Il centrodestra nella quarta votazione per eleggere il presidente della Repubblica si astiene: i grandi elettori della Lega, FI e FdI si presentano in aula ma non ritirano la scheda. Ma Meloni non condivide la scelta. Una strategia per evitare fughe in avanti dei dissidenti
Nella quarta votazione di oggi per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica il centrodestra ha deciso di astenersi. I grandi elettori della Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia rispondono alla chiama, si avvicinano al banco della presidenza e riferiscono ai segretari di “astenersi” senza ritirare la scheda. Poi escono dell’aula di Montecitorio dove sono riuniti.
Una decisione che ha tre significati differenti. Innanzitutto, Matteo Salvini disinnesca eventuali fughe in avanti di Fratelli d’Italia. Ieri Giorgia Meloni ha deciso di andare per conto suo e, dopo una riunione con Salvini e Antonio Tajani in cui i toni sono stati molto accesi, ha indicato ai suoi grandi elettori di votare l’ex parlamentare, e dirigente di partito, Guido Crosetto. A sorpresa ha ottenuto 114 voti, quasi il doppio dei 63 delegati su cui può contare FdI.
Il voto ha mostrato un brusco significato politico: Meloni è in grado di tenere la leadership di centrodestra, non sono all’interno del suo gruppo, che si è mostrato compatto, ma anche in grado di influenzare singoli parlamentari di Lega e Forza Italia che hanno votato Crosetto nel segreto dell’urna. Una spallata che ha pesato sul leader della Lega che oggi ha deciso di rimettere in riga gli alleati di coalizione.
La decisione di oggi non ha trovato Meloni del tutto d’accordo. Si è mostrata molto irritata, raccontano fonti del suo partito, per la proposta avanzata dal leader leghista. Ha accettato per salvaguardare l’unità della coalizione ma avrebbe preferito puntare su uno dei nomi della rosa presentata il 25 gennaio, Letizia Moratti, Carlo Nordio e Marcello Pera, nonostante nei fatti siano già stati archiviati sul nascere. Fratelli d’Italia si è mostrato disponibile anche a votare Sabino Cassese ed Elisabetta Belloni.
La doppia votazione
L’astensione, quindi, permetterà al centrodestra di evitare di contarsi, ovvero di mostrare pubblicamente chi segue la linea del gruppo (nei giorni scorsi è stata data l’indicazione di scheda bianca) e chi invece preferisce andare per la sua strada, svilendo il ruolo di leader che Matteo Salvini cerca di ritagliarsi ormai da giorni. Insomma, per paura di contarsi, e mostrarsi divisi agli occhi del centrosinistra, che non è molto più compatto degli avversari considerando che da giorni fatica pure a palesare candidati per sostituire Sergio Mattarella, si procede con la tecnica dell’astensione forzata.
La strategia, questa la seconda chiave di lettura, porterà a velocizzare lo scrutinio. Il centrodestra unito conta 451 grandi elettori. La Lega ha 212 delegati, Forza Italia 140 delegati, Fratelli d'Italia 63, a cui si potrebbero aggiungere Coraggio Italia-Idea Cambiamo con 32 delegati e Noi con l’Italia 5 deputati. Non entrando in cabina per scrivere il nome sulla scheda o per lasciarla semplicemente bianca accelereranno di fatto la procedure di voto. Questo darà più spazio alle forze politiche di confrontarsi nel pomeriggio.
Non solo, velocizzare le procedure di voto darà maggiore forza alla richiesta che il centrodestra dovrebbe porre al presidente della Camera Roberto Fico: prevedere per domani due votazioni in un solo giorno. Una procedura ripetuta tante volte durante le votazioni per il Quirinale, ma frenata stavolta dall’emergenza Covid e dalle regole che impongono la sanificazione degli spazi e l’entrata a singhiozzo in aula dei grandi elettori per evitare assembramenti.
Mattarella non andar via
Infine, così facendo il centrodestra evita che i loro voti vadano a un eventuale bis di Mattarella. Ieri il presidente in carica ha ottenuto 125 preferenze, il triplo rispetto alla seconda votazione. Segno che le forze politiche, in maniera del tutto trasversale, dai riottosi del Movimento Cinque stelle impauriti dall’ipotesi delle urne anticipate a pezzi del centrosinistra e pure della destra, spingono per la soluzione più indolore: far rimanere lì dov’è l’attuale capo dello stato.
Lo status quo, infatti, richiederebbe uno sforzo minimo ai partiti ed eviterebbe ad entrambi gli schieramenti di continuare a logorarsi sia a vicenda che al loro interno.
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