- L’obiettivo di Fratelli d’Italia è la riforma costituzionale per rendere effettiva la definizione di Capitale d’Italia, trasformandola quasi in una regione in termini di competenze.
- Il confronto della legge sui poteri speciali per Roma non è una novità delle ultime ore. Nella scorsa legislatura una proposta di legge è approdata troppo tardi in commissione alla Camera per arrivare al via libera.
- La Lega vive la nemesi dallo slogan di “Roma ladrona” ai possibili poteri speciali conferiti alla Capitale. Ma potrebbe accettare lo scambio con un’accelerazione sull’autonomia differenziata.
Un impegno per conferire a Roma i poteri speciali, attraverso una legge costituzionale che possa rendere effettiva la definizione di Capitale d’Italia. Così da renderla più vicina a una regione, in termini di competenze, che a un semplice comune come è attualmente nella sostanza. Insomma, nell’attesa che il governo possa attuare politiche economiche incisive, continua ad annunciare riforme-bandiera, che vanno a incidere direttamente sulla Costituzione repubblicana. In una strategia che si limita ad attribuire responsabilità su altri livelli istituzionali, evitando di assumere delle reali decisioni.
Fu Roma ladrona
Nel caso specifico, la riforma per aumentare i poteri di Roma è un obiettivo dichiarato di Fratelli d’Italia, con in testa il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, che ha ripreso una battaglia iniziata negli anni scorsi da Giorgia Meloni.
Ma l’operazione rappresenta un’altra nemesi per la Lega. Si è passati dal leggendario slogan “Roma ladrona”, con annessa richiesta di spostare alcuni ministeri al nord (antico pallino di Umberto Bossi di tanto in tanto riciclato da Matteo Salvini) al riconoscimento di uno status unico in Italia per la Capitale.
Una novità che darebbe a “Roma ladrona” la possibilità di agire in autonomia, come piacerebbe ai presidenti di regione leghisti. Anche per questo motivo, la riforma può diventare oggetto di una trattativa politica tra le forze della maggioranza: la Lega pretende l’accelerazione sull’autonomia differenziata per giungere al via libera del provvedimento in poche settimane.
Il ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, ha lasciato intendere che non è disposto ad avallare l’ipotesi di far procedere il testo di pari passo con il presidenzialismo, tanto caro alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Il cammino sarebbe troppo tortuoso.
Perciò la moneta di scambio potrebbe diventare il conferimento di poteri speciali a Roma: si tratta di una legge costituzionale, intorno a cui ci può essere un consenso più ampio. Limitando eventuali rallentamenti.
Le distanze con le opposizioni restano comunque significative. «Il regionalismo italiano va riformato ma in modo completamente diverso dalla traccia imposta dalla Lega con l’autonomia differenziata. Occorre ridurre invece il numero delle regioni e rivederne i confini», dice Roberto Morassut, già assessore a Roma e ora deputato del Pd.
«Occorre dare alle tre grandi città italiane con vocazione internazionale come Roma, Milano e Napoli un regime di rango regionale con autonomia legislativa», sottolinea il parlamentare dem che invita il suo partito a «battersi per questo senza mediare le follie della Lega».
Iter affossato
La realizzazione della legge sui poteri speciali per Roma non è una novità delle ultime ore. Nella scorsa legislatura una proposta di legge di Meloni è ufficialmente naufragata a causa del ritorno anticipato al voto. Ma nei fatti non sarebbe andata in porto: il parlamento si era svegliato troppo tardi.
Il testo base, affidato ai relatori Stefano Ceccanti (Pd) e Annagrazia Calabria (Forza Italia), era infatti arrivato in commissione Affari costituzionali alla Camera solo a giugno. Le elezioni si sarebbero tenute dopo pochi mesi, in caso di scadenza naturale della legislatura.
Non c’era quindi il tempo materiale per la doppia lettura nei due rami del parlamento, come prescritto per l’approvazione di leggi costituzionali. Tuttavia, alla fine di un iter farraginoso, c’era stato un accordo tra le forze politiche della maggioranza. E, stando alle indiscrezioni, potrebbe essere il punto di partenza di una riforma condivisa.
