comunità o un ospedale di comunità», insiste Lacarra. Evidentemente qualcosa non sta andando nel verso giusto.
Obiettivo prossimità
Eppure le case di comunità sono state ideate, nell’ambito dei mutamenti in campo sanitario, con nobili intenti. Devono diventare la struttura intermedia tra gli ospedali e i cittadini, capaci di garantire 24 ore al giorno, i servizi necessari per le cure primarie, i prelievi, i servizi infermieristici e le diagnosi di base, quindi con esami semplici come ecografie, elettrocardiogrammi e spirometrie. Con un vantaggio ulteriore: essere vicini alle persone.
Un modo, dunque, per evitare l’afflusso massiccio negli ospedali e puntare sulla sanità di prossimità. «Il governo non è convinto della realizzazione delle case di comunità. Manca la volontà politica di portare avanti il progetto», sostiene la senatrice del Pd, Ylenia Zambito.
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha evidenziato che per garantire prestazioni adeguate occorre assumere personale medico. «Ma è un falso problema – prosegue Zambito – perché Roberto Speranza, da ministro, aveva già previsto che le assunzioni fossero fatte al di fuori del tetto di spesa. Il governo deve solo impegnarsi a reperire i finanziamenti. Ed è una scelta politica».
E anche di fronte al definanziamento dei progetti del Pnrr, il governo se la cava con la solita formula applicata su casi simili: le risorse saranno reperite da altri capitoli.
«La revisione mira a rafforzare l’ambizione della missione del Pnrr, attraverso un uso più efficace delle risorse destinate all’edilizia sanitaria», ha spiegato il ministro Schillaci, intervenendo al Senato durante un question time e sostenendo di non rilevare criticità dal dossier dell’Agenas.
A tutta lentezza
La tesi è però stata smentita dalle opposizioni. «Bisognerebbe fare una variazione normativa per rendere possibile l’impiego di quei fondi sulle case di comunità. Finora non c’è stato alcun passo concreto in questa direzione», dice la senatrice del Movimento 5 stelle, Elisa Pirro, che ha seguito da vicino il dossier.
«Il pericolo – aggiunge – è che i tempi si possano dilungare ulteriormente. Proprio al Senato abbiamo realizzato un’indagine conoscitiva che ha attestato le lentezze di certe procedure. Di questo passo le case di comunità richiederanno decenni per la loro ultimazione».
Ma il modus operandi del governo sul Pnrr crea malumori in vari ambiti. Al termine della girandola di incontri di ieri a palazzo Chigi (altri sono in programma oggi), l’Ance ha espresso delle perplessità: «Non ci piace molto il metodo trasversale cioè prendere interi gruppi di opere e semplicemente toglierli». Anche se, ha detto il vicepresidente dell’associazione, Piero Petrucco, «su questo abbiamo ricevuto rassicurazioni».
© Riproduzione riservata