- I media mainstream sono stati al gioco pop della leader di Fratelli d’Italia. Grandi giornali o trasmissioni di infotainment hanno fornito il palcoscenico per un racconto intimo di Meloni
- Giornalisti e conduttori hanno privilegiato il suo lato celebrità, che conviene all’audience e al numero di lettori, e tralasciato la sua visione politica
- Questo articolo è tratto da POLITICA, il mensile di Domani a cura di Marco Damilano. Abbonati a questo link o compralo in edicola per leggerlo.
Nel suo video-messaggio di domenica 9 ottobre alla kermesse del partito spagnolo di estrema destra Vox, Giorgia Meloni si è domandata come sarebbe mai possibile considerare impresentabili, come vorrebbero i loro avversari, partiti come Fratelli d’Italia e Vox. Dal momento che, ha osservato, hanno milioni di voti.
Che l’indicatore della quantità dei consensi per giudicare della presentabilità, ovvero dell’affidabilità per governare una democrazia liberale, di un partito non serva a molto è noto. Dovremmo spiegare forse alla premier in pectore come il Partito nazionalsocialista nel novembre 1932 raccolse il 33 per cento dei voti dei tedeschi?
Tuttavia, è indubbio che un partito che si colloca nel polo radicale della destra e che ottiene un consenso ampio come quello ottenuto dal partito di Meloni pone interrogativi.
Immagine rassicurante
Escludendo l’ipotesi che un quarto dei votanti alle ultime elezioni si percepisca su posizioni radicali ed estreme nella sua interezza, bisogna chiedersi perché una parte consistente di elettori italiani, presumibilmente conservatori, moderati, o anche in passato sostenitori di forze di sinistra, abbia espresso la sua preferenza per Fratelli d’Italia.
Una risposta può essere trovata nell’abilità della sua leader di costruire un’immagine assertiva e decisa, sì, ma al tempo stesso rassicurante. Questo non significa sottovalutare tutte le fragilità dei sistemi democratici e dei loro governanti che hanno offerto nuove opportunità a forze populiste per affermarsi, ma sottolineare come elettori “scontenti” abbiano potuto trovare in un’offerta politica radicale un’opzione accettabile per esprimere il loro malcontento senza doversi comunque dire “estremisti”.
In questi anni, Meloni ha intrapreso una strategia comunicativa dalle diverse sfumature, dove accanto a un discorso sopra le righe vediamo coesistere un’impresa che, utilizzando un termine in voga in Francia, possiamo definire di de-diabolizzazione della sua immagine. E conseguentemente del suo partito, fortemente legato alla sua leadership. Analogamente a quanto, da ancor più tempo, è stato realizzato da Marine Le Pen, alla guida del Front national (ora Rassemblement national), che alle ultime legislative ha raccolto il 18,6 per cento dei consensi (Le Pen, come candidata presidenziale,
il 23,2 per cento).
La politica del privato
Innanzitutto, al processo di de-diabolizzazione meloniano è stato funzionale l’utilizzo della politica pop e dell’intimate politics (ovvero l’esposizione mediatica delle diverse sfere della propria vita privata), come hanno osservato le studiose Donatella Campus (Comunicazione Politica, 2/2020) e Chiara Moroni (H-ermes. Journal of Communication, 2019).
«Diventare una celebrity», ha scritto Campus, «può spostare l’attenzione su alcuni elementi che non sono politici, ma entrano comunque nel giudizio complessivo della personalità di un leader cercando di influenzare il giudizio del pubblico». Per politici su posizioni radicali, il mostrare lati personali del proprio carattere e della propria vita è utile per smussare le asperità del profilo e rassicurare.
Un’operazione che Meloni ha sviluppato attraverso una pluralità di media, dalla stampa popolare alla tv al web – Instagram in particolare – e accelerato negli ultimissimi anni e in particolare dal 2021, complice la sua autobiografia, veicolo per una messe di interviste sui media mainstream.
Conservatorismo “normale”
Inoltre, in tempi ancor più recenti, pur continuando a trasmettere messaggi radicali (soprattutto sui social network), dell’armamentario populista, in particolare in relazione a immigrazione e diritti civili, ha al tempo stesso cercato di costruire un profilo da leader "conservatrice”, proponendo come “normale” e compatibile con le liberaldemocrazie il suo messaggio.
A tal fine, analogamente a quanto già aveva fatto in relazione ai temi legati ai diritti della donna e delle persone omosessuali al Congresso mondiale delle famiglie di Verona nel 2019, propone le proprie posizioni come figlie di un senso comune condiviso. A ciò unisce una tattica che potremmo chiamare “dello stupore”, laddove sottolinea l’ovvietà delle proprie soluzioni e lo stupore per il fatto che tutti non la colgano e che i suoi avversari stigmatizzino le sue visioni.
Non di rado, in occasione di interventi pubblici, accompagnando l’espressione verbale dello stupore con una marcata mimica che pare divertire il pubblico, mostrando un’indubbia capacità di tenere la scena.
La de-diabolizzazione ha evidentemente funzionato. Ma non solo per l’abilità comunicativa di Meloni e di chi la consiglia. Bensì, anche grazie alla “complicità” dei media, soprattutto mainstream. Da un lato, alcuni hanno cercato di “diabolizzare” Meloni soffermando l’attenzione sulla provenienza post-fascista sua e del suo partito. Confermando le convinzioni di una parte, probabilmente non grande, di opinione pubblica, ma evidentemente non arrivando a coinvolgere un ampio pubblico, con un argomento non troppo sentito, legato com’è a una fase storica lontana.
Inoltre, questa scelta ha portato a sottovalutare gli aspetti più “contemporanei”, e probabilmente responsabili del suo successo, della destra meloniana. Una destra soprattutto, analogamente a diversi altri partiti europei, radicale e populista.
Dunque, riprendendo la distinzione di Cas Mudde, non ostile alla sovranità popolare (come le destre estreme e fasciste), ma interprete di quella sovranità secondo modelli plebiscitari e ‘nazionalistici’. Uniti a una visione ‘reazionaria’ di società.
Meloni pop
Dall’altro lato, questi aspetti della sua destra sono raramente entrati nel racconto giornalistico sviluppatosi attorno a Meloni. I media mainstream, infatti, sono spesso stati al gioco ‘pop’ della leader di Fratelli d’Italia. Non solo rotocalchi popolari, come Verissimo su Canale 5, ma anche grandi giornali o trasmissioni di infotainment hanno fornito il palcoscenico per un racconto intimo e pop di Meloni.
Giornalisti e conduttori hanno privilegiato il suo lato “celebrità” (che conviene all’audience e al numero di lettori) e tralasciato la sua visione politica. Una visione, peraltro, da lei chiaramente espressa, lungamente esposta nel suo libro, spesso, però, visto soprattutto come un gustoso esercizio di storytelling popolare da somministrare ai lettori/ascoltatori. E anche quando hanno affrontato temi più politici, sovente lo hanno fatto col “rispetto” dovuto a un personaggio “mediaticamente proficuo”.
Il saluto rivolto a Vox del quale si parlava all’inizio è stato un abile mix di “Meloni nuova pretesa versione Thatcher” e “Meloni esponente della destra radicale europea”. Poco compresa la seconda versione, assistiamo oggi a una diffusa fiducia di osservatori e media che la prima possa affermarsi ed essere sincera.
Più un wishful thinking che non una valutazione basata su dati reali che confermino la mutazione avvenuta, ad oggi completamente assenti, a partire da una riflessione pubblica della leader italiana. Soprattutto, l’effetto di un gioco di immagini. Il gioco della de-diabolizzazione.
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