Bossi lo aveva capito: non si può basare un partito solo sull’identità lombarda. E se non c’è una tradizione, allora basta inventarla di sana pianta
Le tradizioni si inventano, come magnificamente illustrato da Eric Hobsbawn, per cui eventi che appaiono consolidati hanno origine piuttosto recente oppure sono inventati di sana pianta. Il richiamo alla tradizione serve specialmente in tempi di crisi per fronteggiare problemi e conferire legittimità al nuovo corso. Le tradizioni saldano valori, inculcano credenze, codici di comportamento, abiti mentali, conferiscono senso di appartenenza e legittimano l’autorità.
E gli uomini e le donne immaginano “comunità”, le quali fungono da base per la fondazione del nazionalismo, argomento principale dell’analisi di Benedict Anderson sulla saldatura tra simboli, tradizioni e memorie quale costrutto per aggiungere un’aurea naturale a processi artificiali e politicamente finalizzati. La Lega Nord e la sua grottesca rappresentazione agreste di Pontida sono un fulgido esempio di una tradizione inventata, costruita di ex novo anche per forgiare una comunità se non immaginata, quanto meno auspicata e sognata.
Del resto Umberto Bossi, politico di rango, capì subito che non potesse basare un partito solo sull’identità lombarda (troppi Rocco e suoi fratelli in giro per le fabbriche) e che quindi dovesse investire sul fantomatico Nord. Ne scaturì l’”invenzione” della Padania, i riti e miti collettivi, le ampolle, i toponimi, il vestiario e il bestiario di complemento, le rapide incursioni nella storia locale, la razzia sulla pelle della Serenissima gloriosa.
Il tutto per avallare la costruzione di una nuova comunità e l’invenzione di una nuova tradizione. A raccontarla la “storia” della Padania felix appare anche adatta ai moderni giochi da tavolo di ruolo con le carte agghindate di ceri, falchi e arcieri. Il Po si prestò involontario al divertissement creativo, non mancarono illusionisti e fanatici, sostegno dell’immarcescibile borghesia supina. Proliferarono pubblicazioni, teorici e sostenitori dell’Italia divisa in macroregioni, antesignano moloch dell’autonomia differenziata che prima fu secessione.
Il simbolo
In questo marchingegno pseudo o pre-politico Pontida ebbe un ruolo importante. Dopo la crisi del 1994-95, la Lega nord rilanciò puntando verbalmente sulla diversità nordista, non avendo né i fucili immaginati da Bossi né i nazionalisti pronti a immolarsi per un ideale farlocco. Del resto, l’inventiva e l’immaginazione di Bossi furono fervide e anticipatorie: “io venni qui a Pontida prima di tutti voi. Ci venni da solo, in silenzio, in questi prati, nella basilica. Prima di venirci in tanti”, raccontò il Senatur alla plaudente folla accalcata per l’edizione del 1999.
Bene rifugio, sede di raccolta fondi, caricatura in sedicesimo delle feste de l’Unità, momento di rilancio delle idee leghiste nel dibattito post-estivo e crudele passaggio per sancire alleanze o benedire tradimenti interni al partito. Il quale usa Pontida per reificare il capo, trasfondergli passione ed energia nei momenti di magra, per celebrare battaglie o promettere vittorie, issare fatui vessilli, ma soprattutto per sostituire i passaggi congressuali, evitati accuratamente in un partito prima carismatico ora solo personale.
A corto di idee, di energia e di voti, Pontida ha rappresentato il momento del rilancio, ma anche il termometro degli equilibri, dello stato d’animo o dell’insofferenza della base spesso ingannata con manovre verticiste, contraddittorie e incoerenti, ma che davanti alle sacre corna celtiche venivano approvate tramite acclamazioni urlanti.
Da luogo di rivoluzioni promesse e di mancati assalti, Pontida si è sempre più raccolta in momenti di commiserazione, rivendicazione, lancio di programmi mirabolanti e rendiconto dell’azione di una forza politica sostanzialmente di governo. Un partito governista e pro sistema, benché estremista di destra, che si presenta alla “comunità immaginata” quale depositario di un afflato palingenetico, ma in realtà ultra conservatore su tutti i fronti.
Salvini usa Pontida
Nel 1997, coevo del secessionismo straccione padano alla sorgente del sacro fiume, tale Rick McLaren tentò la secessione texana, ma ovviamente venne sbertucciato e il suo movimento calò nell’oblio. Nella sventurata Italia invece, quegli esponenti inneggianti lo sfaldamento della Costituzione ricoprono cariche ministeriali, immaginano riforme e pontificano sulla povertà e il suo superamento, sproloquiano di lavoro e immigrazione.
Dalla prima edizione Pontida ebbe molto e profondo significato, mobilitazione e mobilitante, sebbene con alterne fortune che rispecchiavano le ondate elettorali del Carroccio, anche legate ai destini del Cavaliere che mai calcò il sacro pratone. Con il “nuovo” corso del senatore Salvini l’appuntamento bergamasco venne prima annullato e annichilito, nascosto sotto il tappeto insieme al cerchio magico, ai diamanti e alle lauree albanesi.
La fantasia della Lega nazionale inevitabilmente naufragata sancì l’abbandono, la rimozione di Pontida, salvo poi tornarci in una fase di magra, specialmente dopo il disastro del 2022 mitigato solo dalla vittoria della coalizione. Pontida, come il nord, è una risorsa e una zavorra per il partito, che vuole dirsi nuovo, ma rimane ancorato alle sue radici. Pontida si trascina stancamente come certe sagre con pochi adepti, ma funzionali al capo locale. Pontida è la storia di un’invenzione, di una comunità immaginata. La maschera di una tribù.
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