Certo, nei fatti i poteri speciali a Roma sarebbero stati ratificati con la revisione del testo costituzionale, ma il perimetro esatto verrebbe definito dalla stesura di una successiva legge ordinaria dello stato. Stando allo schema di intesa, al Campidoglio dovrebbero essere affidati alcuni compiti, attualmente spettanti alla regione Lazio, come la gestione dei rifiuti, oggi possibile solo attraverso il commissariamento.
Una mossa che, tra le varie cose, ha conferito la possibilità al sindaco Roberto Gualtieri di avviare il processo per la costruzione dell’inceneritore. Ma il trasferimento di competenze coinvolgerebbe pure la concessione di potestà legislativa su materie come l’urbanistica e la gestione dei beni culturali, una miniera di primaria importanza nella città del Colosseo, che movimenta oltre sette miliardi e mezzo di euro all’anno solo con il turismo. Alla Regione, dunque, sarebbe rimasto solo il controllo della sanità e delle norme in materia di trasporto.
Regione svuotata
D’altra parte la proposta di legge depositata a Montecitorio da Fratelli d’Italia nella scorsa legislatura si spingeva oltre e faceva specifica menzione del conferimento di poteri a Roma nei «rapporti internazionali e con l’Unione europea di Roma capitale» e nelle materie di protezione civile, governo del territorio, valorizzazione e gestione dei beni culturali e ambientali, promozione e organizzazione di attività culturali e agricoltura.
Per rendere l’idea del cambiamento, Roma Capitale può oggi solo concorrere «alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il ministero». Anche in materia di gestione dei rifiuti deve interfacciarsi con la regione Lazio, così come per la pianificazione urbanistica il Campidoglio predispone il piano, sottoponendolo quindi al vaglio regionale.
In caso di via libera alla riforma, permessi per costruire e autorizzazioni paesaggistiche diventerebbero una competenza esclusiva del sindaco e della sua giunta. Un cambio di paradigma, che svuoterebbe la regione a cui resterebbe il controllo sulle altre province, che coprono poco meno di un milione e mezzo di abitanti a dispetto degli oltre quattro milioni e 200mila della città metropolitana di Roma (quindi inclusi i comuni dell’hinterland).
Il caso di Parigi
Nelle principali capitali europee i meccanismi sono diversificati e non mancano le sfumature. Berlino, secondo quanto riporta un dossier del centro studi del Senato, «è al contempo una città e un Land federale» ed è di fatto una città-stato.
In termini pratici significa che la potestà legislativa esclusiva di Berlino riguarda gli ambiti della cultura (categoria che include cinema, stampa, radiotelevisione, musei), salute, servizi sociali, diritto ecclesiastico, urbanistica ed edilizia.
Ci sono altri numerosi settori, però, in cui c’è una condivisione di responsabilità come la tutela della natura e delle acque, più in generale le politiche ambientali. Per quanto riguarda Parigi, invece, occorre compiere una distinzione che la avvicina di più a Roma: la Ville de Paris è parte integrante della metropoli du Grand Paris, un ente pubblico di cooperazione intercomunale che ingloba 131 comuni ed è dotato di autonomia fiscale.
Un quadro simile al comune e alla città metropolitana. L’obiettivo principale della Ville de Paris è il contrasto alle disuguaglianze tra i territori, sviluppando soprattutto politiche sociali. Questo si traduce in poteri afferenti alla materia urbanistica, di alloggi, edilizia e istruzione.
Inoltre, il sindaco di Parigi ha ottenuto compiti rafforzati sulla sicurezza, acquisendo la titolarità delle funzioni di polizia municipale, in precedenza appartenenti al prefetto.
I due governi di Madrid
Dal punto di vista economico la Ville de Paris beneficia di una consistente assegnazione di dotazioni finanziarie statali e della concessione di ulteriori sovvenzioni a sostegno degli investimenti.
Discorso simile è quello del sistema di amministrazione di Madrid, strutturato su due livelli di governo, uno municipale e l’altro regionale. Il livello municipale è rappresentato dall’Ayuntamiento, il comune, mentre la Comunidad autonoma è quello regionale, che oggi si estende sul territorio della provincia di Madrid.
I campi di intervento sul piano comunale sono ristretti: attengono alla sicurezza cittadina per l’organizzazione di eventi e cerimonie, alla gestione delle infrastrutture, alla mobilità e infine all’acquisizione di immobili statali dismessi.
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