Salvini arriva al voto di giugno con risultati disastrosi alle amministrative. La premier punta su legge e ordine: «I manifestanti rispettino le regole»
Bisognerà riascoltare l’intervento di Giorgia Meloni a Pescara nel giorno successivo alle elezioni, per verificare se si rivelerà corretto. Certo è che alcune affermazioni rivolte polemicamente alle opposizioni sembrano invece ritagliate sul profilo dell’alleato Matteo Salvini.
«Noi ci mettiamo la faccia e stiamo insieme per scelta, a differenza del centrosinistra» ha tuonato alla folla, solo un attimo prima di chiudere il suo comizio e di cercare con gli occhi il leader leghista per la foto finale. Per accorgersi solo a quel punto che l’amico Matteo aveva già non solo lasciato il palco, ma anche la piazza a bordo della sua auto blu, senza nemmeno aspettare che lei finisse di parlare. «Altri impegni in programma», è stata la giustificazione dello staff.
La frase con più doppie letture, però, è quella sulle elezioni europee: «Alle prossime europee succederà di tutto, io ho già messo l'elmetto», ha detto la premier riferendosi a ipotetici attacchi delle opposizioni in caso di vittoria del centrodestra. Poi, «il vero timore di tutti è che questa maggioranza possa essere confermata con il voto delle elezioni Europee» e «qui in Abruzzo». Si tratta di paure che certamente risuonano nel centrosinistra, dove il cantiere delle alleanze è più che aperto e le Europee sono una tappa complessa da gestire.
Invece, il più impaurito dall’esito delle Europee e che potrebbe far «succedere di tutto» potrebbe annidarsi proprio nella maggioranza di cui Meloni ha celebrato l’unità.
Le paure della Lega
Matteo Salvini è apparso ombroso anche sul palco bagnato di pioggia. La sua Lega è sempre più in preda a turbolenze interne, con un rinvigorimento delle spinte dal nord critiche nei suoi confronti. Come se non bastasse, i sondaggi che circolano in vista delle europee sono meno che rassicuranti.
L’ultimo risale a ieri, di Swg, e inchioda la Lega a quota 8 per cento, mentre quello di Pagella Politica la colloca un po’ più in su – al 9,2 – ma comunque ancora lontana dalla certezza della doppia cifra che è l’unica soglia psicologica che permetterebbe al segretario di cantar vittoria. Invece il tallonamento di Forza Italia al 7,6 per cento sta aggiungendo tensione: un superamento da parte del partito di Antonio Tajani, ancora intero nonostante la morte del fondatore Silvio Berlusconi, trasformerebbe la Lega in cinque anni da primo partito della coalizione di centrodestra a fanalino di coda.
Con un ulteriore elemento di pessimismo, che nel partito di via Bellerio sta serpeggiando. Alle Europee di giugno si arriverà con tre voti regionali in regioni del centro-sud, che saranno una zavorra più che un traino sull’umore delle truppe. La Sardegna è stata persa e il governatore leghista nemmeno ricandidato, con la Lega al 3,7 per cento.
In Abruzzo i segnali non sono più incoraggianti: alle passate regionali il partito era volato alto toccando il 26 per cento, crollato però alle politiche intorno all’8 e un’aspettativa rispetto al voto del fine settimana di perdere ancora qualche punto. Eppure della vittoria di Marco Marsilio - amico fraterno di Meloni - Fratelli d’Italia è sempre più convinto, complici anche sondaggi interni che avrebbero rassicurato gli animi e spronato i membri del governo in tour elettorale allo sforzo finale. Poi ci sarà la Basilicata, altra regione del sud dove nel 2019 la Lega era quasi al 20 per cento ma alle politiche è scesa al 9.
Se l’esito delle tre regionali pre-europee fosse di una Lega terzo partito della coalizione, si potrà ragionare sulla non sovrapponibilità delle diverse tipologie di voto, ma certamente non terrà alto l’umore delle truppe chiamate alla campagna elettorale.
Meloni a Roma
Archivi ata la trasferta abruzzese, Meloni è invece tornata a dettare l’agenda dei temi che saranno il suo slancio alle Europee. Le manganellate agli studenti di Pisa e i fatti di Firenze, infatti, hanno risollevato il trend della legge e ordine che a destra è ancora un ritornello identitario che la premier ha scelto di riportare al centro del dibattito. Ieri ha incontrato i sindacati di polizia, con cui ha stigmatizzato «una mentalità che vuole instillare nei più giovani l'idea che ci sono regole che possono non essere rispettate, come alcuni opinion maker affermano», ha detto riferendosi alle opposizioni, ascoltando l’istanza del sindacato Siap di non imporre codici identificativi agli agenti, perchè «non c'è un rapporto paritario con i manifestanti violenti».
Per l’occasione, Meloni è stata ben attenta a non trascinare il Colle nella mischia, tuttavia la linea è chiara: appoggio pieno alle forze dell’ordine, oggetto di «sistematica campagna di denigrazione», in un parallelismo nemmeno troppo sottinteso con lo stesso governo che, secondo la narrazione della premier, è perennemente sotto attacco.
Infatti ha aggiunto la preoccupazione per il clima attuale, «parte del quale dipende dal fatto che c'è la necessità di attaccare la sottoscritta e questo governo», in un anno particolare come quello della presidenza del G7. Senza voler evocare il disastro che fu nel 2001 il G8 di Genova, Meloni ha tuttavia messo in chiaro dove vede i suoi nemici: nei manifestanti che non rispettano le regole e nell’opposizione che li sobillerebbe. Il prossimo passo del governo sarà quello di valutare proposte di nuove misure a tutela degli agenti, tra le quali il Daspo dalle piazze per i manifestanti violenti chiesto dai sindacati della polizia. In attesa di sciogliere la riserva sulla sua candidatura personale, la premier ha già individuato i temi con cui correre.
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